Novembre, comunione di amore tra vivi e defunti

La speranza che è in noi

di Pasquale Baldino e i suoi Tralci

L’affettuoso ricordo delle persone defunte, a noi care, ci accompagna lungo tutto l’arco dell’esistenza: sono nomi, che ci portiamo dentro, nel cuore, che suscitano fremiti e rimpianti. Sappiamo che, solo la fede, pur lasciandoci nella sofferenza, riesce a guidarci a quel passo estremo, che è la morte, rasserenando i nostri pensieri. Che forza e quale consolazione poter dire di fronte alla prospettiva della vecchiaia e della morte: “Ma, dopo tutto questo, risorgerò”. La vocazione del cristiano è una vocazione alla vita eterna. “Noi non abbiamo la nostalgia del passato, ma dell’eterno”. A volte può sembrare che Dio sia lontano, che Egli ci abbia abbandonati, ma, in realtà, Egli aspetta con impazienza il momento, in cui, potrà fare per noi quello che ha fatto per Cristo, il suo Figlio Unigenito: accostarsi al nostro sepolcro, come ci si avvicina, con infinita delicatezza, alla culla di un bimbo, che dorme e destarci dal sonno della morte. Nel Vangelo, Gesù chiama, a volte, la morte “sonno” (Gv 11-11), perché sa che da essa ci risveglieremo, non per rivivere una vita corruttibile e piena di affanni come prima, ma, per vivere una vita radicalmente nuova, appagati dalla visione di Dio “ faccia a faccia” e ricolmati della sua consolazione. O le esistenza è illuminata da questo mistero cristiano della Morte-Risurrezione del Cristo oppure essa non si salva dalla disperazione, dal nulla. “Il crocifisso è Risorto!”: ecco il grido di vittoria, in cui si riassume la speranza cristiana nel suo più autentico spessore e fulgore. “Se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell’immortalità futura. E mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel Cielo.”: così viene proclamata in uno stupendo prefazio della Messa dei defunti, vibrante di umanità e, nel contempo, turgido di divina certezza. La fortuna di noi che crediamo è di conoscere il perché delle cose. Solo chi vive nella luce della Fede riesce a salvare la ragione: la ragione dei nostri atti, delle nostre celebrazioni, della nostra vita. La Pasqua è un evento di vittoria: la vittoria di Cristo sulla morte. Cristo è la “primizia”: richiede il resto del raccolto. Nel nostro caso: è risorto Lui, nostro Capo; risorgeremo, anche noi, sue membra. Cristo è il Primo dei risorti, che attende tutti noi! Che messaggio confortante sapere che siamo fatti non per perire nel nulla, ma per vivere per sempre. Portiamo, dentro di noi, questo seme di eternità, che aspetta di esplodere il giorno della nostra ultima Pasqua ossia quando verrà l’ora della nostra morte, che segnerà il nostro passaggio verso l’incontro definitivo con il Signore, permettendoci così di essere sempre con Lui. Scrive un grande teologo contemporaneo: “io attendo, mio Dio, nella pazienza e nella speranza. Attendo come un cieco al quale si promette la luce” e in una sua riflessione: “si può diventare, impazienti, stanchi, scettici o amari, perché il mistero impiega parecchio tempo a disvelarsi in beatitudine. Ma vale la pena di attendere il giorno che non conosce tramonto”. Quel giorno che è arrivato anche per nostro padre, prof.Pasquale Baldino, ma la fede ci fa tenere sempre viva dentro di noi la prospettiva finale della nostra esistenza e ritrovare la significazione di quello che ci attende: “ camminare coi piedi per terra, ma con lo sguardo rivolto al Cielo”,così come amava ripetere D.Bosco. E nostro padre, che ha passato la vita a cercare Dio, sicuramente dopo la morte Lo possiede e potrà goderlo per l’eternità, così come diceva S.Agostino.

La preghiera è il primo gesto della Chiesa per i defunti: lo fa nel rito della sepoltura, in giorni particolari ( anniversari, 2 novembre) e, in ogni giorno dell’anno, quando viene celebrata l’Eucaristia. La preghiera per i defunti è tradizionale nella Chiesa. Perché pregare per loro? Perché, anche chi muore in stato di grazia, restano residui di male, di egoismo, di cattiva volontà. Il mistero Pasquale che S. Paolo esprime come un passaggio obbligato dal vivere secondo la carne al vivere secondo lo spirito,richiede non solo la remissione e il perdono del peccato, ma anche una continua trasfigurazione dell’esistenza, una penetrazione sempre più nel profondo fino alle radici del nostro essere per renderlo totalmente “ incontaminato” davanti a Dio: cosa che non è facile raggiungere nella vita presente. Perciò, nel momento della morte e nella vita dopo la morte, l’uomo deve continuare a ricevere la purificazione che ulteriormente resta da compiere per potere essere membro di quella Chiesa senza macchia né ruga che Cristo vuol presentare al Padre. Secondo l’insegnamento della Chiesa, che è estremamente sobrio al riguardo, chi esce dall’esistenza terrena non completamente purificato, deve essere purificato in Purgatorio. Inoltre, per lo scambio vitale della comunione dei santi, che non è solo una verità da credere, ma anche una realtà da vivere, le preghiere e le opere buone dei vivi hanno il potere di intervenire presso Dio a vantaggio dei defunti, che ancora sono in fase di purificazione e di crescita nell’amore prima di incontrarsi con l’infinita carità di Dio: la comunione dei santi è così di aiuto agli uni ed infonde negli altri consolazione e speranza. Il nostro Dio, come si è definito lui stesso, è il “Dio dei viventi, non dei morti”. Alla fine dei tempi, Egli non vuole regnare su un immenso, desolato cimitero, ma intende essere glorificato, per tutta l’eternità, dalla sconfinata e vibrante comunità dei salvati.

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