Professor Rispoli, la stagione estiva a Ischia è ripartita, nonostante le incognite tuttora presenti per imprenditori e lavoratori.
«Sì, ho letto il bell’intervento del Vescovo di Ischia. Ho apprezzato ciò che ha affermato monsignor Lagnese: egli fa ciò che gli altri non fanno. Io sono un laico, ma rivolgo la dovuta attenzione ai ruoli sociali. Purtroppo le amministrazioni non lanciano misure realmente risolutive. Un religioso attento come il Vescovo, invece, si rende conto che questo è un momento complesso per l’isola. Qui, a differenza di tanti territori dell’hinterland napoletano in stato di semi-abbandono, ci siamo abituati a un’economia piuttosto fiorente, del resto ci vantiamo spesso di detenere il 25% del Pil turistico della Regione. Dunque la “crisi” abitualmente non è di casa a Ischia. Tuttavia il momento attuale, con l’inaspettata emergenza sanitaria, ha messo anche noi di fronte al fatto che la nostra posizione economica in realtà è soggetta a rischi concreti, a una certa fragilità».
Come pensa che debba reagire il tessuto economico-sociale dell’isola a questa inedita situazione?
«Guardi, anche da Ischia stiamo assistendo a un dibattito di portata nazionale che si è tradotto nelle settimane scorse nella convocazione dei cosiddetti “Stati Generali”. Questo evento, al di là dei favorevoli e dei contrari, fa comunque capire come il Governo ritenga fondamentale la concertazione tra le parti sociali, cioè l’industria, i sindacati, il mondo della scuola, in definitiva tutto il tessuto che costituisce la realtà del Paese. Dunque, e questo secondo me è molto positivo, non c’è una concezione top-down, ma c’è una volontà di ascolto dal basso (bottom up), cioè l’ascolto delle esigenze delle varie categorie. Conte ha parlato espressamente di “reinventare l’Italia”, piuttosto che riformare, puntando tra l’altro sulla “semplificazione”. Due concetti molto importanti. Trasponendo questo evento nell’ambito locale, sarebbe positivo se i sindaci e le categorie economiche si facessero promotori degli “Stati Generali” qui a Ischia, per esaminare delle proposte di varia natura. Proposte che possono avere un confine locale, dunque una “gittata” circoscritta, aventi ad esempio ad oggetto agevolazioni per aziende quali quelle alberghiere, di ristorazione, in modo da favorirne il rilancio e la riapertura pur tra mille difficoltà, tenendo conto delle istanze lanciate dal Vescovo di Ischia, ma non solo. E non vanno dimenticati i movimenti sorti dalle rivendicazioni dei lavoratori stagionali per ottenere il giusto sussidio, che hanno già dato luogo a tre manifestazioni di piazza».
“Stati Generali” a Ischia: in concreto, su quali fronti si dovrebbe lavorare?
«Dentro questo scenario, una proposta specifica che io voglio lanciare è quella riguardante il cosiddetto condono edilizio. Faccio una breve premessa: dal 1985 a oggi sono passati 35 anni, cioè più di un terzo di secolo, ma sull’isola ci siamo “assuefatti”, al punto che parlare di un anno, cinque anni o trent’anni sembra quasi la stessa cosa. Delle circa 30mila pratiche che sono state presentate agli uffici dei vari comuni dall’85 in poi ai sensi delle tre leggi condonistiche (la 47/85, la 724/94 e la 326/2003) e sulle quali si sono spese milioni di pagine di giurisprudenza, ne giacciono ancora 25mila negli uffici. Se il ritmo rimarrà costante, con 5mila pratiche ogni trent’anni, ci vorranno 150 anni, cioè un secolo e mezzo. Il mio è un discorso storico, relativo a tutte le amministrazioni che si sono succedute in questi 35 anni, quindi si tratta di una bocciatura anche per la classe politica della mia stessa generazione. Ho fatto anche un altro calcolo: una serie di norme più “agevolative” potrebbero rendere più scorrevole l’esame delle pratiche. Attualmente tale esame nei sei comuni dell’isola viaggia approssimativamente alla media di 20 pratiche alla settimana. Se i Comuni, comprendendo che si tratta di un momento delicatissimo per l’economia dell’isola, accelerassero il ritmo esaminando 100 pratiche alla settimana, in circa 5 anni sarebbe concluso l’esame di tutte le 25mila pratiche giacenti. Sono numeri importanti».
Bene, la premessa è chiara, ma qual è la proposta in concreto?
