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‘Thalassa’, il mito del mare in mostra al Mann. Giulierini: «Stimolo per riflettere sul nostro tempo»

Alla 15° edizione di ‘Pe’ terre assaje luntane” il Direttore del Museo archeologico di Napoli racconta in anteprima l’evento che celebrerà il Mediterraneo antico e l’archeologia marina. E conferma il rapporto di collaborazione con il Museo Pithecusae a Lacco Ameno. Il cratere del Naufragio tra i reperti selezionati

Dopo migliaia di chilometri tra fame, fatica, popoli ostili e trappole mortali, i guerrieri spartani avvistano il Mar Nero. “Θάλαττα! θάλαττα!” – Thalassa, Thalassa!”, urlano impazziti secondo Senofonte. Lontani da un mondo minaccioso, il mare è la salvezza, l’orizzonte sognato e sospirato. Un grido che squarcia il cielo, valido ieri come oggi.

Mare, mito, storia e archeologia. A partire dal prossimo dicembre, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli dedicherà al mare una mostra-evento, raccontandone le infinite ricchezze e suggestioni: dal senso del sacro alla vita di bordo, dagli aspetti tecnici di organizzazione della navigazione alle storie di marinai e condottieri; dagli straordinari reperti archeologici che lo evocano alle opportunità di riflessione e congiunzione con la contemporaneità che inevitabilmente offre. Perché il Mediterraneo antico, con la sua intricata e fertilissima rete (di lunga durata) della mobilità umana, rappresenta ancora un modello al quale guardare per leggere (e comprendere) le grandi trasformazioni che plasmeranno il nostro futuro.

A parlarne in anteprima è stato il Direttore del Mann Paolo Giulierini, ospite alla 15° edizione di “Pe’ terre assaje luntane”, la mostra sull’emigrazione degli ischitani verso le Americhe. Un appassionante intervento random in cui è emersa la pre-visione della mostra che sarà: mare come bellezza e orrore, laboratorio di creatività e terreno di conflitto, sbalorditivo giacimento di gioielli archeologici e dimensione di passaggio nell’Aldilà, teatro di tragedie e mescolanza di culture. Comprese quelle religiose. Perché, come dimostra la venerazione in Campania della Madonna nera, «se non si può vincere un culto, in qualche modo lo si accoglie e lo si trasforma.»

Thalassa. Al Mann dal prossimo 5 dicembre. Perché una mostra interamente dedicata al mito eterno del mare?

Celebreremo l’archeologia del mare e della Magna Grecia attraverso l’esposizione di molti oggetti proveniente dal Museo, dai suoi depositi e non solo. Capolavori come l’Atlante Farnese e tantissimo materiale che arriva dalle città costiere dell’Italia meridionale e del Lazio. L’obiettivo è far comprendere che nel mondo antico il mare fu un formidabile un luogo di comunicazione e non di separazione. E che certe tematiche sono state sempre presenti. Pensiamo al commercio, alla guerra, alle migrazioni. Lo faremo con un’ottica particolare: dare spazio anche a esposizioni collaterali, come “Pe’ terre assaje luntane”, a fianco del mondo antico. Proprio perché certi temi sono eterni.

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Quale sarà il contributo del patrimonio archeologico dell’isola d’Ischia?

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Di sicuro ci sarà il ‘cratere del Naufragio’ proveniente dal Museo Pithecusae. E’ un’icona talmente emblematica e agghiacciante da restituirci il volto più cruento del mare. Una scena che osserviamo di continuo. Ecco perché le mostre si devono fare: conoscere la realtà antica, certo, ma anche stimolare la riflessione sul nostro tempo. I musei hanno anche una funzione sociale. Di denuncia, indirizzo e presa di posizione, quando si calpestano i valori umani.

Cosa aggiunse, nell’antichità, la grande stagione della colonizzazione greca sul piano della conoscenza e della libertà di muoversi – e fruire – di questa immensa rete di comunicazione che è stato il Mar Mediterraneo?

L’arrivo dei coloni greci comporta anzitutto un trauma per gli indigeni. Bisogna sfatare un po’ questa età dell’oro in cui tutti si volevano bene. Non fu così. Però gradualmente anche le comunità locali si fusero nelle polis greche. Le tecniche di coltivazione, la politica, l’arte che portarono i coloni dalla madrepatria diventarono patrimonio e linguaggio comune. Infatti possiamo ritrovare gli stessi approcci artistici tanto nell’Italia meridionale che in Etruria. a prima, grande globalizzazione del Mediterraneo avvenne ad opera dei greci. Una cultura che sarà assorbita dai romani anche grazie al mare. Crocevia di esperienze possibili, condizioni materiali e scambi commerciali di statue, ad esempio, che diventano l’apparato decorativo e il codice culturale nel quale ci si riconosce tra aristocratici.

Lo ha appena ricordato: il mare è stato anche teatro di grandi scontri e conflitti. Ci saranno tracce anche in “Thalassa”? E quale sintesi si augura per gli scontri di oggi, che – chiaramente – non sono più battaglie navali? Quale sarà il destino di Mare Nostrum di fronte ai nuovi esodi migratori?

