Ritorni al più presto a Ischia. La tabula istoriata Bethesdà
A circa due anni di distanza il “Sarcofago”isclano resta inspiegabilmente nei Musei Vaticani per un Mostra che la pandemia avrebbe dovuto suggerire di chiudere. Sollecitare la restituzione dell’importante reperto
Dopo le traversie subìte dalla Coppa di Nestore in terra inglese, ecco ripetersi il caso similare di un altro preziosissimo reperto archeologico, imprestato dalla Diocesi di Ischia ai Musei Vaticani nel 2019 –nei mesi precedenti lo scoppio del Coronavirus- per un Mostra importantissima che ne ha certamente accresciuto la fama.
Trattasi della lastra istoriata conosciuta come “Tabula Bethesdà”: il coperchio di un sargofago del IV secolo a.C., finemente scolpito a bassorilievo e , con molta probabilità, appartenente al sepolcro marmoreo di Giovanni Cossa, governatore dell’isola d’Ischia, tumulato nella cripta medioevale del Castello Aragonese.
Secondo la ricostruzione storica, dopo il bombardamento navale del Castello da parte della flotta inglese del 1809, i canonici della Cattedrale misero in salvo parecchie opere d’arte scampate alla distruzione, fra cui il monumento funebre del Governatore, scomposto in più pezzi e mai più ricostruito. Le quattro colonne tortili, recanti lo stemma dei Cossa, sono oggi visibili sul Fonte Battesimale della Cattedrale di Ischia Ponte, mentre la lastra di copertura del sarcofago, dopo un breve trasferimento nella residenza estiva del Vescovo al Cilento, trovò definitiva collocazione nel palazzo della Diocesi, murata sull’architrave d’ingresso dell’appartamento vescovile.
Un reperto di eccezionale valore storico e artistico, “confinato” in un luogo alquanto riservato e, dunque, non conosciuto dal grande pubblico, appare del tutto improprio; tanto è vero che sembrò quasi un inedito la pubblicazione di uno studio sul “Sarcofago Bethesdà di Ischia” a cura del grande archeologo autodidatta di Lacco Ameno, don Pietro Monti, risalente agli anni Ottanta.
Di questo frontale di monumento funebre ne hanno scritto eminenti studiosi di arte paleocristiana come il Mallardo, il Wilpert, Lawrence, Simon… trattandosi di uno dei dieci esemplari conosciuti al mondo del gruppo cosiddetto “Bethesdà” , dal nome della piscina miracolosa nella quale si immergevano i paralitici per ottenere la guarigione. Ma occorre osservare che soltanto tre esemplari recano scolpite le cinque scene evangeliche rappresentate nella Tabula: la guarigione dei ciechi, la guarigione dell’emorroissa, la guarigione del paralitico, la chiamata di Zaccheo e l’entrata di Gesù in Gerusalemme, mentre gli altri sete si presentano monchi e danneggiati.
Quella di Ischia, insieme alla Tabula Tarragonese (Spagna) e a quella Lateranense (Città del Vaticano) contengono le cinque scene e si presentano come le migliori interpretazioni, mentre quella ischitana appare addirittura come un “unicum” costituito da un puledrino che segue l’asina cavalcata da Gesù.
La tabula, per il limitato spazio occupato dai numerosi personaggi scolpiti (metri 2 x 0,60 cm.) è un vero prodigio di arte scultorea, ma vi è anche grande maestrìa nel rappresentare le varie scene allegoriche e le stesse figure ricche di panneggi che si affollano in una inquadratura spaziale molto ristretta che non consente grande libertà di manovra.
La partenza per la Diocesi di Caserta di mons. Filippo Strofaldi ha in qualche modo compromesso un’azione di sollecito presso la Santa Sede intesa alla restituzione del prezioso reperto che, sia detto senza peli sulla lingua, non avrebbe ragion d’essere in presenza di una correttezza istituzionale che, al momento, è mancata.
Come per la già citata Coppa di Nestore –che trova sempre negligenti gli Enti richiedenti in prestito i reperti- così per la tabula Bethesdà occorre un immediato intervento del vescovo Strofaldi per indurre i curatori della Mostra dei Musei Vaticani a “mollare” la lastra istoriata e –possibilmente, collocarla nei locali del Museo Diocesano per una completa visibilità al grande pubblico.