Pithecusae al MANN per ‘Thalassa’. Tra storia, archeologia e ambiente quanti tesori nel Mare nostrum

Da Villa Arbusto al Museo Archeologico di Napoli: il Cratere del Naufragio protagonista e simbolo di una mostra straordinaria dedicata alla riscoperta del Mediterraneo e all’archeologia subacquea. I reperti di Aenaria? Assenti (come politici e istituzioni isolane…)

Un incredibile viaggio per mare seguendo le costellazioni dell’Atlante Farnese. Alla (ri)scoperta del Mediterraneo, di ciò che ha prodotto o custodito per secoli, e che oggi ci viene restituito anche grazie all’archeologia subacquea. Oltre 400 reperti, 9 sezioni espositive, video, installazioni e mostre collaterali. Per raccontare ciò che è (stato) Mare Nostrum: cultura, economia, società, religioni, natura, paesaggio. E contaminazione.
Perché i confini politici non spiegano le nostre origini. E ogni mostra, come tutti i viaggi nel passato, non consente fughe definitive dal presente: se oggi il Mar Mediterraneo sembra essere diventato quasi una barriera, l’incontro/scontro con l’Altro è solo rimandato. E mai evitabile.

C’è anche l’isola d’Ischia, e l’antico insediamento di Pithecusae, in ‘THALASSA, meraviglie sommerse dal Mediterraneo‘, mostra evento inaugurata giovedì pomeriggio al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Dal 12 dicembre 2019 al 9 marzo 2020 nella Sala Meridiana sarà possibile infilarsi in una meravigliosa rete di navigazioni, approdi, rotte marittime, porti, immersioni, scambi e commerci. Quindi ricchezza. Anche quella pithecusana.

Fin dai primordi dell’archeologia preistorica, lo studio di isole minori ha costituito uno degli obiettivi prioritari per la ricostruzione del popolamento del Mediterraneo.
Il mare diventava il collante per l’interazione tra le genti, ponte per l’incontro con altre civiltà, superficie di trasporto per nuovi insediamenti o nuove narrazioni. La cultura pithecusana partecipò da protagonista alla diffusione della grecità in Occidente, un mondo che irruppe nella mentalità delle genti italiche con la forza della filosofia razionale, la democrazia, la scienza, l’amore per la bellezza, l’edonismo e la ribellione, il soffio vitale di una curiosità trasgressiva e il piacere di un umorismo pungente.
Navigare è la sfida eterna insita nel movimento e nel rinnovamento. La volontà di affrontarla e vincerla. E naturalmente il rapporto simbiotico con il mare, mondo allettante e spaventoso nel quale i Greci nuotavano e navigavano sulle loro navi veloci, seguendo le costellazioni e puntando dritto verso l’orizzonte. Lì dove il cielo incontra il mare, nella spasmodica ricerca di raggiungere quella sottile linea blu, magari verso terre inesplorate, e poi colonizzate, da intrepidi marinai che del mare sapevano tutto: la generosità e le insidie, il fascino e l’ambiguità, la bellezza e l’orrore.

Come rappresentato nel Cratere del Naufragio, uno dei reperti più belli del Museo Pithecusae a Lacco Ameno. «Un vaso che dice tutto», ha commentato nell’incontro con la stampa il Direttore del MANN Paolo Giulierini, ringraziando la Soprintendenza per la generosità dei prestiti. Ed è proprio Elena Cinquantaquattro, Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Napoli, a tornare su un oggetto «tra i più preziosi della storia del Mediterraneo, scoperto dall’archeologo Giorgio Buchner e sul quale è ritratta una impressionante scena di naufragio: la barca capovolta, i marinai che fluttuano nell’acqua circondati da un branco di pesci che stanno per divorarli. Una scena molto vivida – ha aggiunto la Cinquantaquattro – unica nel repertorio della ceramica tardo geometrica. Importante perché materializza il tema della colonizzazione, offrendoci la prospettiva di quei coloni che giungevano in Occidente attraversando il mare e suoi i pericoli, come passo di avanzamento della conoscenza. Ritengo il Cratere del Naufragio un oggetto simbolo di questa mostra.»

Il cratere di Lacco Ameno è il più antico esempio di pittura vascolare figurativa ritrovato in Italia. La sola raffigurazione di naufragio conosciuta, oltre quella ischitana, è sul collo di un’oinochoe tardo-geometrica attica, conservata a Monaco. Sul vaso di Monaco, però, il naufrago è salvo e se ne sta seduto sulla chiglia della nave capovolta. Sul reperto ischitano, invece, sotto alla grande nave capovolta ci sono i marinai che cercano scampo nuotando fra i pesci, mentre uno di loro è già finito con la testa nella bocca di un enorme pesce. Una scena horror, finalmente ben illuminata in un allestimento che ne ribadisce, meglio che a Villa Arbusto, l’autonoma centralità valorizzandone la piena forza espressiva. Le paure più ancestrali dell’uomo, compreso il fatale passaggio nell’Aldilà.

