Nella chiesa più alta dell’isola svetta San Nicola sul Monte Epomeo, estremo confine tra terra e cielo
San Nicola dell’Epomeo ha ispirato anche il canto popolare della ‘Ndrezzato con parole riferite al vecchio monte ed a due innamorati, i cui struggenti versi d’apertura e poi centrali sono le seguenti: 'Ncopp Santu Nicola alleramente, a tutt' o munn' corr' tanta gente, - chi cu chitarr' e chi cu mandulin', pe' ravvedè lu sole a la matina - 'Ncopp' Santu Nicola era abellezza oje né, e quann' spont'o sole so cose a se vedè - 'Ncopp' Santu Nicola era a bellezza oje né, e quann' spont'o sole so cose a se vedè - M'aggio truvat' a nenna a l'epomea, l'aggio spiat' si vo fa l'ammore -E 'm'ha rispost' bell' e appassiunata, ma vall' a dire allu' mio genitore - 'Ncopp' Santu Nicola era a bellezza oje né, e quann' spont'o sole so cose a se vedè -'Ncopp' Santu Nicola era a bellezza oje né, e quann' spont'o sole so cose a se vedè
La Chiesa più alta dell’isola si trova in cima al nostro Monte Epomeo, dove si venera San Nicola e lo si festeggia il 6 dicembre di ogni anno, oggi in questa domenica del Signore con il Covid-19 che anche in questa occasione vuole fare la sua dannosa parte, bloccando la tradizionale processione che si svolge negli spazi e lungo l’impervio percorso intorno alla vetta.
Don Pasquale Mattera Parroco a Fontana e da pochi giorni amministratore parrocchiale a Serrara Ciglio in sostiuzione del compianto Don Angelo di recente volato al cielo, celebra la messa solenne seguita dal sindaco Rosario Caruso , dal vice Cesare Mattera già sindaco negli anni precedenti e e da molti fedeli devoti del Comune montano, di Ischia e degli altri centri dell’isola. Si rinnova cosi, anche se con evidenti limitazioni, la tradizione di San Nicola a Serrara Fontana. In tanti sù per la vetta dell’Epomeo verso la chiesa di alta quota dell’isola, dedicata a San Nicola. Qui il 6 dicembre di ogni anno si svolge una delle feste religiose più caratteristiche dell’isola di Ischia. Lo scorso anno l’appuntamento fu di quelli speciali, con un clima bellissimo e una condizione ideale per la classica passeggiata campestre. Quest’anno invece col tempo inclemente e con la triste vicenda della pandamia che semina contagi e morte nel mondo, il Italia, in Campania e in percentuale per fortuna non elevata anche nella nostra isola, San Nicola dell’Epomeo oggi non è accolto come si vorrebbe.
Ma la storia e la tradizione non si oscurano mai. Vi è sempre chi le vive e le descrive sfidando gli eventi avversi. Come facciamo noi affermando che nella ricorrenza odierna domenicale e quindi festiva coinvolgente, ecologia e devozione si rincontrano all’insegna di una antichissima tradizione. Si può parlare di un pellegrinaggio religioso,che oggi non avviene, tutto in salita per il doveroso omaggio al santo, la cui storica effige trovasi all’interno della piccola chiesetta solennizzata da celebrazioni e riti, la celebrazione della messa e poi tutti in processione con la statua del santo portata per i sentieri del monte a benedizione di tutti i campi e le terre coltivate. Dopo la processione che rappresenta il sacro, si passa al rofano e godereccio appuntamento con la tavola. Panini, salsicce friarielli e buon vino e sopratutto una ottima ‘occasione per visitare il vicino Eremo di recente rifatto e riaperto al pubblico.
Tutto questo è San Nicola dell’Epomeo che ha ispirato anche il canto popolare della ‘Ndrezzato con parole riferite al vecchio monte ed a due innamorati, i cui struggenti versi d’apertura e poi centrali sono le seguenti: ‘Ncopp Santu Nicola alleramente, a tutt’ o munn’ corr’ tanta gente, – chi cu chitarr’ e chi cu mandulin’, pe’ ravvedè lu sole a la matina – ‘Ncopp’ Santu Nicola era abellezza oje né, e quann’ spont’o sole so cose a se vedè – ‘Ncopp’ Santu Nicola era a bellezza oje né, e quann’ spont’o sole so cose a se vedè – M’aggio truvat’ a nenna a l’epomea, l’aggio spiat’ si vo fa l’ammore -E ‘m’ha rispost’ bell’ e appassiunata, ma vall’ a dire allu’ mio genitore – ‘Ncopp’ Santu Nicola era a bellezza oje né, e quann’ spont’o sole so cose a se vedè -‘Ncopp’ Santu Nicola era a bellezza oje né, e quann’ spont’o sole so cose a se vedè. Sono vari i San Nicola che vengono ricordati e venerati nel mondo,C’è San Nicola di Bari, San Nicola di Myra, San Nicola da Tolentino, San Niccolò, Santa Klaus e Babbo Natale, ciascuno con una storia ed una identità ben precisa.
