di Isabella Puca
Ischia – Far luce sulla violenza di genere, chiamarla con il proprio nome, far riaffiorare lacrime e dolori, riaprire ferite, discuterne insieme per dire no. Si celebra oggi in tutto il mondo la giornata internazionale contro la violenza sulla donna, un modo per sensibilizzare la popolazione tutta a essere contro la violenza perpetuata ai danni di quello che, ancora oggi, è considerato il “sesso debole”. Anche qui a Ischia sono tante le iniziative organizzate per chiamare a raccolta la cittadinanza affinché dica il suo no alla violenza di genere. Silvia e L. sono due donne protagoniste di altrettanti testimonianze raccolte da una delle psicologhe del centro anti violenza “non da sola” la dott.ssa Stefania Regine; con lei abbiamo deciso che saranno loro, in occasione di quest’importante appuntamento, a parlare di violenza, quella subita sulla propria pelle e che, come un tatuaggio, difficilmente andrà via. Silvia aveva tre anni quando suo padre ha abusato di lei la prima volta, ma è riuscita a uscire dall’incubo della violenza, e con lei sua madre, dopo aver chiesto aiuto allo sportello antiviolenza. Ora è tornata a sorridere. L. invece non ha mai ammesso che l’umiliazione fisica e verbale perpetuatele dal marito era anch’essa una forma di violenza da combattere; probabilmente suo figlio, spettatore di queste umiliazioni, si relazionerà allo stesso modo del padre con quella che sarà sua moglie. Cultura è questa la parola chiave per invertire, una volta e per tutte, la tendenza. Non solo convegni, iniziative, ma un lavoro da fare con i più giovani, nelle scuole, nelle famiglie, insegnando che nessun sesso è debole, che con uno schiaffo non si impartisce alcuna lezione e che le donne, al pari degli uomini, vanno trattate con rispetto qualunque sia l’abito che scelgano di indossare.
Ricordo quella volta che mi diede il primo schiaffo, aveva avuto un problema al lavoro
“Mi chiamo A., ho 39 anni, e NON sono una donna vittima di violenza. Ho avuto una famiglia normale, genitori tranquilli, ci tenevano che io imparassi le buone maniere, insomma le solite regole e il solito infrangerle. Quando avevo 10 anni è nato mio fratello, mi piaceva fare la sorella maggiore, non fui gelosa, oramai ero grande. A scuola sono sempre andata abbastanza bene, avevo molti amici e da grande sognavo di fare la veterinaria. Ero carina. Per l’università ho dovuto lasciare la mia città per trasferirmi in un’altra, ho affittato una stanza in una casa con altre ragazze, era emozionante vivere da sola, certo mi mancava la mia famiglia e anche i miei amici di sempre, ma ci sentivamo spesso e tornavo a casa nei fine settimana. E comunque è stato anche divertente, poi gli studi mi piacevano, anche se erano un po’ faticosi. Un giorno in biblioteca ho incontrato L. non lo avevo mai visto in aula, ma era molto carino. Ogni tanto alzavo gli occhi dal libro che stavo provando a studiare e mi sembrava di beccarlo che mi guardava, dopo un po’ si avvicinò e così iniziammo a chiacchierare e ci scambiammo i numeri e iniziamo a sentirci e a uscire qualche volta, un cinema, una pizza, un aperitivo. I baci erano belli tra noi e aspettavamo la situazione giusta per diventare più intimi. Arrivò anche quel momento e fu bellissimo. Mi ero innamorata, portai L. a conoscere la mia famiglia durante le vacanze, a loro piacque, a mio fratello non molto, non so perché. Terminati gli studi, decidemmo di sposarci. Avevamo sogni e parlavamo molto, mi ricordava un po’ quello che amavo nei miei genitori. Certo a volte litigavamo, non era mica tutto perfetto, ma finivamo sempre per fare pace. Certo a volte era geloso, ricordo un colloquio di lavoro cui tenevo molto, era andato bene, ma quando lo raccontai a lui, mi disse che forse non era una buona idea accettare, l’ambiente non era il massimo per una donna, potevo avere di più, pensai che avesse ragione e rifiutai e poi lui guadagnava bene per entrambi, potevo aspettare e cercare di meglio. Certo la mia famiglia la vedevamo poco, non era mai il momento giusto, avevamo sempre da fare. A me dispiaceva e litigavo con mio fratello per questo motivo ma in fondo aveva ragione, non avevamo il tempo. Certo a volte non mi va di fare l’amore, ma quando dico di no, mi sembrava dispiaciuto e così cedo sempre. Certo a volte mi dice delle cose orribili, che non guadagna abbastanza, che non cucino bene, che non sono una brava amante né moglie. Mi ferisce e non lo capisco, ma poi mi chiede scusa, di solito andiamo a cena nel locale in cui mi aveva chiesto di sposarlo e mi prende dei fiori o un regalo. Certo mi ricordo di quella volta che mi diede il primo schiaffo, ma aveva avuto un problema al lavoro ed era stanco. Certo dopo di quello ce ne furono altri e si certo ho anche paura, adesso sto più attenta a quello che dico, a quello che cucino, a come parlo al telefono con mia madre, a non uscire spesso, non ho neanche più molte amiche. Certo quando rimasi incinta, credevo sarebbe stato più contento, mi disse di sì, ma io sapevo che non era così, mi sono occupata sempre io del bambino, anche se crescendo ricordo della prima volta in cui mi ha risposto male, il padre ha riso e ha detto “lo vedi che pure tuo figlio lo sa che non vali niente?” Certo quando mi guardo allo specchio non sono più sicura di vedere la ragazza che ero prima, e se avesse ragione? Se non fossi abbastanza? Lui mi ama e mi conosce e se lo dice sarà vero! In fondo è sempre quel ragazzo della biblioteca che mi ama ed ora è mio marito mica è violenza.
