Voci per Casamicciola, dopo il sisma un laboratorio di idee per progettare il futuro
Gianluca Castagna | Casamicciola Terme – I terremoti generano ferite materiali e psicologiche. Le popolazioni colpite da un sisma, pur sostenute da un fortissimo senso di appartenenza, faticano ad accettare che i centri abitati in cui hanno passato gran parte della loro vita siano ridotti a cumuli di macerie o interdetti per coefficienti, più o meno ampi, di pericolosità. Un’eredità difficile da gestire non solo dal punto di vista economico, politico, ambientale, ma soprattutto dal punto di vista sociale. Quali sono gli elementi che devono costituire la principale bussola di riferimento da seguire per procedere alla complessa fase della ricostruzione? Quali sono le aspettative, i bisogni e i desideri delle comunità di Casamicciola e Lacco Ameno? Quali domande sono state poste alla politica? Quali risposte possono arrivare dagli urbanisti e dagli architetti?
All’Hotel Manzi di Piazza Bagni, uno dei centri identitari e oggi meno valorizzati della cittadina termale, si è svolto il primo di una serie di appuntamenti per ripensare alla progettazione e alla ricostruzione della aree colpite dal terremoto del 21 agosto. “Voci per Casamicciola, incontri per rinsaldare le radici con il futuro” si propone di diventare un forum permanente per dare voce ai cittadini, perché possano partecipare a una ricostruzione che tenga conto delle loro volontà e delle attese. «Una ricostruzione partecipata», la definisce la professoressa Antonietta Iacono, promotrice di questi incontri insieme al professor Andrea Di Massa e all’architetto Giovan Giuseppe Iacono.
«Un terremotato è un esule. Ha perso casa, oggetti, affetti. L’attesa potrà essere lunga, dobbiamo metterlo in conto, facciamo in modo che sia feconda e ognuno sia propositivo. L’identità e la memoria ci aiuteranno. Cominciamo col chiederci chi siamo, cosa sono state Casamicciola e Lacco Ameno».
«L’attaccamento alla terra richiede un nutrimento» dichiara Di Massa. «La linfa siamo noi cittadini, nostro compiti è individuare punti di orientamento verso cui concentrare le nostre energie. Aprire un confronto con tutte le parti coinvolte nella progettazione del futuro è indispensabile. Solo così è possibile impiegare al meglio quella tenacia che appartiene a una popolazione tante volte provata dalla Storia». Un richiamo all’unità di una comunità giustamente esasperata e un invito ad abbassare i toni per passare, da una fase febbricitante ed emotiva a uno stadio di maggiore raziocinio e progettualità arrivano anche dal dott. Vincenzo D’Ambrosio, Presidente del Consiglio Comunale di Casamicciola, intervenuto all’incontro con l’avvocato e consigliera comunale Nunzia Piro e il sindaco di Lacco Ameno Giacomo Pascale.
Sulle ipotesi e modalità di ricostruzione, il mondo delle professioni e quello della ricerca hanno fornito un quadro condiviso di suggerimenti e orientamenti. E’ molto difficile trovare una risposta univoca, sicuramente per le diversità di pensiero ma soprattutto per la complessità di contesto su cui bisognerà intervenire. C’è però un principio generale di cui bisogna sempre tener conto: una cosa è una soluzione temporanea, veloce e tempestiva, un’altra una ricostruzione progettata per restare. Che guardi agli aspetti tecnologici e strutturali, sicuramente essenziali, ma anche all’idea di cittadina che vogliamo lasciare alle future generazioni, alla sua ottimizzazione economica, alla ripresa di attività produttive già significativamente mortificate negli ultimi decenni. A una richiesta di sostenibilità ambientale e soprattutto di vivibilità e sicurezza in risposta ai bisogni della comunità.
L’errore commesso in passato – lo hanno sottolineato sia l’architetto urbanista Antonio Abalsamo, sia l’architetto Giovan Giuseppe Iacono (autore di un progetto per il Maio che vi racconteremo nei prossimi giorni sulle pagine di questo giornale) – è stato spesso quello di travisare l’idea della soluzione temporanea, costruendo strutture ambigue, che alla fine restano per sempre. Serve allora trovare una soluzione per l’oggi, ma soprattutto guardare oltre la porta (come in una delle immagini della fotografa Elena Iacono esposte in sala) per pensare a un futuro più solido. Privo dall’incombenza di soluzioni che tamponano l’emergenza con espedienti/strutture costruite nella fretta: troppo permanenti per essere temporanee, ma troppo temporanee per essere permanenti. La necessaria, comprensibile ricerca di tempestività ed efficienza (c’è chi invoca il Commissario per la Ricostruzione, chi le risultanze degli studi tecnici dell’INGV che sembrano durare all’infinito, chi la costituzione di un Ufficio di piano ad hoc, chi il sisma bonus per tutti, chi una risoluzione dell’annosa questione di una larga fetta del patrimonio immobiliare oggetto di condono), non può e non deve trascurare importanti aspetti strategici della ricostruzione, con conseguenze negative che non mancheranno di manifestarsi su tempi più lunghi in aree che sono e resteranno sismiche.
Abalsamo, ad esempio, ha illustrato la progettazione e la ricostruzione della cittadina di Solofra (dopo il terremoto del 1980), attraverso un sistema complesso di interventi destinati ad innovare in modo sostanziale l’assetto fisico e funzionale di parti di città. Dalla definizione di un modello di uso del territorio non più fondato sulla individuazione di aree soggette ad espansione edilizia all’idea di una delocalizzazione “ragionata”, dal miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici moderni all’adeguamento del patrimonio edilizio, pubblico e privato, agli standard anti-sismici vigenti, dalla mitigazione dei principali detrattori ambientali alla previsione di aree urbane di riequilibrio ambientale e pubblico. Visioni troppo ardite e concettuali? Può darsi. Ma la ricostruzione, per quanto finalizzata a ridare una casa a chi oggi si trova in mezzo a una strada, richiede necessariamente un profondo ripensamento dell’idea di crescita dell’intera comunità e dei suoi spazi. Non dovremmo dimenticarci che parliamo di aree (il Maio, il Fango) già sottoposte, e da molti anni, a processi, se non di abbandono, almeno di marginalizzazione. Occorre dunque identificare forme innovative di riappropriazione del territorio anche attraverso il rilancio del turismo, delle terme, dell’artigianato, della zootecnia, degli itinerari naturalistici. Senza questa consapevolezza, la ricostruzione rischia di essere la somma di azioni indipendenti e incoerenti che non hanno futuro.