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Perchè allenandosi migliora la prestazione?

Angelo Roja

 

Alcuni tecnici e molti atleti pensano che allenando in maniera “esasperata” la forza massima si può determinare il salto di qualità nel miglioramento del risultato sportivo.

Il Prof. C. Vittori sosteneva già negli anni ’70 che “l’anello più debole della catena, costituita dalle capacità motorie, ne condiziona la resistenza totale”. Questo vuol dire che se la carenza di forza condiziona negativamente una prestazione sportiva è anche vero che un eccesso della stessa non rende più forte la “catena” delle capacità che portano al risultato.

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Ogni gesto e attività motoria è il risultato sinergico delle varie capacità motorie, con accentuazione di quella richiesta dalle caratteristiche specifiche dell’attività sportiva svolta. Leggendo alcune riviste del settore, sembra che le fibre rosse, poco veloci e poco ipertrofizzabili, siano una malformazione congenita, oppure non si capisce perché debba esistere un ormone catabolico come il cortisolo? La sopravvivenza all’ambiente per perpetrare la vita è il fine ultimo di ogni organismo. La sopravvivenza si attua con un adattamento agli stimoli che l’ambiente stesso fornisce. Viceversa, l’adattamento è la strategia che l’organismo attua per sopravvivere.
Dato che la chiave è l’adattamento, è esso che va studiato. In qualunque testo scientifico leggiamo che il modello attualmente accettato definisce adattamento come la messa in atto di una soluzione che un individuo fornisce a un determinato problema postogli dall’ambiente. L’ipertrofia è uno e mi raccomando, uno, degli adattamenti che il corpo attua per sopravvivere all’ambiente. Non c’è niente di miracoloso, chi è un patito di videogiochi, sviluppa nuove abilità di coordinazione mani-occhi e riesce a finire i quadri a livelli sempre difficili. Se una macchina avesse le stesse nostre capacità di adattamento, diventerebbe una 4×4 su un terreno sconnesso e una macchina da corsa in pista. Il corpo umano si adatta all’ambiente ottimizzando al massimo la soluzione al problema che l’ambiente stesso gli ha posto. E’ il principio dell’efficienza, l’adattamento si manifesta con le risorse minimali per risolvere il problema. L’adattamento è, perciò, specifico. Banale, possiamo essere molto forti ma non molto resistenti. Possiamo essere entrambe le cose, ma non allo stesso livello di performance delle due singole richieste. Perché nel primo caso il “problema” sarà “essere forti ” o “essere resistenti” e l’adattamento sarà specifico, nel secondo caso il “problema” sarà “essere forti e resistenti” cioè un problema diverso e più complesso. Noi non ci possiamo sdoppiare, le risorse sono sempre le stesse e si ripartiscono semplicemente in maniera diversa.

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Espressione della Potenza muscolare.

 

Le varie discipline sportive sono in genere caratterizzate, più che da espressioni di forza pura, da movimenti estremamente dinamici sia del solo corpo in relazione all’ambiente, che del corpo contro una resistenza esterna, ovvero la potenza muscolare (forza x velocità di spostamento del carico). A questo punto entrano in gioco anche le capacità di rapidità e velocità in quanto, specialmente la seconda, collegata all’espressione della Potenza e, ambedue, caratteristiche prevalenti di molte discipline sportive.

Noi sopravviviamo per una risposta specifica a uno stimolo.

