Le praterie di Posidonia oceanica del Regno di Nettuno sono resilienti. E il loro stato di salute è buono: un messaggio importante per il futuro del Tirreno e dell’intero Mediterraneo, trattandosi di piante acquatiche fondamentali nella lotta all’acidificazione degli oceani.
Il frutto di posidonia, comunemente detto “oliva di mare” per la sua somiglianza con le classiche olive, giunto a maturazione si stacca dalla pianta e sale in superficie, lasciandosi trasportate dalle correnti. Si tratta di una classica strategia attuata dalla pianta per colonizzare nuove aree, anche a distanza dalla prateria madre.
Il frutto va poi incontro alla degenerazione del pericarpo che rappresenta una sorta di “buccia” e, aprendosi, libera il seme che si deposita sul fondale.
Molti di questi frutti, trasportati dalle correnti e dalle onde, si spiaggiano e purtroppo non genereranno mai una nuova pianta, inoltre, tra i semi che si depositano sul fondo attecchiranno solo quelli che si troveranno in condizioni di profondità ed habitat idonei alle esigenze ecologiche della pianta. Per questo motivo da diversi anni alcuni istituti di ricerca ed Enti, come ad esempio l’acquario di Genova, raccolgono frutti e semi spiaggiati in eventi simili e seguono in acquario lo sviluppo delle plantule, o germogli, per poi successivamente reintrodurli come giovani piantine in situ. Anche i nostri operatori hanno raccolto diversi semi, attualmente in osservazione, per tentare una piantumazione dei germogli in un sito ritenuto idoneo.
“La tutela della Posidonia oceanica è uno degli obiettivi cruciali di un’area marina protetta. – sottolinea il direttore del Regno di Nettuno, Antonino Miccio – Un ettaro di questa pianta può infatti ospitare fino a 350 specie diverse, e un metro quadrato di prateria oceanica può generare fino a 20 litri di ossigeno al giorno. Anche per questo continuiamo a dissuadere diportisti e bagnanti dall’adottare comportamenti che, a partire dall’ancoraggio, possano avere impatti negativi sulle praterie sommerse”.