Morte misteriosa a Serrara, in aula parla la madre della vittima

La donna ha riferito gli episodi dei presunti maltrattamenti che la figlia raccontava di aver subìto da Raffaele Napolitano, unico imputato

Nuova udienza ieri mattina nell’ambito del processo per la morte di Renata Czesniak. La 43enne spirò lo scorso gennaio e il suo compagno, Raffaele Napolitano, venne accusato di maltrattamenti in famiglia, aggravati dalla morte. La tragedia avvenne lo scorso 12 gennaio, al termine di una giornata in cui Napolitano e la donna di origine polacca avevano avuto diverse occasioni di attrito, esacerbate dal consumo di alcolici.

Una caduta sul pavimento risultò poi fatale, nonostante la chiamata al 118. Dinanzi alla Corte di Assise di Napoli ieri è stata ascoltata la madre di Renata. La donna, che vive lontano dall’isola, ha spiegato che i contatti con la figlia consistevano in due o tre telefonate settimanali che la 43enne faceva per tenerla aggiornata sulla sua vita. Rispondendo alle domande del pubblico ministero, la signora ha dichiarato di aver saputo dalla figlia che il Napolitano talvolta l’avrebbe picchiata, minacciata di morte, facendola vivere nel terrore, e che sovente la costringeva a non uscire di casa e  a eseguire pulizie domestiche. Un ritratto sostanzialmente molto negativo, quello che la madre della donna deceduta sei mesi fa ha delineato dell’attuale imputato.

È poi toccato alla difesa, sostenuta dagli avvocati Francesco Pero e Daniele Trofa, procedere al controesame della testimone. Innanzitutto, è stata contestata proprio tale qualità, in quanto secondo i legali di fiducia del Napolitano, la madre di Renata è una mera teste “de relato”, che riferisce cioè quello che gli veniva comunicato per telefono, senza mai essere stata sull’isola e dunque senza mai aver assistito personalmente agli eventi citati durante la testimonianza. La Corte ha comunque deciso di riservarsi la decisione su tale punto. La difesa ha chiesto alla donna se fosse a conoscenza del fatto che Renata Czesniak aveva avuto, in costanza di matrimonio, un figlio da un altro uomo. Una circostanza che, nella strategia difensiva, sottolinea come non vi fosse da parte della donna una volontà di costruire alcun progetto di vita comune, né con il Napolitano né con gli altri uomini che frequentava: verrebbe quindi a cadere la fattispecie del reato di marca “familiare”. Gli avvocati di Napolitano hanno inoltre domandato alla testimone se fosse a conoscenza di dove veniva ospitata la figlia durante i mesi in cui l’imputato era confinato agli arresti domiciliari.

La signora ha risposto di non saperlo, aprendo di fatto una contraddizione con le precedenti affermazioni, e segnando sostanzialmente un punto a favore della difesa. L’udienza è durata circa un’ora. Non erano presenti gli altri testimoni in programma. La Corte ha fissato la prossima udienza agli inizi di ottobre, quando sarà ascoltata la madre dell’imputato e soprattutto un amico dell’imputato, che rivestirebbe il ruolo di teste-chiave del processo, in quanto trascorse la serata fatale in compagnia di Raffaele  e Renata. Le dichiarazioni che egli rese nelle ore successive al drammatico episodio configurarono almeno tre versioni differenti. L’udienza che si svolgerà in autunno  sarà dunque decisiva per tentare di fare definitiva luce sull’esatta dinamica dei fatti, e naturalmente sui legami causali che hanno determinato la morte della donna.

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