Piano & Jazz: il ritorno di Peppino di Capri a Ischia, lì dove ebbe inizio la sua storia
di Isabella Puca
foto Tommaso Monti
Lacco Ameno – Manca solo un giorno al grande ritorno in musica di Peppino Di Capri sulla nostra isola. Domani sarà infatti protagonista di un’altra serata firmata “Piano & Jazz” che avrà luogo alle 22.45 all’arena del Negombo. «È un rientro sentito – ci racconta Peppino Di Capri – mancavo con un concerto a Ischia da quattro anni. Domani sera farò tutto Peppino DI Capri, con Champagne, Roberta; la gente vuole sentire queste canzoni qui e non puoi relegarle in un medley finale. Oserò poi con qualche pezzo recente meno conosciuto, magari per spingerlo un po’. Dico sempre che i pezzi diventano famosi perché sono suonati, ascoltati e cantati. E poi la gente quando impara una canzone non se la scorda più, è come andare a sciare, una volta che impari lo sai fare per tutta la vita». Sarà quindi un concerto con tutti i più grandi successi di questi 58 anni di brillante carriera e forse, qualche sorpresa. Con lui sul palco dell’arena del Negombo i suoi musicisti di sempre e un quartetto d’archi. «Mi piace restare nel mio genere. Nell’album “Magnific” ho osato un po’ con alcuni arrangiamenti dal mood americano e tutti vorrebbero che facessi magnific 2, ci sto pensando! Il jazz è una grande scuola, una scuola d’obbligo. Ti permette di giudicare se sei all’altezza». Quello a Ischia di Peppino di Capri è un po’ un ritorno alle origini; era il 1958 e nel Rancio Fellone fu notato da un agente milanese che lo spinse verso il successo, «la fortuna passa in un attimo e la devi cogliere. Questa è stata la mia opportunità. Tra il pubblico del Rancio Fellone c’era l’avvocato Lena, un avvocato napoletano che conoscevo bene. Fu lui a chiamare Milano per chiedere di mandare qualcuno che ci venisse a sentire. Lo fecero sul serio. Era piena estate e ricordo che mi offrirono una coca cola e ci dissero “preparate 10 provini così venite a Milano”». Tra questi provini c’erano “Malatia”, “Nun è peccato”, brani che sono tutt’oggi un successo internazionale, «ricordo che ci diede una cifra forfettaria, 50 mila lire a disco e dovevamo pagarci pure vitto, alloggio, lavatura e stiratura. I singoli vendettero l’ira di Dio, ma la cifra per noi era sempre quella! All’epoca ci chiamavamo i Rockers, ma quando pubblicarono i provini volevano il nome del cantante. Il mio nome vero è Giuseppe Faiella, non era molto bello, fu il chitarrista ad avere l’idea: Peppino Di Capri! Mi chiamavano tutti così e venivo da Capri. Dopo 12 anni scadde il contratto, volevano che lo rinnovassi, ma dissi no. Era il periodo dei cantautori e mi misi in proprio. Fondai la mia etichetta, se dovevo sbagliare dovevo farlo da solo». Gli occhi gli si illuminano quando gli chiediamo com’era Ischia allora, «era stupenda, affascinante tutto vero tutto al posto giusto. Quel Rancio Fellone era micidiale, fatto da Sandro Petti, era proprio una bomboniera; nella sua semplicità era l’isola che viveva. I ragazzi sui muretti con gli zoccoli a sentire le canzoni perché non avevano i soldi per entrare, gli altoparlanti che non erano quelli di oggi, ma delle cassette appese sugli alberi con uno spago. Per fortuna il mio timbro di voce è nato in quell’atmosfera, vicino al mare, con la luna piena. Sarà l’eco, il riverbero che si presta a queste situazioni e favorisce il tutto poi il cuore sono le canzoni ovviamente». Sono tanti i ricordi che legano la storia di Peppino di Capri all’isola d’Ischia uno di questi fu quando Ugo Calise gli portò il testo di “Nun è peccato”, «ricordo che era piena estate, Ugo Calise venne al Rancio Fellone in pieno sole, a mezzogiorno, e mi disse “vieni qua sciocchino”. Avevo 18 anni, mi fece sedere e mi fece ascoltare “nun è peccato”. Voleva che la suonassi la sera stessa che lui sarebbe stato al locale con certi amici. Iniziai a provarla e la sera gliela cantai». Indimenticabili le notti al Monkey bar, al Pignatiello e al Castillo De Aragona, «nel ‘70 vinsi il festival di Napoli e venni con un motoscafo per cantare al Castello e c’era tantissima gente che mi aspettava sul molo. I miei genitori poi erano severissimi; quando chiamai mio padre per dirgli di aver vinto mi rispose “eh” come se fosse