‘Presentimento’ napoletano con Peppe Servillo e i Solis String Quartet
Gianluca Castagna | Lacco Ameno – «La lingua napoletana è viva, ha una radice antica ma è assolutamente moderna, resiste anzi alla modernità esprimendo un proprio punto di vista e un proprio suono».
A tre anni dall’uscita di “Spassiunatamente”, è arrivato il nuovo album di Peppe Servillo e dei Solis String Quartet, che tornano a cimentarsi con il grande patrimonio della canzone napoletana. Servillo, cantante, attore di cinema e teatro, tra i fondatori degli Avion Travel, ha deciso di unire ancora una volta la sua voce ai violini di Enzo Di Donna e Luigi De Maio, alla viola di Gerardo Morrone ed a Antonio Di Francia, impegnato su cello e chitarra, in “Presentimento”, che è anche il titolo di uno dei brani e pezzo d’apertura del recital tenuto sabato a sera sulla terrazza di Villa Arbusto a Lacco Ameno, nell’ambito della rassegna “Campania by night”.
Un titolo significativo, perché quella del presentire è spesso la condizione degli artisti, dei narratori, come dei poeti-autori di queste canzoni, che nei loro versi presentono e annunciano segreti, tradimenti, infatuazioni, abbandoni. Qualcosa che potrebbe accadere, e che in musica e versi ci viene regalata dagli indovini della nostra vita sentimentale, accomunati tutti – all’ombra del Vesuvio – da una ricercatezza formale di grandissimo livello.
Non si scopre l’America quando si afferma che Napoli, città paradiso abitata da troppi diavoli, abbia il patrimonio musicale non solo più ricco di tutte le altre realtà del nostro Paese, ma anche il più apprezzato a livello internazionale. Per la stratificazione della culture che vi si sono avvicendate, per l’incredibile compresenza di antico e nuovo, per l’energia misteriosa e irresistibile che sprigiona, la città è un luogo fortemente simbolico che spinge a pensare, scrivere, cantare.
Non è dunque casuale la ricchezza di un repertorio di suoni che, sin dall’Ottocento, ha contribuito a far saltare tutti gli steccati tra musica colta e musica popolare. Perché se è vero che gran parte dei compositori provenivano da una formazione classica, è altrettanto vero che le loro canzoni si rivolgevano alle gente comune, raccontando, con ineguagliabile potenza melodica ed espressiva, gioie e strazi quotidiani.
Servillo affronta così una rilettura moderna, che rivela il senso più profondo di certe canzoni. Perché tradizione non è sinonimo di nostalgia o intoccabilità, ma costruzione continua, vitale e incessante di identità.
L’artista casertano, per il secondo anno consecutivo a Lacco Ameno, mescola canzoni degli ultimi due album per un omaggio di grande forza e intensità. Dopo “Presentimento” è la volta di “Palomma”, storia di una donna innamorata prigioniera di un amore sbagliato che la porterà a perdersi nella prostituzione; appartiene invece alle composizioni con una forte componente umoristica “M’aggia curà”, mentre in “Tutta pe’ mme” torna l’umanità palpitante che vibra e si agita da sempre nella canzone napoletana, quel sentimento non corrisposto che sopravvive nell’animo di chi canta malgrado ogni sforzo contrario.
La scaletta è un viaggio sentimentale dove nulla è predefinito: cambiano i toni, l’atteggiamento, i registri, le espressioni, gli autori (Bovio, Mario, Gilli, Cioffi, Carosone). Arriva “Io te voglio bene assaje”, canzone-fiume dal ritornello irresistibile forse composta addirittura da Doninzetti; “Maruzzella”, “Dicitencello vuie”, il melodramma in versione tascabile di “Malinconico autunno”. E quando Servillo, via via sempre più sciolto e travolgente, intona “Està (nun voglio fa niente)”, anche il pubblico di Villa Arbusto si arrende entusiasta al fatalismo partenopeo, a quella pausa – salvifica e benefica della controra – da un mondo disperato, frenetico, senza direzione.
«Tra queste canzoni – racconta l’artista – c’è un tema che emerge in particolare, il segreto e il tradimento. Forse è quello che facciamo anche noi rivolgendoci a una tradizione così importante, tradendola in qualche modo cercando però anche di tradurla, soprattutto presso un pubblico che è giovane e non conosce un repertorio così importante che ha dato vita in qualche modo anche alla canzone italiana».
Spazio anche per il ballo, con le coreografie di Flavia Bucciero e Movimentinactor (che talvolta però spezzano l’intensità della performance di Servillo), ma soprattutto per i fantastici musicisti che compongono i Solis String Quartet, alle prese con la strumentale “Mozartango”, ispirata alle atmosfere del tango.
I bis: “Scetate”, mandolinata di accecante splendore; “ ‘A casciaforte” («sulla propensione al risparmio»); “Dove sta Zazà”, una delle canzoni più popolari (e fraintese) del repertorio napoletano. Finalissimo con “Che t’aggia dì” (mai incisa), omaggio a Sergio Bruni, tra le Voci più profonde, veraci e significative di Napoli. Interprete di un patrimonio che tra suoni, luci e passioni ogni ascoltatore ha fatto proprio, anche se di Napoli non è.