Sulle tracce del più grande pittore foriano

Cesare Calise, nato a Forio intorno al 1560 e morto a Napoli verso il 1640, ha realizzato opere importanti che sono oggi custodite in varie chiese dell’isola, soprattutto a Forio

Tra le tante figure che si sono succedute in campo artistico sull’isola d’Ischia spicca indubbiamente quella di Cesare Calise. Molte delle opere presenti nei principali luoghi di culto isolani sono state realizzate da questo pittore che, muovendosi tra il XVI e il XVII secolo, è riuscito a consolidare una propria cifra stilistica in più di cinquant’anni di carriera. Sono poche e assai sommarie le notizie relative alla biografia di questo artista, la cui “forianità” ha rischiato di essere messa in dubbio a causa di un equivoco, oggi fortunatamente chiarito. Ci riferiamo alla sua firma. Cesare Calise, infatti, era solito firmarsi con la formula latinizzata “CAESAR CALENSIS PINGEBAT” o “PINXIT”. Nel corso del Settecento, il biografo Bernardo De Dominici nelle sue Vite del 1742-1745 tradusse la firma apposta alla Pietà in San Giovanni Battista a Napoli in Cesare Calense e lo considerò come originario di Lecce.

Crocifissione di San Pietro di Cesare Calise, chiesa San Carlo

Questo equivoco è durato fino ai primi del Novecento quando è stato accertato che Calise fosse di Forio. In realtà, già a metà dell’Ottocento, lo storico Giuseppe D’Ascia, parlando dei lavori conservati nella Chiesa di San Carlo al Cierco di Forio, li attribuì al pittore locale Cesare Calise. Nella chiesa, infatti, tra gli ultimi lavori dell’artista abbiamo l’unica opera firmata con il suo nome in italiano. La maggior parte delle informazione circa il pittore le abbiamo grazie ai contratti per le varie committenze, a volte pubbliche altre volte private. In particolare, sono fondamentali gli archivi delle chiese di Santa Maria di Loreto e di San Vito in cui sono custoditi vari documenti che testimoniano l’operato del Calise tra il 1581 e il 1641. Per quanto riguarda le tappe della vita di Cesare Calise c’è ancora molto da scoprire perché non sono tante le informazioni a riguardo. Comunque, a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, le ricerche dello studioso Giuseppe Alparone hanno permesso di costruire una breve biografia, seppur parziale e frammentaria. Le notizie rimangono lacunose per via di una scarna documentazione, ma soprattutto perché nei primi anni della sua carriera da artista sono andate perdute diverse sue opere, come la già citata Pietà ricordata da Bernardo De Dominici nella chiesa di San Giovanni Battista a Napoli. Sappiamo che nel 1596 realizza la sua prima opera a Forio, ovvero il Martirio di San Bartolomeo che, ancora oggi, possiamo osservare nel luogo per cui il lavoro fu pensato, ovvero il primo altare della navata di sinistra della basilica di Santa Maria di Loreto su richiesta di Pietro Regine. Sul quadro è apposta la firma di Cesare Calise, ma non è molto leggibile per via delle pessime condizioni di conservazione dell’opera. Vediamo San Bartolomeo che viene scuoiato dai suoi carnefici, mentre un gruppo di soldati assiste alla macabra scena. Nella campata successiva della basilica di Santa Maria di Loreto abbiamo una seconda tavola firmata da Cesare Calise raffigurante questa volta San Nicola da Tolentino. L’opera, realizzata nel 1607, ma restaurata secondo lo storico D’Ascia nel 1752 da Alfonso di Spigna, ci mostra al centro il santo in piedi con un giglio in mano e un libro, quello delle Regole. Sullo sfondo del dipinto si può intravvedere un lido con pescatori che portano a riva una piccola barca.

