“Spassiunatamente”, la canzone napoletana secondo Peppe Servillo
Gianluca Castagna | Lacco Ameno
– Non si scopre l’America quando si afferma che Napoli, città paradiso abitata da troppi diavoli, abbia il patrimonio musicale non solo più ricco di tutte le altre realtà del nostro Paese, ma anche il più apprezzato a livello internazionale. Per la stratificazione della culture che vi si sono avvicendate, per l’incredibile compresenza di antico e nuovo, per l’energia misteriosa e irresistibile che sprigiona, la città è un luogo fortemente simbolico che spinge a pensare, scrivere, cantare. Non è dunque casuale la ricchezza di un repertorio di suoni che, sin dall’Ottocento, ha contribuito a far saltare tutti gli steccati tra musica colta e musica popolare. Perché se è vero che gran parte dei compositori provenivano da una formazione classica, è altrettanto vero che le loro canzoni si rivolgevano alle gente comune, raccontando, con ineguagliabile potenza melodica ed espressiva, gioie e strazi quotidiani. Ecco, questa universalità non ha mai smesso di solleticare gli artisti delle sette note, non solo italiani.
“Spassiunatamente” è un disco inciso da Peppe Servillo, leader degli Avion Travel, con i Solis String Quartet. Ma prima di essere un progetto discografico, è soprattutto un concerto di grande forza e intensità. Un omaggio alla cultura e alla canzone d’autore partenopea che Servillo, con la sua mimica e il suo volto quasi di gomma, ha affrontato attraverso una rilettura moderna che rivela il senso più profondo di certe canzoni. Perché tradizione non è sinonimo di nostalgia o intoccabilità, ma costruzione continua, dinamica, di identità.
Il concerto in piazza Santa Restituta a Lacco Ameno si apre con “Munasterio ‘e Santa Chiara”, e l’atmosfera subito s’infiamma, tanto che Servillo invita ad annullare la distanza tra palco e pubblico, con spassoso esodo di sedie e spettatori verso distanze ravvicinatissime. Ad uno ad uno i più grandi successi di Raffaele Viviani, Salvatore Di Giacomo, Roberto Murolo, Sergio Bruni, Libero Bovio, Renato Carosone, Vincenzo De Crescenzo riscrivono storie e sentimenti senza tempo:”Napulitanata”, “Malinconico autunno”,“Maruzzella”, “Io te voglio bene assaje”, canzone-fiume forse composta addirittura da Doninzetti, “Era de maggio”, sull’indissolubilità dell’amore che vince anche il periodo arido dell’inverno.
Da innamorato infelice, Servillo decanta le pene d’amore del canzoniere napoletano con grande generosità scenica, cogliendo la vitalità di una lingua che ha ancora molto da dire. E quando intona “Està (nun voglio fa niente)”, anche il pubblico si arrende al fatalismo partenopeo, a quella pausa da un mondo frenetico, disperato e senza direzione.
Vincenzo Di Donna (violino), Luigi De Maio (violino), Gerardo Morrone(viola), Antonio Di Francia (cello e chitarra) sono musicisti straordinari che dimostrano il loro talento nell’applaudissimo intermezzo acustico. Poi la scena torna di Servillo con “Dicitencello vuje” e il finale nel segno di una fenomenale trilogia malavitosa: “Guapparia”, “Serenata di Pulcinella” e “O guappo ‘nnammurato”. Nei bis “Scetate” e “Dove sta Zazà”, una delle canzoni più popolari (e fraintese) del repertorio napoletano. Un patrimonio che tra suoni, luci, passioni ogni spettatore ha fatto proprio, anche se di Napoli non è.
(foto di Angela Cacciutto)