CRONACA

Scuola, al Senato la legge sulla filiera formativa tecnologico-professionale

Per la Uil Scuola Rua l“esternalizzazione” dei processi educativo didattici sembrano proiettati verso la netta prevalenza di indirizzi costruiti con un ruolo determinante del mondo dell’imprenditoria

ll 5 dicembre scorso, presso la VII Commissione Cultura e patrimonio culturale, istruzione pubblica, ricerca scientifica, spettacolo e sport del Senato della Repubblica si è tenuta un’audizione sul Disegno di legge n. 924 – Istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale. Roberto Garofani della Segreteria Nazionale della Federazione Uil Scuola Rua, ha tenuto una relazione che impone una riflessione. “Lo schema di disegno di legge di istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale – dice Garofani – si presenta con obiettivi che, in prospettiva, appaiono indirizzati alla costituzione di un polo educativo didattico finalizzato alla crescita culturale di ragazze e ragazzi proiettati, successivamente, ad acquisire con facilità competenze tese ad avere degli sbocchi lavorativi.

Un’attenta lettura rileva, al contrario, uno schema teso inevitabilmente ad una forma di “esternalizzazione” dei processi educativo didattici tutti proiettati verso la netta prevalenza di indirizzi costruiti con un ruolo determinante del mondo dell’imprenditoria.

Tutti i fondamenti, costitutivi di una tale prospettiva, sono presenti nello schema di disegno di legge dove l’esigenza di un rapporto stretto con il mondo dell’impresa e inevitabilmente del mercato sono alla base delle reali prospettive di successo o meno delle misure per lo sviluppo della filiera formativa tecnologico-professionale. Questo per la semplice ragione che un tale esito è nella natura dello stesso schema di decreto allorché al comma 9 prevede che all’attuazione delle diposizioni, contenute nell’art. 25 bis che viene inserito ad integrazione del Dl 144 del 23 settembre 2022, si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Al netto di una tale impostazione in termini di risorse economiche è inevitabile che il contesto per lo sviluppo della filiera formativa tecnologico-professionale non potrà che poggiarsi sui finanziamenti di privati che, al di là di qualche intento filantropico, agiscono in funzione dell’interesse e del profitto.

A nostro modo di vedere non vi è una preclusione all’utilizzo di risorse esterne derivanti da impegni economici di privati e imprese, il fatto rilevante è che nello schema di decreto non sussiste nessun tipo di regolamentazione che garantisca la peculiarità del processo educavo-didattico statale, ma il processo nel suo insieme è demandato a forme di partenariato le cui formule saranno scritte in base, immancabilmente, alle esigenze di chi mette le risorse.

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A nostro avviso il progetto della filiera tecnologico professionale dovrebbe avere in sé l’esigenza di costruire, in modo prospettico, una programmazione curriculare con solide radici nel territorio che, a parte qualche specificità particolare, dovrebbe radicarsi in funzione delle molteplici potenzialità lavorative proprie di quel determinato territorio al fine di edificare risorse umane che rispondano appunto a quella pluralità di esigenze.

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Non vorremmo invece che, in virtù dei finanziamenti privati, l’indirizzo vada solo in un’unica direzione funzionale a quei finanziamenti senza una valutazione del reale impatto in termini di potenzialità di un determinato territorio e, dunque, a detrimento della conseguente capacità di dare riposte adeguate, da parte della filiera tecnologico-professionale, alle varie e diversificate possibilità di utilizzo del know-how giovanile che la stessa filiera dovrebbe produrre per aggredire fattivamente in termini lavorativi un territorio con tutte le sue varie e diversificate possibilità di lavoro.

Il rischio inoltre è che cultura di base e costruzione della personalità delle nuove generazioni che si edifica attraverso un tempo che è quello impiegato per studiare e acquisire conoscenze per poi, solo successivamente, volgersi al lavoro, si capovolga in un intento tutto volto alle sole competenze utili al mercato e soprattutto a coloro che finanziano la filiera.

n sostanza vi è a nostro parere un venir meno di un assunto importante “c’è un tempo per studiare e uno tempo per lavorare”. Uno sviluppo della filiera tecnico-professionale proiettato al mercato è insito in diversi passaggi del decreto, ma in modo particolare si intreccia con la riforma degli istituti tecnici e professionali in cui è previsto un dialogo più stretto con il mondo imprenditoriale prevedendo il potenziamento del PCTO che partirà dal secondo anno. Ma l’elemento che darà forza agli interessi del mercato e di chi in sostanza ci mette i soldi è rappresentato da un altro fattore ovvero dalla flessibilità delle quote orario a diposizione delle scuole che vanno dal 14,8% per il biennio al 17,6 per il secondo biennio che, pur rispondendo a criteri facoltativi e non obbligatori, inevitabilmente verranno utilizzate per rispondere alle esigenze di chi finanzia attraverso accordi di partenariato.

