Pietro Greco racconta al “C. Mennella” la Rivoluzione Scientifica del Seicento
Gianluca Castagna | Forio – Sono molti i padri della grande svolta epocale che in Europa, tra Cinquecento e Seicento, cambia per sempre la concezione del mondo e della natura. Un cambiamento che passerà alla storia come Rivoluzione Scientifica. La scienza diventa il collante culturale che permette all’Europa di nascere. Stessi testi, stessa lingua, uno scambio libero. L’Europa acquista per la prima volta la consapevolezza di essere un’identità e gli scienziati europei del Seicento tendono a riconoscersi reciprocamente e a essere riconosciuti come membri di una comunità. Hanno un’epistemologia comune (che prevede l’integrazione tra teorie ed esperimenti), istituzioni comuni (le Accademie) un linguaggio comune. Ma anche valori condivisi che bisognerebbe inseguire tuttora: comunitarismo, universalismo, disinteresse, originalità, ccetticismo sistematico. Obiettivi che non interessano solo gli accademici chiusi nei loro rigorosissimi studi, ma ogni individuo che voglia aderire alla società democratica, non solo scientifica.
Il Prof. Pietro Greco, docente, giornalista e divulgatore scientifico (su Radio Rai conduce una perla del mattino come “RadioTre Scienza”), ha incontrato gli alunni delle classi terze dell’Istituto di Istruzione Superiore “Cristofaro Mennella”, indirizzo Tecnico Turistico, per parlare della Rivoluzione Scientifica nel Seicento. L’iniziativa, coordinata dalle professoresse Assunta Barbieri e Giovanna Tessitore, si inserisce in un ciclo di incontri e percorsi progettati dai docenti del “Mennella” e rivolti agli allievi per stimolare nei giovani l’acquisizione critica di una consapevolezza storica riflettendo, in questo caso, su un argomento affascinante come la nascita della scienza moderna nel Seicento. Settanta tra studenti e studentesse delle classi terze hanno ascoltato con interesse e attenzione la descrizione di Greco su un momento capitale della nostra storia, le cui tracce si ritrovano anche ai giorni nostri.
Una rivoluzione con molti padri, soprattutto molti antenati. Ellenisti, arabi, cinesi, Federico II e il Fibonacci, Dante sommo teorico della società democratica scientifica e le botteghe di artisti come Brunelleschi, Masaccio, Donatello. Insomma, una rivoluzione che affonda le radici nella storia d’Europa. Qualcuno azzarda perfino una data di nascita: 13 marzo 1610, con la pubblicazione del trattato di astronomia scritto da Galileo Galilei.
Da quel momento, in effetti muta l’immagine del mondo e la sua percezione. Pezzo dopo pezzo, vengono abbattuti i pilastri della cosmologia aristotelico-tolemaica: Copernico mette il Sole, invece della Terra, al centro del mondo; Tycho Brahe, pur essendo anticopernicano, elimina le sfere materiali che, nella vecchia cosmologia, avrebbero, nel loro moto, trainato i pianeti e all’idea di orbe (o sfera) materiale sostituisce la moderna idea di orbita; Keplero offre una sistemazione matematica del sistema copernicano e compie il rivoluzionario passaggio dal moto circolare («naturale» e «perfetto», nella vecchia cosmologia) al movimento ellittico dei pianeti; Galileo mostra la falsità della distinzione fra fisica terrestre e fisica celeste, dimostrando che la Luna è della stessa natura della Terra; Newton, tra i protagonisti assoluti di quella rivoluzione, dimostrò che la forza gravitazionale agisce in ogni luogo dell’universo. In verità, non muta soltanto l’immagine del mondo.
C’è anche il cambiamento — lento, tortuoso, ma decisivo — delle idee sull’uomo, sui rapporti tra scienza e società, scienza e filosofia, scienza e tecnica. L’una madre dell’altra; un paradosso (evidente) per sottolineare un intreccio fortissimo.