L’allenamento è il “problema” che l’ambiente ci pone, la risposta all’allenamento è l’adattamento a questo problema. Una delle “leggi” universali la cui applicazione ci servirà per migliorare sempre è quella che Zatsiorsky definisce accommodation law e che Poliquin chiama legge dei miglioramenti decrescenti. La accommodation law asserisce che un oggetto biologico sottoposto a stimoli costanti risponde con adattamenti decrescenti allo stimolo stesso. Tenete a mente frase perché è questa che determina il successo dei vostri allenamenti. Il “problema” che l’ambiente ci pone è la “prestazione obbiettivo” che vogliamo raggiungere.
Supponiamo che si rompa l’ascensore e siamo costretti a fare 6-7 piani a piedi, cosa succede? Se la prima volta sbufferemo come una locomotiva, in poco tempo riusciremo a farcela con molta meno difficoltà e dopo poche volte ancora sarà quasi normale fare 6-7 piani di scale a piedi. Ci siamo adattati allo stimolo e non c’è bisogno di migliorare ulteriormente. Una volta raggiunto l’adattamento, non c’è motivo per cui l’organismo “migliori” ancora. In altre parole, all’inizio, nel tempo T1 otterremo un buon miglioramento, che chiameremo P1, ma nei successivi intervalli identici fra loro, il miglioramento sarà sempre meno. Per l’efficienza dell’adattamento stesso, è più conveniente non dirottare energie nel miglioramento di un qualcosa che non ha bisogno di essere migliorato. Chiaramente, c’è un limite a tutto questo: se le rampe fossero 50 faremmo un botto alla prima. Cioè accadrebbe una cosa del genere: se l’adattamento richiesto è troppo, il vostro organismo non ce la fa, e crolla. Se invece di 50 rampe di scale, queste fossero 12 cioè un “problema” difficile ma non impossibile, ecco il risultato. Riuscite cioè ad adattarvi all’ambiente, ma non potete mantenere quest’adattamento. Perché, come sempre, l’adattamento è un processo dinamico, un equilibrio instabile. Dodici piani di scale si possono fare continuativamente solo se siete in salute, se non avete borse della spesa, se avete dormito bene di notte.  Per “stimolo” infatti, s’intende la somma di tutte le richieste ambientali, i 12 piani e tutto il resto. Tutte queste cose possono variare anche nel caso di 5 piani, ma la somma di tutti gli stimoli compresi i 5 piani anche nel peggiore dei casi è sempre sopportabile dal vostro organismo, mentre se sostituite 5 con 12, ci saranno momenti in cui lo stimolo totale è oltre la capacità di adattamento del vostro organismo, a meno di essere un maratoneta.

Un collegamento perfetto con l’allenamento in palestra.

Come mai riuscite a fare uno spettacolare massimale oggi al termine del megaprogramma russo ma domani imploderete su voi stessi? Perché il massimale è uno stimolo inadattabile. Se lo fosse, non sarebbe un massimale, ma qualcosa di gestibile in qualunque condizione, cioè uno stimolo non massimale. Quando centrate un massimale, avete raggiunto il culmine dell’adattamento specifico alla domanda che avete espresso al vostro organismo, e lo avete raggiunto nelle condizioni interne ed esterne ottimali. Come tutte le attività al limite, un cambiamento infinitesimale di una qualunque di queste condizioni vi porta a non essere in grado di ottenerlo di nuovo. Ecco un esempio che piacerà ai palestrati: supponete di fare squat sempre e solo in 3×8 o 3×3. All’inizio otterrete un buon miglioramento nel senso che riuscirete a mettere sempre più peso sul bilanciere, ma in seguito, il miglioramento sarà sempre più ridotto, e alla fine cesserà.
C’è una differenza sostanziale fra i 7 piani di scale e questo 3×8 o 3×3. Nell’esempio precedente lo stimolo è veramente fisso (i 6-7 piani di scale), nello squat il carico varia di volta in volta, cioè lo stimolo è sempre incrementato. Perciò la progressione cessa se ad esempio lo stimolo è troppo elevato, cioè se carico troppo.
Se caricassi di meno, o con incrementi sempre più piccoli, potrei proseguire. Oppure, potrei fare un 3×8 a carico costante, adattarmi, poi incrementare nuovamente il carico, adattarmi e così via. Posso incrementare sempre di meno il peso, in maniera da poter riuscire ad adattarmi comunque. Notate che se possiamo vincere diverse battaglie, alla fine la accommodation law vince la guerra. State facendo sempre le solite cose e questo porta all’adattamento del vostro corpo e perciò alla fine i miglioramenti cessano.

 

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