La storia insegna che, se non si prendono per tempo certi processi, se ne viene travolti. Credo che, per un senso umanitario, ma anche in virtù di un’antica ospitalità che fu la chiave di lettura della civiltà greca, ci si debba stringere e fare fronte unico per accogliere in maniera razionale tutti quei profughi che oggi provengono da questa tragedia epocale di diaspora, dai luoghi dell’Africa e dell’Oriente. Abbiamo avuto un destino analogo anche nel mondo antico, non solo nel Novecento. L’uomo è sempre stato in viaggio: il senso dell’ospitalità è quello che ha caratterizzato tutti i popoli e la grandezza del mondo antico.

Archeologia del mare. Cosa c’è di sommerso nel golfo di Napoli? Ed è vero che, per mancanza di fondi, il fondo marino è preda dei tombaroli?
Esiste una grande ricchezza rappresentata soprattutto dall’area marina sommersa di Baia. Lì si può apprezzare parte di un sito che in età imperiale costituiva il lato mondano degli aristocratici e degli imperatori romani. Le prime grandi esperienze di terme si fanno a Baia, l’elitè di Roma viaggiava e vi soggiornava e oggi, per effetto del bradisismo, è possibile ammirare meravigliosi mosaici sommersi che rappresentano un punto di riferimento mondiale. Oltre a queste strutture subacquee, intorno alle isole, sono noti molti relitti ed è evidente che, in qualche modo, possano essere sottoposti a saccheggi. Devo dire, però, che la Guardia costiera, la Finanza, le autorità portuali e le Sovrintendenze riescono a evitare questi saccheggi. Oggi il problema non è più fare azioni coercitive, ma educative. Occorre educare i giovani a rispettare il proprio patrimonio, perdere o saccheggiare questi relitti significa saccheggiare se stessi e la propria memoria.

Riportare a galla Aenaria sommersa, come sta accadendo nella baia di Cartaromana, può mettere in luce aspetti inediti del periodo romano nel Golfo di Napoli? O Baia e Puteoli, l’antica Pozzuoli, hanno già detto tutto? Che contributo può arrivare da questi scavi sottomarini ischitani?
Le isole hanno sempre una storia a sé. Terreni di incontro e di creazione di civiltà non proprio canonici. Lo si vede, per esempio, negli scavi dell’Ischia tardo antica, già polo di ceramica che non ha confronti nell’intero Mediterraneo. Si possono trovare delle specificità interessanti, come peraltro le si sono trovate per la fase dell’Età del ferro e della prima colonizzazione. Certamente bisogna sempre procedere con cautela: non si può pensare che lo scavo sia la soluzione di tutto. Allo scavo deve poi seguire un restauro, uno studio, una valorizzazione e una fruizione. I depositi sono pieni; quindi, prima di aprire nuovi fronti, forse conviene riordinare e valorizzare quello che c’è già.

Per l’alto valore archeologico, culturale, storico del suo patrimonio, il museo di Pithecusae poteva dare un senso diverso, ugualmente centrale, al turismo locale e nazionale. Così non è stato. Di chi sono le responsabilità? Scarsità di risorse, miopia della politica, inadeguatezza del tessuto imprenditoriale, rigidità e chiusure protezionistiche della Sovrintendenza, disinteresse stesso della comunità?

Personalmente preferisco sempre cercare soluzioni, più che individuare certe colpe. Abbiamo proposto e già stipulato una Convenzione con il Museo archeologico Pithecusae, la Soprintendenze competenti e il Comune di Lacco Ameno per avviare un rapporto di collaborazione impostato sulla valorizzazione reciproca, sulla comunicazione e la scontistica che vanno riempiti di contenuti. Il prossimo 13 febbraio riapriremo al Mann la Sezione preistorica che comprende diverso materiale dell’Età del ferro di Ischia. Da lì avremo una sorta di ponte di collegamento tra due sponde, tra materiale ischitano al Mann e materiale ischitano qui sull’isola. Sarà la base di una valorizzazione importante, un pacchetto che noi proporremo ai tantissimi turisti che visitano il museo: quest’anno al Mann supereremo 700.000 visitatori. Anche Ischia ne ha tantissimi da un punto di vista turistico, quindi sarà opportuno puntare su una grande capacità comunicazione e di restyling del Museo Pithecusae. Così com’è, è molto interessante da un punto di vista scientifico, ma trasmette poco e non è appetibile per il visitatore.»

L’autonomia dei musei è uno strumento fondamentale di crescita economica, turistica e culturale ma anche di responsabilità e di presa in carico di responsabilità. Una formula valida per tutti?
Non è questione di risorse, ma di competenze. Chi gestisce il patrimonio pubblico deve farlo come servitore di Stato, non concepire il patrimonio artistico come campo da sfruttare per propri fini e ambizioni. Tanti scienziati, anche di altissimo livello, considerano i reperti archeologici quasi come patrimonio proprio. Pezzi non pubblicati chiusi nelle scrivanie. Ci vogliono le persone giuste nei posti giusti. Da lì le idee, la capacità progettuale, l’intercettazione di tutti i finanziamenti disponibili. Che esistono. Nel giro di tre anni il Mann è passato da 200.000 a 700.000 visitatori, con introiti investiti nella ricerca, nella conservazione e nella pubblicazione. Non credete a quelli che vogliono tenere le persone fuori dai musei, frequentati – secondo loro – solo da chi possiede una certa preparazione. I musei devono essere di tutti. I cittadini li finanziano, a loro dobbiamo risponderne.»

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