«La ragione per la quale abbiamo deciso di invitare il Prof. Pietro Greco», spiega la docente Giovanna Tessitore «è perché pensiamo che i saperi debbano essere conosciuti, acquisiti e accessibili ai ragazzi non solo come argomenti di studio semplicemente nozionistico. Il Prof. Greco ha parlato di scienze, certo, ma anche di filosofia, musica, arte. Non ha caso, ha introdotto la sua conferenza con l’immagine dell’ “Incredulità di San Tommaso”, dipinto di Caravaggio, forse il pittore che più di tutti testimonia nell’arte la Rivoluzione Scientifica». «L’argomento mi piaceva» continua la Tessitore, «perché le rivoluzioni che nella storia hanno significato cambiamenti epocali, sono sempre partite dalle idee. Le azioni come risultato di una meditazione profonda e non dell’istinto. Un cambiamento di prospettive che arriva da lontano, dal Rinascimento, quando il mondo medioevale si chiude per fare posto a un mondo più moderno in cui l’uomo acquisisce consapevolezza di sé. Una consapevolezza che mi piacerebbe avessero anche i nostri studenti nella loro vita. Galileo sosteneva che per conoscere il mondo bisogna avere gli occhi della fronte e gli occhi della mente. Una mente aperta, in altri termini. E’ la sfida della nostra scuola: molti vorrebbero chiuderle, queste menti, mentre io e le colleghe, combattiamo come gladiatori nell’arena perchè avvenga il contrario».
«Come insegnanti, combattiamo contro l’omologazione, le consuetudini, lo strapotere della tecnologia», aggiunge la docente Assunta Barbieri, «Lavoriamo affinché i nostri allievi acquisiscano un pensiero critico che permetterà loro di fare scelte consapevoli, autonome , non indotte dai social, dalle abitudini oda un sistema tecnologico oppressivo. Li aiutiamo a sviluppare la capacità di discernere quello che per loro è giusto o no, è buono o meno, perché ognuno di loro realizzi le sue vere attitudini».
Nessuna difficoltà a orientarsi in uno scenario così articolato e complesso? «I ragazzi sono molto curiosi» spiegano le docenti, «all’inizio un po’ in difficoltà, perché approcciano termini e correnti filosofiche non familiari visto che – purtroppo – agli istituti tecnici non si insegna la filosofia. Alla fine, trovando la strada giusta, li abbiamo portati a comprendere i concetti cardine per affrontare questo incontro senza mai smarrirsi. Hanno seguito e apprezzato la lezione, facendo anche qualche domanda davvero spontanea e hanno chiesto al prof. Greco, grandissimo comunicatore, di tornare presto».
Prof. Greco, cosa abbiamo ereditato, o perduto, della grande Rivoluzione Scientifica del Seicento?
«Quel grande tema del valore della scienza è ancora un valore condiviso dalla gran parte degli scienziati, attaccato però dal tentativo dell’appropriazione della conoscenza che, in un’ottica di mercato, molte aziende fanno legittimamente. Il problema nasce non tanto dal fatto che esiste una scienza applicata realizzata da aziende private, ma da una scienza pubblica marginale, una scienza finanziata con soldi pubblici, in cui la conoscenza è assolutamente trasparente, accessibile per tutti, che risponde alle domande di curiosità degli scienziati. Se noi riusciamo a preservare questi ambiti, finanziando questo tipo di ricerca, che è vero motore dell’innovazione tecnologica, abbiamo salvato l’essenza della scienza del Seicento».
Abbiamo parlato di Alessandria come capitale della conoscenza dell’antichità. E oggi? Le capitali sono forse centri virtuali?
«Oggi non esiste una sola capitale, esistono degli assi. In altri termini non c’è una singola città, ma svariate capitali distribuite fortunatamente in varie parti del mondo. Fino a 100 anni fa l’asse scientifico del pianeta era centrato sull’Europa, la quasi totalità della scienza veniva fatta qui. Dagli anni Trenta del Ventesimo secolo, l’asse si è spostato negli Stati Uniti, che restano tuttora il paese principale, anche se registriamo un ulteriore spostamento dall’Atlantico al Pacifico. Oggi la gran parte degli scienziati vive in Asia, il più rapido sviluppo delle attività scientifiche è nel continente asiatico, con un unico limite: prevale il pragmatismo».
Eppure la spiritualità è una componente importante del continente asiatico
«Spiritualismo e pragmatismo sono stati sempre presenti nella formazione e nel carattere degli asiatici. Da un punto di vista scientifico, sta prevalendo il pragmatismo. Con qualche ripensamento: il Giappone, che ha avuto un approccio estremamente pragmatista dagli anni ‘50 agli ‘80 ha compreso i limiti del pragmatismo. Il Giappone ha creato il numero più alto di ingegneri al mondo, ma ha capito che occorrono investimenti nella scienza di base. Non basta usarla, ma crearne di nuova. Continuamente. Da una ventina d’anni ha cominciato a finanziare a finanziare la scienza di base e oggi si vediamo gli effetti: sono molti i premi Nobel attribuiti ai scienziati giapponesi».