un diritto per me vincere». E vincente fu pure l’idea di riproporre i pezzi della musica napoletana alla sua generazione, «erano canzoni che mi cantava la mia mamma, ma erano bellissime e la mia generazione non li conosceva. Non fu una cosa programmata a tavolino, ma fu spontaneo. All’epoca era così o piacevi o non piacevi, nessuna mezza misura». Ancora oggi le versioni di Peppino Di Capri di quelle canzoni fanno il giro del mondo. Quindici sono le edizioni del festival di Sanremo a cui ha partecipato, due le edizioni vinte. Da allora la musica italiana è cambiata, ma lui continua a far parte della storia. «Non so se è un’evoluzione naturale secondo me è forzata dalle tendenze commerciali, mai mi sarei immaginato che l’Italia avrebbe vissuto con il rap; noi che siamo gli inventori del Melodramma, famosi per l’opera, siamo finiti per fare da dara para paraa pa. Cerchiamo di fare queste cose perché vendono, qualcun mi ha chiesto di farlo “ma voi siete pazzi?” gli ho risposto». Ogni concerto porta con sé suggestioni diverse, emozioni che non sono provate solo dal pubblico, ma anche dall’artista, «la cosa più bella di questo mestiere è che mentre tutti fanno quello tutte le sere, noi cambiamo, ad esempio, modo di accompagnare l’assolo di chitarra, per cui ci sono delle canzoni che delle sere vengono al di là delle aspettative e a fine serata ci facciamo i complimenti». Se c’è una canzone che Peppino di Capri sente cucita addosso come un abito è “i miei capelli bianchi” presentata in anteprima a “Porta a porta”, «neanche a farlo apposta, – ci dice – è la mia 500 esima canzone incisa. Racconta la storia di quest’umo che tira le somme della sua vita. E poi c’è il sognatore, un’altra canzone in cui m’identifico». La musica italiana secondo Peppino di Capri ha seguito un corso e poi ha avuto una forzatura, «non ricordo mai un festival di Sanremo con tutti giovani tra i cantanti – ci dice – chi paga il canone ha anche più di 50 anni e non puoi fare più di due ore di spettacolo con una fascia dai 30 in giù. Questi talent li chiamo la fabbrica delle delusioni, su 60 mila ragazzi ne arriva solo uno, non sai a chi credere e sbandi pure tu. La cosa più forte non farsi prendere dalle mode. Ad esempio, mi piace molto Tiziano Ferro lo trovo vero, originale con un bel timbro di voce, è una star e poi Jovanotti, per me è un poeta, è un altro numero uno come anche Vasco Rossi in cui la gioventù di oggi ci si rivede così come pure i miei tre figli». Igor, Eduardo e Dario sono i tre figli di Peppino, artisti come il papà, l’ultimo, Dario, 30 anni, è un attore, mentre Eduardo suona in una cover band degli U2, «mi ha detto che vorrebbe rifare tutti i miei brani più famosi in versione dance, aspettiamo di vedere che succede». Dopo 58 anni di carriera il successo di Peppino Di Capri aumenta sempre di più così come la sua notorietà anche tra i giovanissimi, soprattutto grazie alla partecipazione all’ultimo film di De Laurentiis “Natale col boss”, «De Laurentiis me lo disse che avrei avuto un grande successo di pubblico, ma è stata una parentesi sono due mondi paralleli, magari, ma da tenersi a distanza. É stata una bella esperienza quando mi sono visto la prima volta non mi sono capito, nel rivederlo ho compreso tante sfumature che mi erano sfuggite e mi sono detto “agg fatt stu poc ben e Dì?”». Dopo Ischia lo aspetta il Sistina a Roma e l’Augusteo di Napoli i primi di ottobre e una tournee in Brasile a novembre dove sono davvero pazzi di lui, e se gli chiediamo quando la prossima volta a Ischia, ci risponde «l’anno prossimo vorrei inventarmi qualcosa di strano, ma deve essere una cosa unica, fatta per Ischia». Sabato sera, subito dopo la partita del Napoli, Ischia potrà rivivere le atmosfere degli anni ’70, ritornando, per una sera, l’isola della musica in riva al mare. «Quando ho capito di essere diventato un artista? Beh, sono gli eventi che ti portano. Essendo nato a Capri ho vissuto nell’ovatta, in mezzo ai personaggi, mi sembrava normale, scontato, come se fosse stato tutto scritto. Poi arrivi all’età che ti guardi allo specchio e ti chiedi se è tutto vero o solo un sogno e allora ti rendi conto che qualche cosa deve essere successo per forza per arrivare così, a 58 anni di carriera».