Il perdono di Assisi e San Francesco riceve le stimmate di Cesare Calise, chiesa San Carlo

Sempre in questo scomparto centrale abbiamo in basso a sinistra la firma CAESAR CALENSIS/PINGEBAT ANNO D. NI/MDCVII. Attorno alla scena principale ci sono due scomparti laterali, divisi in quattro riquadri, in cui troviamo raffigurate scene della vita del santo. In basso, invece, abbiamo la predella con altre tre scene devozionali. Ancora per la basilica di Santa Maria di Loreto dipinge nel 1601 la Visione di San Giovanni Evangelista che oggi si trova nella sacrestia. Sempre agli inizi del XVII secolo realizza opere firmate in terraferma come il Sant’Onofrio nella sacrestia dell’Annunciata a Castello, frazione di Gragnano, che purtroppo è andato distrutto. A questo periodo si fanno risalire, poi, altre opere documentate nel napoletano, ma la maggior parte di esse sono andate disperse nel corso dei secoli. Il terzo decennio del XVII è ricco di soddisfazioni per il pittore foriano che, ormai conosciuto e affermato sull’isola d’Ischia, realizza le sue opere più famose. Nel 1633 per la chiesa di Santa Maria del Soccorso a Forio dipinge un’opera raffigurante Sant’Agostino con Santa Monica e San Nicola da Tolentino. La firma si trova in basso a sinistra ed è la seguente: CAESAR CALENSIS/PINX: A. D. NI/MDCXXXIII. Il capolavoro di Cesare Calise è però il ciclo di opere che realizza tra il 1635 e il 1636 nella chiesa di San Carlo Borromeo a Forio nello storico quartiere del Cierco. In particolare, incontriamo due meravigliosi suoi affreschi, per la precisione tempere su intonaco: Un Compianto sul Cristo morto e una Crocifissione di San Pietro che reca la firma Cesare Cali ping[ebat] anno D[omini] 1635. Ancora, abbiamo altre tre opere firmate dal Calise custodite qui: Il perdono di Assisi e San Francesco riceve le stimmate (olio su tavola, 1635), la Visione di San Giacinto (olio su tela, 1633) e la Madonna della Libera (olio su tela, 1614). A coronamento di questo edificio sacro ci sono altre opere realizzate da un collaboratore di Cesare Calise tra il 1635 e il 1639, quando furono terminati i lavori di edificazione della chiesa. Per la basilica di San Vito, Cesare Calise realizza una delle sue ultime opere, ovvero la Trinità con San Gennaro e Santa Cecilia. È un bellissimo olio su tela che, come attesta l’iscrizione in basso, fu commissionato nel 1636 da Vittoria Furno, Millia e Beatrice Maltese. Nel quadro vediamo in primo piano a sinistra San Gennaro che è raffigurato in abiti vescovili, con mitria e pastorale. Sta benedicendo e regge con la mano sinistra un libro sul quale è posata l’ampolla che contiene il suo sangue. A destra c’è Santa Cecilia intenta a suonare un piccolo organo. Il suo sguardo è rivolto verso l’alto dove osserva la Trinità composta da Cristo, il Padre Eterno e la colomba dello Spirito Santo. Cesare Calise, come si può vedere, fu molto attivo nella sua natia Forio, ma realizzò anche opere per altri comuni dell’isola come testimonia la Madonna del Rosario e Storie della vita della Vergine che è custodita all’interno della chiesa di San Rocco a Barano e risale al 1632. Dal punto di vista stilistico, indubbiamente è stato influenzato per tutta la vita dai pittori manieristi che, almeno nella seconda metà del XVI, erano imperanti in Italia per i loro contributi in campo pittorico. Nei quadri del pittore foriano si scorgono lineamenti, modellati, incarnati e forme tipiche di grandi maestri di quel periodo come Marco Pino e il Cavalier d’Arpino. Con il passare degli anni, la produzione di Cesare Calise non subisce dei cambiamenti, rimanendo del tutto indifferente alla rivoluzione di Caravaggio che tra il 1600 e il 1610 riscrive la storia dell’arte con nuovi canoni legati al realismo. Per questo motivo gli ultimi quadri del Calise risultano attardati e ormai superati dal punto di vista stilistico.

Exit mobile version