Avevo tre anni quando mio padre iniziò ad abusare di me
Mi chiamo Silvia, ho 29 anni e SONO una donna vittima di violenza. Sono nata nel sobborgo di una grande città, vicino al mare, i miei genitori lavoravano entrambi, lavori modesti, ma sufficienti. Avrei potuto avere una vita normale, come tante altre bambine, invece fin da quando avevo 3 anni e andavo all’asilo mio padre ha abusato di me. Mi picchiava e mi seviziava quando mia madre non era in casa, ho subito degli atti sessuali che nessun bambino e nessuna donna dovrebbe mai sopportare, in più era mio padre il mostro e non capivo perché lo facesse. Si lamentava anche, diceva che non ero buona, non ero brava perché non stavo ferma. Non mi ha mai chiesto scusa. Lui era violento anche con mia madre, la costringeva ad avere rapporti sessuali, io li sentivo e li vedevo. Quando avevo 12 anni non ne potevo più, ero solo una ragazzina, ma quanto ero stanca…decisi così di raccontarlo a mia madre. Lei sapeva delle botte, erano quotidiane e mai nascoste, ma cosa poteva fare? Le prendeva anche lei, ma quando le raccontai degli abusi sessuali, decretò che mentivo, che non era possibile che mio padre mi facesse quelle cose orribili, senza che lei sapesse. Una volta però tornò prima da lavoro e lo vide. Lo vide lì sopra di me, fui contenta che avesse visto ma non cambiò niente. Poi quando avevo 10 anni è nato mio fratello, l’ho adorato, fin da subito è stata una ragione di vita per me. Ma la mia non era vita era sopravvivenza, mi sono chiesta tanti giorni se quello sarebbe stato l’ultimo, forse un po’ l’avrei anche desiderato. Intanto stavo male, decisi di chiedere aiuto ad un servizio sanitario, raccontai tutto, con grande fatica e vergogna, sono una ragazza diffidente, dissi degli attacchi di panico e del vomito, ma non capirono la situazione, mi dissero che il problema ero io. Mi arresi. Intanto passava altro tempo e mio padre continuava a stuprarmi. Un giorno venne a sapere che avevo chiesto aiuto e mi minacciò di morte. Ebbi davvero paura, ma la paura più vera l’ho provata quando il mio fratellino, che veniva picchiato da nostro padre, mi raccontò che la notte aveva paura, che non voleva dormire da solo. Dovevo salvarlo a tutti i costi, l’idea che potesse subire gli stessi abusi sessuali che avevo subito io mi ha dato la forza per parlare con una mia amica che mi ha accompagnata in un servizio sanitario in una zona non distante dalla nostra. La dottoressa mi ha creduta, ricordo ancora la strana sensazione provata. Mi disse che mi avrebbe aiutata e mi procurò un appuntamento in un centro antiviolenza. Quando andammo lì, incontrai delle operatrici e raccontai la mia storia anche se c’ho messo un bel po’ ad elaborare le tante cose da raccontare. In quel primo colloquio mi sentii protetta, ma non è sempre stato semplice. Mi dissero che dovevano mettermi in protezione, ma non potevo lasciare mio fratello da solo, faticarono a farmi comprendere che era la scelta più giusta. Mi hanno detto che ero coraggiosa e forte, che non dovevo perdere la speranza, che non ero più da sola, così da quel momento mi hanno accompagnata in tutti i passi che ho fatto e ricordo tutte le emozioni provate. Ho denunciato mio padre, dopo 4 mesi sono riuscita a rivedere mia madre e mio fratello, furono messi in protezione anche loro. E dopo la mia presa di coraggio e decisione anche mia madre ha avuto fiducia ed ha denunciato mio padre. Lui si è finto invalido su sedia a rotelle per dire che dichiaravo il falso. Sono stati anni difficili, ma ce l’ho fatta, dopo 5 anni mio padre è stato condannato e io, mio fratello e mia madre abbiamo ripreso possesso della nostra vita.