Processo Diotallevi, parla il consulente della difesa
Volge al termine l’istruttoria dibattimentale. Secondo il dottor Catena, la morte sarebbe sopravvenuta per una insufficienza cardiaca: da escludere una sepsi durante il primo accesso al pronto soccorso
Volge al termine il lungo dibattimento nell’ambito del processo volto ad accertare eventuali responsabilità nella morte di Maria Diotallevi. La donna, come si ricorderà, spirò all’ospedale Rizzoli nel dicembre del 2015, dove due giorni prima si era presentata una prima volta al Pronto Soccorso in preda a un forte malessere. Ieri mattina nell’aula penale della sezione distaccata di Ischia del Tribunale, è stato chiamato a deporre il consulente tecnico della difesa, dottor Ernesto Catena.
L’esame del consulente da parte della difesa si è dipanato in maniera tale da cercare di dimostrare la correttezza degli esami eseguiti e della terapia prescritta, oltre che dell’affermazione secondo cui la giovane paziente è deceduta per una patologia cardiaca
Secondo il medico, che ha visionato la documentazione processuale e che ha partecipato all’autopsia, l’imputata, dottoressa Pisano, aveva riscontrato i sintomi tipici di un disturbo all’apparato digerente, in assenza di sintomi che potessero far rilevare problemi ad altri organi. Una diagnosi che poi fu confermata dagli altri medici del Rizzoli, che accertarono una gastroenterite acuta. Rispondendo alle domande dell’avvocato Massimo Stilla, difensore di fiducia della dottoressa Pisano, il consulente ha escluso che gli esami compiuti potessero far individuare disturbi o patologie respiratorie. In definitiva, secondo Catena, gli accertamenti compiuti, compreso l’esame obiettivo al torace, eseguito e poi ripetuto dal dottor Di Scala, non avrebbero potuto far affermare una broncopolmonite già in atto durante il primo accesso al pronto soccorso, patologia che avrebbe provocato sintomi molto diversi da quelli rilevati. Tra questi, solo la febbre era presente durante le ore trascorse in osservazione, mentre la diarrea e il vomito sarebbero stati riscontrati in precedenza, quando la paziente era nella propria abitazione.
L’esame del consulente da parte della difesa si è dipanato in maniera tale da cercare di dimostrare innanzitutto la correttezza degli esami eseguiti e della terapia prescritta, che nelle prime ore provocò un’attenuazione della febbre, e poi la correttezza dell’affermazione secondo cui la giovane paziente è deceduta per una patologia cardiaca, precisamente per una insufficienza cardiorespiratoria, provocata da una cosiddetta “fibrillazione ventricolare”. La circostanza, secondo la ricostruzione difensiva, sarebbe dimostrata dal fatto che la “lipomatosi severa” di cui soffriva la paziente (consistente in una trasformazione di parte del muscolo cardiaco in massa grassa) provoca una fibrillazione ventricolare innescando un coma da alterazione dell’attività cardiaca.
Prossima udienza a fine febbraio, quando sarà ascoltata l’imputata, poi il giudice fisserà la data per la discussione finale delle parti
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Dunque un “coma cardiogeno”, e non un coma settico come sostiene l’accusa. In particolare, secondo il consulente il processo settico non poteva già essere iniziato durante il giorno del primo accesso perché una patologia virale come una gastroenterite acuta oppure una polmonite virale non sarebbe stata in grado, come tempistiche, di causare una sepsi, inoltre durante l’esame autoptico non erano presenti lesioni anatomico-istologiche in determinati organi facendo quindi propendere per l’assenza di sepsi. Dunque, uno shock cardiogeno, ma non septico.
Successivamente il consulente ha risposto ai quesiti dei difensori di parte civile. L’avvocato Vincenzo Aperto a sua volta ha rivolto alcune domande al consulente, in particolare per capire quale fosse la diagnosi che accompagnò la paziente al secondo accesso al Pronto Soccorso, e se lo shock septico poteva avvenire, cosa che il consulente come detto ha escluso. Infine è toccato all’avvocato Francesco Benetello rivolgere alcuni quesiti tecnici al dottor Catena, per capire se la dottoressa Pisani abbia eseguito o no una serie di accertamenti per rilevare sintomi di broncopolmonite, e come si era orientata relativamente all’ipotesi di gastroenterite. L’avvocato Benetello ha chiesto se il mancato rilevamento della broncopolmonite abbia potuto innescare l’arresto cardiocircolatorio, individuando quindi un nesso causale. Il consulente ha escluso tale nesso, in quanto, a prescindere dalla broncopolmonite, la paziente soffriva di coronarosclerosi (occlusione delle arterie) che insieme alla lipomatosi potrebbe comportare in alcuni casi anche la morte nel sonno, o magari in seguito a sforzi come un parto, vista la trasformazione di tessuto del muscolo cardiaco in massa grassa, rendendo insufficiente la pressione arteriosa.
Dunque, secondo la difesa al primo accesso al Pronto Soccorso la broncopolmonite non era ancora in atto, e sarebbe inoltre impossibile stabilire se ci fosse o meno, vista la grave cardiopatia che viene indicata come il fattore-chiave del peggioramento delle condizioni della paziente. La fase dibattimentale, come accennato in apertura, sta per chiudersi. Tra un mese verrà ascoltata l’imputata, dottoressa Pisano, poi il giudice fisserà la data per le discussioni finali delle parti in causa.