Quella deadline alle 18 che uccide (anche) l’economia isolana
Alcuni addetti ai lavori riflettono sugli effetti delle nuove misure anti-covid sul tessuto economico e occupazionale locale
La sospensione delle attività ristorative all’interno dei locali alle ore 18.00 continua a far discutere. L’intento di evitare gli assembramenti attraverso i quali il virus Covid-19 si diffonde va comunque a collidere con le esigenze degli imprenditori, anche isolani, e non soltanto di quelli attivi nell’ambito della ristorazione, come spiega Vito Del Deo, noto titolare di alcune attività commerciali, il quale fa una riflessione articolata: «L’orario limite in questione ha comunque delle ricadute anche sulle altre attività, ad esempio i negozi di abbigliamento come quelli da noi gestiti: pur senza l’obbligo di chiudere alla stessa ora delle attività ristorative, la gente sarà meno propensa a uscire nel tardo pomeriggio e quindi ciò si tramuterà in una forte contrazione della domanda d’acquisto.
In sostanza tali negozi rimarranno aperti ma senza significative entrate, a fronte però dei vari costi fissi. Il mese di novembre sarà un periodo di “osservazione”, dunque, per capire le dimensioni dell’impatto delle nuove misure sul volume d’affari. Sull’isola tra l’altro il peggio deve ancora arrivare. Si arriverà al Natale con solo una piccola parte di consumatori che potrà permettersi gli abituali acquisti, e l’ischitano medio si trova a dover affrontare anche i successivi mesi di gennaio, febbraio e marzo: potrà arrivarci soltanto a costo di notevolissime ristrettezze, visto che l’estate scorsa molti hanno potuto lavorare soltanto due o tre mesi, e le priorità sono quelle dei consumi più essenziali. Per quanto mi riguarda, nelle prossime settimane valuterò se e come proseguire con le attività, visto che tali norme rischiano di provocare una stagnazione del settore. Potremmo decidere di partire con larghissimo anticipo con una serie di sconti, per evitare danni ancora peggiori. Il tutto, in attesa di tempi migliori».
Anche Ciro Barbieri, titolare del ristorante-pizzeria Trizz, pone più di un interrogativo sulla reale efficacia delle misure e degli orari prescritti: «Le progressive restrizioni di orari, anche per le attività di vendita d’asporto, non fa altro che aggravare la diffusione del contagio. È una mia opinione, ma resto convinto che le persone che vengono a ritirare gli alimenti per consumarli a casa, si concentreranno in determinate fasce orarie, finendo paradossalmente per aumentare le occasioni di assembramento. Se alcune decine di persone, di sera, decidono di acquistare una pizza, verranno infatti tutte praticamente allo stesso orario. Stessa cosa vale per i supermercati: a quel punto tanto vale stabilire davvero, come aveva detto qualcuno, consentire l’accesso tramite una suddivisione per ordine alfabetico. In ogni caso bisognava diluire gli afflussi, non concentrarli, anche per dare tranquillità agli addetti durante il lavoro consentendo l’applicazione dei protocolli di sicurezza, senza un’eccessiva concentrazione che può avere come conseguenza la velocizzazione delle operazioni, con una flessione della qualità.
Ciò vale anche per la ristorazione con consumo ai tavoli: viene consentita di mattina, ma non di sera. In questo modo, al di là del danno economico per la drastica flessione degli affari nelle ore serali, si rischia di creare maggiori occasioni di assembramento di mattina. Fra l’altro, credo che le misure avrebbero dovuto essere differenziate per ciascuna zona, viste le effettive diversità di condizioni tra città e provincia, come le nostre isole. Estendere il coprifuoco all’intera regione e alle stesse condizioni, è come colpire alla cieca. In ogni caso i dati scientifici ce li ha il governo e la regione, e noi non possiamo sapere se le Asl abbiano segnalato un aumento dei contagi nell’ambito del settore ristorativo, perché poi quest’ultimo viene sempre colpito in maniera più penalizzante. E comunque, potremmo anche accettare senza discutere tali obblighi, tuttavia è da marzo che stiamo subendo restrizioni di vario genere: bene, mettiamo a confronto i bilanci dell’anno precedente e quelli di quest’anno, e lo Stato ci dia la differenza. A queste condizioni, di certo accetteremmo senza discutere gli obblighi che via via vengono imposti».
Dal canto suo, Rino Pilato, responsabile provinciale del patronato Sias, riflette sull’impatto occupazionale del provvedimento: «Con queste disposizioni, anche gran parte di quelle poche persone che lavoravano anche durante l’inverno potranno subire conseguenze, fino a quella estrema del licenziamento. Nessuna paninoteca può chiudere alle 18, così come i ristoranti: i clienti non vanno mica a pranzo nel pomeriggio inoltrato. Inoltre bisognerà capire con quale tipo di contratto venivano gestiti tali tipi di rapporti lavorativi, anche nella prospettiva di probabili istanze di ristoro, pur se paradossalmente in questi giorni si sente parlare di tutto ma ben poco circa i ristori da distribuire ai settori colpiti dalle misure restrittive: si pensi al fatto che molti lavoratori addirittura non hanno ancora ricevuto i bonus primaverili. La situazione al momento è questa, e nei prossimi giorni bisognerà approfondirla, verificando le possibili specificazioni. Siamo nel pieno di un autunno caldissimo, con tanti interrogativi, visto che molti lavoratori quest’anno possono vantare pochi mesi di attività, con le ripercussioni sui sussidi di disoccupazione. Mi vien da pensare che i bonus primaverili, che iniziarono a essere versati quando molti comunque cominciarono a lavorare per qualche mese, sarebbe stato meglio fossero stati pagati adesso, in autunno, per aiutare i cittadini ad affrontare la lunga stasi invernale».