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Tassa di soggiorno, un tesoro che (troppo) spesso non serve al turismo

La relazione di apertura dell’assemblea generale di Federalberghi a Capri ha visto l’intervento del presidente Bernabò Bocca. E il problema, per la verità, investe anche la nostra isola

“Sono 1.020 i comuni italiani che applicano l’imposta di soggiorno (997) o la tassa di sbarco (23), con un gettito complessivo che nel 2019 si avvia a doppiare la boa dei 600 milioni di euro”. Lo ha detto il presidente di Federalberghi Bernabò Bocca, nel corso della relazione di apertura della 69a assemblea generale di Federalberghi a Capri. Nel corso dell’assemblea, che si chiuderà domenica, per oggi è prevista anche la partecipazione del Ministro del Turismo Gian Marco Centinaio.

“A quasi dieci anni dalla reintroduzione del tributo – afferma Bocca – dobbiamo purtroppo constatare di essere stati facili profeti. La tassa viene introdotta quasi sempre senza concertare la destinazione del gettito e senza rendere conto del suo effettivo utilizzo. Qualcuno racconta la storiella dell’imposta di scopo, destinata a finanziare azioni in favore del turismo. In realtà è una tassa sul turismo, il cui unico fine sembra essere quello di tappare i buchi dei bilanci comunali.” “Negli ultimi tempi il quadro si è aggravato per effetto di un apparato sanzionatorio paradossale, che noi chiediamo di modificare, che tratta allo stesso modo chi si appropria indebitamente delle risorse e chi sbaglia i conti per pochi euro. Chi paga con qualche giorno di ritardo e chi non ha mai versato quanto riscosso.” “Né è tollerabile – conclude Bocca – il far west che si registra nel settore delle locazioni brevi. La legge ha stabilito che i portali devono riscuotere l’imposta di soggiorno dovuta dai turisti che prenotano e pagano attraverso le piattaforme, ma Airbnb assolve a tale obbligo solo in 18 comuni su 997. Per di più, queste amministrazioni, allettate dalla prospettiva di nuovi introiti, si sono rese disponibili a sottoscrivere un accordo capestro, accettando un sistema di rendicontazione sostanzialmente forfettario, che non consente un controllo analitico e induce a domandarsi se non si configurino gli estremi di un danno erariale.”

L’imposta di soggiorno in sintesi

La settima edizione dell’indagine sull’imposta di soggiorno, realizzata dal Centro studi di Federalberghi con la collaborazione di NMTC, analizza nel dettaglio la materia, sulla base di tutte le delibere dei Comuni. Di seguito, alcuni dei risultati dell’analisi.

Sono 1.020 i comuni italiani che a maggio 2019 applicano l’imposta di soggiorno (997 comuni) o la tassa di sbarco (23). Tali comuni, pur costituendo “appena” il 13% dei 7.915 municipi italiani, ospitano il 75% dei pernottamenti registrati ogni anno in Italia.

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I 1.020 comuni si distribuiscono per il 26% nel nord ovest, il 41,2% nel nord est, il 15,5% nel centro e il 17,3% nel mezzogiorno. Il 31,6% dei comuni che applicano l’imposta di soggiorno (315 su 997) sono montani. Seguono le località marine, con il 19,7% (196), quelle collinari con il 16,1% (161). Le città d’arte sono “solo” 104, ma comprendono le cosiddette capitali del turismo italiano, che muovono grandi numeri. Le destinazioni lacuali sono 96 e quelle termali 40. Nel 2017 (ultimo anno per il quale sono disponibili i dati ufficiali), i comuni italiani hanno incassato circa 470 milioni di euro a titolo di imposta di soggiorno e imposta di sbarco. Il dato è in progressivo aumento: il gettito nazionale accertato era di a circa 162 milioni di euro nel 2012 e 403 milioni nel 2015. Per il 2019, si può stimare un introito di oltre 600 milioni di euro. Il trend è generato sia dalla costante crescita del numero di comuni che applicano l’imposta (oggi sono in tutto 1.020, erano 332 a luglio 2012) sia dai cospicui aumenti delle tariffe.

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La città con il maggior gettito è stata Roma, con un incasso pari a 130 milioni, il 27,7% del totale. L’incasso delle prime quattro (Roma, Milano, Venezia e Firenze) è superiore a 240 milioni, oltre il 58% del totale nazionale. Il peso delle grandi città si fa sentire anche sulla classifica regionale, guidata dal Lazio con quasi 135 milioni di euro. Seguono il Veneto con 63,7, la Lombardia con 59,5 e la Toscana con 57,4. In queste quattro regioni viene raccolto il 67,1% del gettito complessivo. Non appaiono in graduatoria il Friuli-Venezia-Giulia (perché in questa regione l’imposta è stata introdotta nel 2018) e il Molise (l’imposta era stata istituita dal comune di Termoli, ma poi è stata soppressa in seguito ad una sentenza del TAR). Il Governo non ha mai adottato il regolamento quadro che avrebbe dovuto fissare (entro il 6 giugno 2011) i principi generali per l’imposta di soggiorno. In assenza di una regola, i comuni si sono mossi in ordine sparso, generando un quadro confuso. Ad esempio, una famiglia di tre persone (padre, madre e figlio undicenne) che soggiorna in un albergo a tre stelle per due giorni, a Roma paga 24 euro per imposta di soggiorno, a Venezia 17,40 euro, a Rimini 12 euro, a Catanzaro 7,80 euro e a Bibione 6,30 euro. 

La tassa di soggiorno sull’isola di Ischia 

Sono poco più di 5 i milioni di euro incassati nel 2018 dai sei Comuni dell’isola di Ischia relativamente alla tassa di soggiorno. La norma è chiara la tassa di soggiorno deve servire “a finanziare interventi in materia di turismo, manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali”. Per gli Enti locali, però, l’imposta rappresenta anche una “boccata d’ossigeno”. La maggior parte dei fondi viene investita in eventi turistici e promozionali. Ma c’è spazio anche per la vivibilità, arredo urbano, viabilità e tanto ancora. In pratica la tassa di soggiorno, nei Comuni dell’isola così come in tanti altri, finisce nel calderone del bilancio con una voce in particolare. Una parte, infatti, viene destinata a coprire i crediti di dubbia esigibilità che serve a salvaguardia degli equilibri di bilancio. In pratica serve a coprire i ‘buchi’ di bilancio.  

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