«Guardi: invece di lavorare sul condono edilizio, che deve rispettare una serie di parametri, i sindaci potrebbero farsi parte attiva per allestire una proposta, anche attraverso l’organizzazione di “Stati Generali”, sull’esempio del premier Conte. Una proposta non basata su parametri qualitativi, ma piuttosto tesa a stabilire un elenco preciso di “condizioni insuperabili”: se un’istanza presenta anche una sola di quelle condizioni, la sanatoria non potrà essere concessa. Faccio un esempio: impossibile concedere la sanatoria se la costruzione è aderente al muro del Cimitero comunale, oppure è eretta sulla battigia, o comunque su suolo demaniale, o ancora su un terreno soggetto a frane. Dunque condizioni oggettive, fortemente ostative. Stilata questa proposta, essa dovrebbe ovviamente essere portata all’attenzione del Governo e poi del Parlamento, da inserire all’interno del Decreto-rilancio».
Dunque un disegno di legge “isolano” da far approvare a livello centrale.
«Sì, e le spiego i vantaggi. Se il Governo facesse propria questa proposta, la si potrebbe ricollegare a tutti quei canali di finanziamento agevolato già previsti, e mi riferisco al sisma-bonus, all’ecobonus, al bonus delle facciate, insieme a un’operazione mai vista prima in Italia: l’avere il credito d’imposta addirittura per il 110% delle spese: Si tratta di un dato importante. Sono misure che potrebbero rappresentare, nel prossimo quinquennio, un grande volano per l’edilizia, a partire dai giovani professionisti impegnati nel settore, le piccole imprese e tutto l’enorme indotto collegato».
Potrebbe citare qualche numero, anche solo a livello di stima?
«Una volta stabiliti i “paletti” di cui le parlavo, dalle informazioni in mio possesso rimarrebbero fuori dal condono soltanto un massimo del 5-10% delle pratiche: si tratterebbe di quelle costruzione che sarebbero state comunque decretate come insanabili, pratiche ferme da anni e che “frenano” l’esame di tutte le altre pratiche, che invece potrebbero ottenere la sanatoria. Le frenano, perché ostacolano lo scorrimento del protocollo. Questa è una delle tante motivazioni, non secondaria, che spiegano questa eccezionale lentezza nell’esame delle pratiche».
Se l’ostacolo è costituito da questa lentezza e da questo “collo di bottiglia”, come si può ovviare?
«La sua domanda mi conduce proprio al punto focale della mia proposta: per velocizzare tali esami, si può usare un meccanismo di “doppia autocertificazione”. Sappiamo che a Ischia la densità dell’abusivismo è stata una delle più alte d’Italia, e tale abusivismo è un vero e proprio macigno per lo sviluppo futuro e per gestire un minimo di pianificazione. Impossibile pianificare un territorio con una simile percentuale di abusivismo come quella che detiene l’isola d’Ischia: significherebbe redigere piani che nascono già “malati”. Quindi ecco la mia proposta: un tecnico dovrebbe certificare la conformità della pratica, sgravando gli uffici tecnici, i quali potrebbero comunque procedere a controlli a campione, ma la procedura sarebbe comunque enormemente più agile. Poi, con una seconda autocertificazione il proprietario, eventualmente supportato dal tecnico, dovrebbe dichiarare di non rientrare in nessuna di quelle “condizioni insuperabili” a cui abbiamo accennato, con la consapevolezza di eventuali sanzioni di carattere penale in caso di dichiarazione di falso. Ed è verosimile pensare che chi non ha la possibilità di ottenere la sanatoria non presenterà tale doppia autocertificazione. Così le 25mila pratiche potrebbero essere evase in tempi davvero molto ristretti. Il vantaggio corrispettivo è che tutte queste istanze potranno accedere alle misure del decreto-rilancio, attualmente precluse».
Dunque Lei sposta il livello del problema dal piano meramente tecnico-giuridico a quello politico.
«Guardi, sono almeno 25 anni che sostengo, provocatoriamente ma neanche troppo, che a Ischia l’architettura e l’edilizia si studiano nelle facoltà di Giurisprudenza. Molti ragazzi nel corso degli anni mi hanno chiesto consigli circa la scelta d’iscrizione alle facoltà universitarie di Ingegneria o di Architettura, presso le quali ho avuto la possibilità di insegnare: ad essi, prima di rispondere, chiedevo se avessero intenzione di lavorare qui a Ischia o altrove. Nel secondo caso, nessun problema. Ma a chi aveva intenzione di lavorare come ingegnere o architetto sull’isola, ho sempre consigliato loro di iscriversi appunto a Giurisprudenza. E a chi invece voleva occuparsi di Urbanistica, ho consigliato di iscriversi ad Archeologia: per l’isola esistono obblighi in materia urbanistica che partono dal 1942 in poi, dei quali non abbiamo rispettato praticamente nulla. Al di là delle provocazioni ironiche, ricordo che quando il sindaco mi invitò a dare un apporto nella Giunta tecnica, io lo anticipai spiegando che sono almeno 40 anni che sull’isola quando si vuole nominare un assessore “al nulla”, lo si nomina assessore all’Urbanistica, ed è una verità che non ammette smentite. Per carità, molti degli assessori negli anni passati hanno comunque tentato di adoperarsi, ma con risultati nulli: non per colpa loro, ma perché la realtà del territorio è quella che è».
