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Rispettare il pallone per rispettare il buon nome di Ischia

Partiamo da una premessa, anzi due (mi scuso con Graziano Petrucci, in fondo è il concept che utilizza abitualmente per il suo sempre gradevole Caffè Scorretto). Partiamo dalla prima. Io ho un grande, grandissimo rispetto, quasi una devota ammirazione per tutti i tifosi dell’Ischia: penso ad Ivan Di Talia ma anche a Ciro Curci, Giuseppe Patalano, Pierangelo Pesce e mi scuso se mi fermo alle conoscenze personali. Gente che dietro alla passione per una maglia e per quel nome “Ischia Isolaverde” ha speso tempo, denaro, passione e spesso rischiato anche qualche “mazziata”, a parte aver sfidato le intemperie di varia natura che sono all’ordine del giorno (e di ogni trasferta). Premessa numero due: come ogni buon isolano, almeno spero che sia così, ho molto rispetto del nome Ischia, un brand il cui utilizzo a mio avviso dovrebbe essere disciplinato e che certo non potrebbe finire in bocca a chiunque. Così, come se nulla fosse. Anche quando si tratta di utilizzarlo per il calcio. Perché pure in casi del genere si possono apparare figurelle mondiali. Intendiamoci, lungi da me essere razzista, anche perché – come ho più volte sostenuto attraverso queste pagine – la puzza sotto il naso noi ischitani non ci possiamo permettere il lusso di averla più con nessuno, ma quello che sta accadendo è francamente surreale e le ripercussioni che ne conseguono altrettanto devastanti.

Mi chiedo e, soprattutto, chiedo a voi lettori: come diavolo si fa ad acquistare un titolo di Eccellenza con squilli di tromba, comunicati, foto e selfie dai contenuti trionfalistici e poi a rimetterlo in vendita dopo dieci giorni? Cioè, che cosa è successo? E’ lecito sapere la verità? E poi, possibile che non ci fosse un euro per poter dare linfa a un progetto e ci si sia buttati comunque a capofitto? O come sostiene qualcuno l’operazione aveva finalità elettorali e… passato il Santo passata la festa? E ancora: chi è questa Angela Diana da Caserta che improvvisamente aveva assunto la presidenza del sodalizio gialloblu prima di liquefarsi e scomparire improvvisamente dai “radar”? Si dirà, ognuno è libero di fare quel che crede ed è vero ma non quando c’è di mezzo il nome Ischia ed un contesto come quello del pallone che comunque rientra nel sociale, bisognerebbe avere il buon senso di andarci con i piedi di piombo. Non si può pensare di dire vicino a cordate isolane di recarsi col “cash” entro lunedì sera altrimenti il titolo va a Pozzuoli. Già, la terra flegrea, quella dove da quando si è sparsa la notizia dell’assalto al titolo da parte dell’imprenditore Carmine Franco non smettono più, su social e siti specializzati, di prendere per il culo l’isola e la sua gente. Insomma, qui forse non ci si è resi conto che probabilmente facendo il passo più lungo della gamba (ed il probabilmente vuol essere un atto di clemenza verso i protagonisti di questa vicenda kafkiana) ci si è messi nella condizione di esporre ad una figuraccia l’intero sistema Ischia. Cosa volete che pensino al di là del mare del fatto che in una ridente ed invidiata località turistica non si è capaci nemmeno di gestire una squadra di calcio in un campionato dilettantistico regionale?

E poi c’è un discorso da fare, quello che i veri appassionati dei tifosi gialloblu non vogliono mai sentire, come quell’innamorato deluso che finge di non ascoltare quando la sua metà gli dice che “è finita”. Mettiamoci l’anima in pace: il pallone ad Ischia interessa quattro gatti di numero (lasciamo stare i momenti in cui la squadra è al top, lì vanno allo stadio pure a Cittadella, giusto per capirci), e soprattutto non interessa in termini di investimento e visibilità all’imprenditoria locale. Al netto di come è andata a finire, non è un caso se qualcosa lo abbiamo combinato solo con presidenti e personaggi come Bruno Basentini, Roberto Fiore, Lucio Varriale e Lello Carlino. Vi risulta che sulla carta di identità di qualcuno di questi signori ci sia scritto “nato a Ischia”? Meditate, gente, meditate…

gaetanoferrandino@gmail.com

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