L’arte sconfigge la morte non perché sia in grado di fermarla o rimandarla (quello spetta alla scienza), né perché la neghi in linea di principio (il gioco delle religioni): il racconto che l’artista/artigiano pithecusano ha fissato sul quel vaso crea uno spazio magico in cui lo sguardo resta vivo mentre il disastro si compie, così come la produzione artistica genera una comunità che riafferma il senso, mentre il caos irrompe nella realtà. In quella immagine straziante di corpi divorati dai pesci, o risucchiati nel baratro amaro degli abissi, c’è tutta la sfida del linguaggio alla morte, all’orrore del vuoto, alla perdita di senso.

Il cratere del naufragio non è il solo reperto ischitano inserito nella mostra: dalla Stipe dei cavalli, rinvenuta in località Pastola da Buchner su segnalazione di Don Pietro Monti, un modellino fittile di argilla che rimanda alle barche corinzie. Un oggetto votivo alle divinità del mare seppellito nel recinto di un piccolo tempio del VII sec. a. C.

Incomprensibile invece – a proposito di archeologia subacquea così doverosamente omaggiata in “Thalassa” – l’assenza di reperti da Aenaria, l’antica città sommersa nelle acque di Ischia esistita nell’ epoca romana tra il IV e il I secolo a.C. Difficoltà burocratiche? Guerre tra Soprintendenze? Scarsa volontà sinergica? Resta il mistero, al contrario della cristallina trasparenza che ormai segna la latitanza di politici e istituzioni isolane in appuntamenti culturali di così ampio respiro (e prestigio).

Dopo una grande mappa in 3D, che ripropone. con le nuove tecnologie, le meraviglie dei fondali del Mediterraneo, sono nove le sezioni in cui si articola “Thalassa”: “Tesori sommersi”; “I primi passi dell’Archeologia subacquea”; “Relitti”; “Vita di bordo”; “Navigazione, mito e sacro”; “Il mare, via dei commerci”; “Il mare e le sue risorse”; “Bellezza ed otium”; “Acque profonde”.

Nove capitoli che offrono un compendio straordinario di arte, storie e ambiente. Tra le opere in mostra, la Testa di Amazzone, copia romana di un originale greco, proveniente dal Parco Archeologico dei Campi Flegrei; la Testa bronzea del Filosofo di Porticello (V sec. a.C.), ritrovata nell’omonimo relitto ed appartenente al Museo Archeologico di Reggio Calabria; il “Tesoretto di Rimigliano”, che comprende monete di argento di età romana imperiale; il “Reshef” di Selinunte, eccezionale statuina bronzea custodita al Museo Salinas di Palermo. E ancora anfore, lucerne, gioielli, oggetti di vita quotidiana dei marinai, manufatti provenienti da Vivara, le sculture ritrovate sui fondali della Grotta Azzurra a Capri, perfino uno straordinario frammento di ingranaggio (scavi di Olbia), risalente al I sec. a.C., verosimilmente molto più antico del calcolatore di Antikythera. Completa il percorso, nella Stazione Neapolis del MANN, un focus di approfondimento sul porto antico di Napoli, svelato durante gli scavi della metropolitana in Piazza Municipio.

«La prospettiva è nuova» afferma Salvatore Agizza, che nel team dei curatori della mostra. «Il Mar Mediterraneo è studiato dal mare verso la costa e non dalla costa verso il mare. Il racconto parte dai primi straordinari reperti che il mare ha casualmente restituito alla comunità, innescando quel processo di sensibilizzazione che porterà alla costituzione della disciplina dell’archeologia subacquea, evolutasi fino alle più recenti conquiste tecnologiche della ricerca

Lo spirito è quello del progetto originario voluto da Giulierini con Sebastiano Tusa, l’archeologo di fama internazionale scomparso tragicamente l’anno scorso nel disastro aereo in Etiopia, inventore della Soprintendenza del Mare, studioso vero, intellettuale militante e generoso, che non separava mai il patrimonio vastissimo delle sue conoscenze dalla necessità di metterle a frutto per dare un messaggio di civiltà in un’epoca superficiale, sorda, imbarbarita dall’ignoranza e dal disprezzo per l’ambiente. Un paesaggio costiero distrutto, davanti a un mare, il Mediterraneo, culla del pensiero e baricentro universale di civiltà. 
«A lui e alla sua umanità sono dedicati l’esposizione e il catalogo», ha ricordato il Direttore del MANN.

Tante sono le collaborazioni, le partnership, le iniziative collaterali con istituzioni e imprenditoria. Una vale la pena segnalarla perché interessa da vicino gli isolani.
A partire dai primi giorni di programmazione della mostra e per tutto il 2020, sarà attivo l’accordo tra la compagnia SNAV ed il MANN. Uno sconto biunivoco ai visitatori del Museo e di Thalassa ed ai clienti di SNAV, ma anche una comunicazione integrata nel moderno circuito onboard delle unità della compagnia e nei video all’interno del Museo: un particolare spot spiegherà a visitatori e clienti che “L’arte ti fa viaggiare con SNAV”. E che “Al MANN si arriva anche in aliscafo”.

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