E c’è Santu Nicol dell’Epomeo che con la sua Chiesetta è quello che ci riguarda più da vicino con la sua storia e presenza di un frate, il famoso Eremita dell’ Epomeo. La montagna simbolo del sacro, la vetta come luogo sublimato di elevazione spirituale, l’ascesi vissuta lontano dal mondo. Anche la faccia mistica dell’isola di Ischia la si trova in cima. Scalando l’Epomeo, qui, nel punto più alto, la chiesa e l’eremo di San Nicola ecco che appaiono. Pietra tra la pietra estremo confine tra terra e cieloIl complesso di San Nicola, sulla vetta del monte Epomeo, rappresenta, nel panorama italiano, uno dei più significativi esempi di architettura rupestre. Il tempio di pietra si mimetizza armonicamente con il paesaggio, artificio sfruttato dai primi frequentatori del luogo, che cercavano un rifugio sicuro alle continue invasioni saracene, un vero flagello durato secoli e, nello stesso tempo, pregno di significati simbolici, come sottolineato dal Nicoletti Manfredi, che parlò di “inviscerata da percorsi che ricalcano quelli della vita”.
Al complesso si può giungere anche da Barano, ma la via più diretta è da Fontana, percorrendo, a piedi o a dorso di mulo, un ripido sentiero che parte nei pressi della chiesa parrocchiale. La chiesa, scavata nel tufo, esisteva già nel 1459, come veniamo a conoscenza dal racconto del celebre Pontano, mentre le cellette del convento furono costruite nel 1587.Fu la nobildonna Beatrice Quadra a volerne fare un ritiro per monache, le quali però non potettero resistere a lungo, per la rigidezza del clima, accoppiata all’asperità dei luoghi, trovando in seguito una nuova, più confortevole, sede nel Castello. Nell’eremo vissero poi celebri anacoreti, come fra Giorgio Bavaro morto in odore di santità e Giuseppe d’Argouth (1704-1778), già comandante della guarnigione militare di stanza sull’isola, il quale, per esaudire un voto fatto a San Nicola, gettò alle ortiche lo schioppo per ritirarsi a vita eremitica con dodici fidati compagni, divenuti come lui frati. L’episodio che portò alla conversione era capitato un giorno, mentre il D’Argouth sta inseguendo due malviventi, che, dopo aver violentato alcune fanciulle, cercavano rifugio tra le asperità dell’Epomeo. Colto di sorpresa dai due, che gli tesero un agguato in una stretta, il prode soldato si vide perduto, ma chiese aiuto al suo santo, che, evidentemente, intervenne in soccorso.
Lì dove sarebbe rimasto il suo corpo da morto, se non vi fosse stata intercessione divina, lì avrebbe trascorso i suoi restanti giorni da vivo se fosse stato esaudito, e così fu. Il novello frate provvide all’acquisto dei terreni vicini e commissionò numerosi lavori nella chiesetta, tra cui quelli per l’altare maggiore. Oggi l’antico convento è stato trasformato in ristorante e locanda ed è impossibile leggere, per le trasformazioni avvenute, la suddivisione originaria, è però possibile, con modica spesa, trascorrere la notte in celle spartane a picco su di un panorama mozzafiato, da godere alle prime luci dell’alba. Nell’interno della chiesa, la zona del coro giace completamente abbandonata ed anche mura, volte, intonaci e stucchi hanno risentito gravemente dell’umidità. Sono però in discreto stato di conservazione alcune parti, che passiamo a descrivere. Sulla parete di fondo, risalente alla metà del Settecento, si trova la cappella delle reliquie, che occupano un vano dell’altare scompartito in cento nicchie, contenenti vasetti, in vetro soffiato, con antichi resti umani di santi e beati.