Un groviglio spesso ritenuto inestricabile.
«Forse perché il punto di vista era parziale. L’abusivismo isolano, specialmente prima dell’85, ma anche dopo, è stato letto nell’ottica di danno al territorio e all’ambiente, oppure nell’ambito della dicotomia tra il cosiddetto abusivismo di speculazione e quello di necessità, o ancora nell’ottica della macchina di potere clientelare. Ma sono letture parziali, benché corrette. Un’ultima lettura, anch’essa parziale, ma che ha maggiore peso dal punto di vista socio-economico, è il fatto che in un’isola ancora oggi caratterizzata dal lavoro stagionale, l’abusivismo edilizio è stato utilizzato come il grande polmone di compensazione economico-sociale rispetto alla stagionalità degli impieghi nel settore turistico. Sei mesi in albergo, sei mesi nell’edilizia: per decenni è stata questa l’economia di Ischia, anche se da tempo il fenomeno è frenato dalle leggi che hanno contenuto l’abusivismo. Adesso, si tratta di rovesciare il punto di vista».
In che senso?
«Se per anni come grande ammortizzatore sociale è stato utilizzato l’abusivismo, cioè qualcosa che danneggiava il territorio, nel momento in cui l’emergenza-covid19 fa invocare a tutte le forze politiche da destra a sinistra un allentamento della burocrazia, noi potremmo connotare la proposta al governo che le ho illustrato appunto come un ammortizzatore sociale, ma che stavolta non va nella direzione di distruggere il territorio, bensì di ricostruirlo, di ripararlo. Attraverso questo meccanismo, invece di finire impantanati come in passato in un circolo vizioso, potremmo innescare un circolo virtuoso, perché potremmo cogliere le agevolazioni lanciate dal Governo, rimettere in moto l’edilizia, riqualificare le strutture alberghiere, metterle in condizioni di dare una risposta positiva alle problematiche post-sisma, alla tutela ambientale. I fondi che il governo e l’Europa stanno mettendo a disposizione dobbiamo incanalarli nella direzione più proficua per la creazione di lavoro e dare così un futuro ai giovani. Sono convinto che questo si possa e si debba fare».
Bisognerebbe muoversi alla svelta, per intercettare tali risorse e agevolazioni.
«Faccio un’ulteriore provocazione: negli ultimi tempi più volte abbiamo sentito gente che osannava il poco tempo che ci è voluto per ricostruire il ponte di Genova crollato due anni fa. Molti tuttavia facevano notare che per una ricostruzione così rapida è stato necessario un allentamento delle norme previste dal codice degli appalti, ci sono volute leggi speciali, una notevole rinuncia a vincoli burocratici, tant’è che c’è chi propone di fare lo stesso anche per gli altri grandi progetti infrastrutturali nazionali. Tuttavia ovviamente quando si allenta la burocrazia si favorisce la permeabilità alle infiltrazioni della malavita, con mafia, ndrangheta e camorra pronte ad approfittarne. Dunque, se l’emergenza e la crisi costringe chi governa a dover allentare i vincoli anche a rischio di consentire le penetrazioni malavitose, perché il governo dovrebbe mostrare resistenza a una proposta che realmente non presenta controindicazioni? Non c’è nessun danno nel fatto che i privati isolani – che non sono certo malavitosi – possano accedere non solo a una legalizzazione ormai attesa da anni, ma anche alla possibilità di riqualificazione in un periodo di “sospensione” dell’economia turistica, creando così le vere condizioni per un rilancio degno di questo nome».
La palla quindi passa alle amministrazioni isolane, visto che il decreto-rilancio sarà presto convertito in legge.
«Sì, ma il discorso vale anche in chiave più generale. Ai sindaci spetta il compito di innescare delle politiche basate sugli “Stati Generali”, generatrici di proposte come quella che mi sono permesso di illustrarle, ma anche di tante altre. Personalmente credo che l’ipotesi che le ho delineato potrebbe avere notevoli e positive conseguenze. Se invece i sindaci continueranno in un atteggiamento passivo, di attesa di soluzioni dall’alto, di canali istituzionali basati solo su appartenenze politiche, allora temo che questa sarà soltanto l’ennesima grave occasione perduta. E purtroppo, a differenza del passato, stavolta questa occasione perduta lascerà dietro di sé lacrime e sangue».