Troppo spesso in riferimento all’istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale si sentono affermazioni del tipo “la scuola deve sviluppare certe competenze in grado di far fronte ai cambiamenti del mondo globalizzato e consentire un facile inserimento nel mercato del lavoro attraverso una più marcata competitività” che non è, come sembra, una semplice frase di buon senso. È un’affermazione carica di significato politico ed economico. Assolutamente discutibile voler dare a ragazzi di 14-15 anni strumenti che possano loro garantire un inserimento in un mondo del lavoro pensato a tavolino anche con contratti di apprendistato come previsto al comma 7 lettera b dello schema di disegno di legge.

Se a tutto questo aggiungiamo che partirà la sperimentazione dei tecnici e degli Iefp con un percorso di formazione ridotto di un anno, 4+2, non possiamo che vedere con timore questa riforma, che sembra togliere piuttosto che aggiungere.

Inoltre – continua il rappresentante della Uil Scuola Rua – per la filiera professionale, l’accesso agli Its Accademy previa il raggiungimento degli obiettivi specifici di apprendimento del quinto anno di istruzione superiore, sarà certificato niente meno che dall’Invalsi spostando qualsiasi competenza in tal senso dal corpo docente di quell’istituto professionale, che conosce il percorso di ogni singolo ragazzo, alla valutazione determinata da test in base ai quali si potrà dire se si sono raggiunte le competenze o meno del quinto anno. 

Questa sperimentazione inoltre, che sulla carta sembra garantire l’esistente, vede l’introduzione nel sistema di istruzione secondaria di secondo grado di nuove figure di docenti, già presenti negli ITS, non contrattualizzate e senza indicare il monte ore e la percentuale di presenza rispetto ai docenti curricolari. Secondo noi, la fase di reclutamento dei docenti deve essere ricondotta in schemi e regole chiare e trasparenti che assicurino la qualità dell’insegnamento. Le competenze dei docenti devono essere regolarmente certificate e rientrare in codificazioni verificabili. Non è possibile che per tutti gli altri docenti siano previsti percorsi di formazione/valutazione che si allungano sempre di più (24 cfu, 30 cfu, 60 cfu) e per i docenti “provenienti dall’industria” bastino solo le esperienze lavorative.

È inaccettabile a nostro modo di vedere che la scuola debba creare semplicemente capitale umano pronto a lavorare in un’azienda. Uno studente che esce dal percorso della filiera tecnologico professionale non deve essere pronto a sapere che cosa si fa in quella determinata azienda: è l’azienda che deve investire in formazione e in capitale umano facilitata grazie alla filiera che ha edificato ragazze e ragazzi con una solida cultura e conoscenze in grado di aggredire con una salda preparazione ogni tipo di competenza.

Quindi bisognerebbe evitare di rischiare di introdurre, nel sistema dell’istruzione, un meccanismo competitivo e concorrenziale, richiamato a più riprese anche da autorevoli figure istituzionali, regolato e condizionato dal mercato per aumentarne l’efficienza. La scuola non deve piegarsi alle logiche di mercato, ma deve “sfornare” ragazzi con una salda e articolata cultura di base che conoscono i concetti fondamentali di ogni disciplina. Il mercato non può condizionare la scuola in cui, al contrario, si insegna il pensiero libero e critico.

La scuola – conclude Roberto Garofani – non è solo lo strumento per imparare a “leggere, scrivere e far di conto”, ma il luogo primo e principale per la costruzione dell’eguaglianza sociale, al di fuori di qualsiasi meccanismo competitivo e di mercato. Lo Stato ha un ruolo centrale nell’istruzione, attraverso un modello che è garanzia di laicità, gratuità e pluralismo che garantisce a tenere alto il livello qualitativo dell’istruzione, che rappresenta uno dei principali fattori di crescita economica e sociale di qualsiasi paese.

Per tali ragioni siamo convinti che lo schema di disegno di legge oggi in discussione vada rivisto e chiediamo che vengano prese in considerazione, se lo si riterrà opportuno, le indicazioni e criticità esposte dando alla proposta un quadro prospettico diverso da quello proposto”.

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