Di lato, una statua di San Giuseppe in terracotta policroma, mentre, sulla parete destra dell’altare, un Cristo morente di autore ignoto di area partenopea, influenzato dalla locale plastica seicentesca. L’altare maggiore, di un buon marmoraro campano, presenta due reggimensola decorati da volute, che inquadrano il paliotto ornato al centro da un rilievo, incorniciato da una corona di alloro con simboli vescovili. In alto un ciborio adornato da cherubini sormontato da un baldacchino. Lateralmente due coppie di cherubini congiunti da una mensola. L’arco sull’altare maggiore presenta una statua di San Nicola di Bari con il fanciullo coppiere, datata 1500, opera di un ignoto scultore campano, non influenzato dalla lezione dei fratelli Malvito, attivi a Napoli in quegli anni. La scultura è collocata in una nicchia scandita da coppie di lesene, con capitelli compositi ed in alto una elegante conchiglia. Costituisce la più antica testimonianza dell’eremo a noi pervenuta e viene citata, con parole elogiative, in un coevo poemetto del Pontano. Di un certo pregio il pavimento della zona absidale, esito di ignoto maiolicaro campano attivo nel Settecento; i tasselli, a quattro per quattro, compongono un fiore con profilatura plurilobata ed una stella a spicchi bianchi e neri, una tipologia molto diffusa sull’isola, dove possiamo reperire esempi consimili in Santa Restituta e nella chiesa del Soccorso.
Il pavimento della navata e della cappella delle reliquie è invece identico a quello della prima cappella destra della chiesa di San Francesco d’Assisi, datato 1843. Formato da mattonelle con fiori su fondo giallo, alternate a quadrelli di cotto, mentre l’impiantito è delimitato da una fascia di racemi. Per finire, a terra, a metà della navata, è poggiata la campana, dopo la rovina del campanile. Eseguita dal fonditore Salvatore Nobili, nei primi anni del Novecento, è decorata in basso con un motivo floreale, mentre in alto presenta un giro di archetti a sesto acuto intrecciati. Nel centro di Fontana esisteva la chiesa della Beata Vergine, oggi sconsacrata ed adibita a falegnameria. Ora sintetizziamo ciò che accade sull’Epomeo in questo giorno sei di dicembre, in tempi normali, senza tralasciare il cenno storio sulla chiesa al centro dell’evento religioso ed escursionistico (notizie tratte da “Ischia sacra. Guida alle chiese” di Achille della Ragione).La chiesa di San Nicola venne fondata nel XVIII secolo. La storia narra che il Capitano del Castello di Ischia, Giuseppe D’Argouth, scampato alla morte in battaglia dopo aver chiesto l’intercessione di San Nicola, abbia innalzato al santo la chiesa, ed abbia costruito l’eremo per ritirarsi a vita monastica.
La festa di San Nicola al Monte ha un sapore antico – Perché è anche un piccolo pellegrinaggio, dal momento che per raggiungere la chiesetta bisogna salire a piedi fin sopra la cima. I fedeli cominciano l’ascesa alle prime ore delle mattina: le donne portano le pietanze: salsicce crude da far sfrigolare sulla brace e polpette al sugo, sacchi pieni di pane, “friarielli”, formaggi; i contadini portano il vino. Un ossequio al santo e poi via a preparare il sagrato per il pranzo – La messa viene celebrata a metà mattinata, la gente è tanta che a malapena entra nella piccola chiesetta, molti seguono la funzione da fuori. La celebrazione religiosa culmina con una processione montana: la statua coloratissima del santo viene portata per i sentieri dell’Epomeo, una tappa nelle zone più alte permetterà alla benedizione del santo di estendersi su tutti i campi dell’isola. E il momento è quello giusto: l’inverno è alle porte, le piantine, i pomidoro, l’albicocco, il ciliegio, le viti dovranno superare il freddo per sbocciare rigogliose in primavera ed in estate: con l’aiuto di San Nicola tutto andrà liscio! Si torna in chiesa, la statua torna al suo posto.La preghiera lascia il posto alla festa dei sensi – L’aroma delle salsicce supera quello di incenso, da ore sfrigolano sulla brace ed un odore fortissimo si spande per l’Epomeo, è un richiamo alla tavola. Che ci sia il sole o le nuvole, fa freddo qui in cima: vino e caldarroste ci riscalderanno per bene. La montagna risuona di voci: accade solo una volta all’anno, poi tutto torna in un silenzio irreale, il silenzio dei luoghi distanti dalla vita degli uomini. Solo San Nicola nel buio della chiesa che ha chiuso i pesanti battenti, continua a vegliare sulla montagna.
Foto Giovan Giuseppe Lubrano Fotoreporter
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