Succhivo, il paesello alle porte di Sant’Angelo d’Ischia che si è riscoperto sempre più centro di sagre e feste popolare, ha posto al centro dei vari naturali riferimenti natalizi, il mandarino, il frutto principe che maggiormente appare e si consuma durante le feste di Natale, Capodanno ed Epifania compresi nell’isola d’Ischia e non solo. Ma non sono solo gli abitanti e i cultori della natura della nuova generazione di Succhivo a conferire un ruolo da protagonista al mandarino, che insieme all’arancia, alle sorbe, al melograno, alle chiuppetelle ed al vino cotto, compongono il contenuto appetitoso e di bella presentazione del classico cesto-regalo di Natale che si usa offrire dalle parti della Ischia alta, da Barano fino a Serrara Fontana.
Vi concorrono anche gli ischitani degli atri comune dell’isola legati alle tradizioni, specie in questi giorni prenatalizi ove ci si organizza per circondarsi di tutte quelle cose buone che tengono banco e fanno felici tutti coloro che festeggiano il Natale con serenità d’animo e messa in pratica dei migliori principi . Tutto questo per magnificare il ruolo del mandarino nel largo panorama dei frutti locali e del periodo dove fa meglio la sua parte. Il mandarino è l’unico frutto dolce della famiglia degli agrumi. I suoi spicchi sono piccoli e succosi, con polpa di colore arancio chiaro. La buccia dei mandarini è sottile e di facile rimozione, di colore arancione chiaro e molto profumato. Un albero di mandarini, appartenente alla famiglia delle Rutacae, può produrre fino a 600 frutti all’anno e raggiungere un’altezza compresa tra i due e i quattro metri. Sull’isola di Ischia si contano circa sei mila piante di mandarine che con la pianta delle arancie è quella che negli anni più di tutte è sfuggita allo sradicamento per lo sviluppo del territorio. Secondo l’agronoma Marta Ablè, i mandarini sono ricchi di vitamina C. L’assunzione assicura oltre le vitamina A e vitamine del gruppo B, anche e insieme magnesio, ferro e acido folico. Il mandarino fu introdotto in Europa nella prima metà dell’800 come pianta ornamentale, precisamente fondibile fragranza. Un aristofrutto con quattro quarti di nobiltà. Niente a che spartire con i suoi figli cadetti come mandaranci e clementine che del nobile genoma paterno hanno appenale sembianze. approdò a Malta quale curiosità botanica, e più tardi in Sicilia dove si acclimatò molto bene (varietà Avana). Il più profumato degli agrumi è quel che si dice un vero signore della tavola. E un fiore all’occhiello del centrotavola. L’antico lignaggio del Citrus reticulata, tale è il suo nome scientifico, dà al mandarino uno statuto da grande antenato. Alcuni botanici lo considerano più antico di arance e limoni. Quel che è certo è che accanto alle ben note proprietà organolettiche – oli , vitamine, flavonoidi – possiede altrettante proprietà simboliche.
Al punto da diventare il nome di una lingua e l’emblema di un’élite. Il termine «mandarino» deriva, infatti, dal colore dell’abito arancione dorato dei sapientissimi dignitari imperiali dell’antica Cina che interpretavano i voleri del cielo e li trasmettevano all’imperatore. I famosi Mandarini erano letterati e poeti che la loro educazione raffinata rendeva depositari di una saggezza superiore a ogni sapere tecnico. Esattamente il contrario dei nostri specialisti che spesso sanno tutto e non capiscono nulla. Furono i portoghesi a coniare la parola mandarim volgarizzando il sanscrito mantrim, che significa ministro e a sua volta deriva addirittura da mantra. Ma in realtà il termine originale cinese era Guan e designava il dignitario addetto alla riscossione dei mandarini di grossa taglia offerti come prezioso tributo all’imperatore. Ma oltre a una casta di altissimi funzionari, una burocrazia celeste, il termine passò a indicare anche la lingua, altrettanto elitaria, del Nord della Cina. Come se ci fosse insomma una sorta di affinità elettiva tra la nobiltà della carica e quella del frutto, tra l’eccellenza del sapere e quella del sapore. Un’analogia che anche da noi è diventata senso comune. Forse la forza evocativa del Citrus reticulata viene prima di tutto dal suo profumo, insuperabile nel mettere in moto la macchina del ricordo. Il suo aroma dolcemente imperioso ci fa socchiudere gli occhi consegnandoci proustianamente all’onda nostalgica di un passato prossimo che parla ancora ai nostri sensi e al nostro cuore. Se il punch al mandarino fu la panacea consolatoria dell’Italia postbellica, non da meno fu il mandarinetto, voluttà orientale distillata dalle mani di fata delle nostre nonne. E l’odore delle bucce gettate nel camino resta impresso a caratteri indelebili nel nostro immaginario sentimentale. Nella mitologia festosa della nostra infanzia perduta, nel sogno incantato di una notte di mezzo inverno. Quando i bambini italiani offrivano mandarini a sua maestà la Befana, proprio come i cinesi all’imperatore. Il sapore è assai gradevole, grazie al maggior contenuto di zucchero rispetto agli altri agrumi. Il mandarino esplica una particolare azione sedativa sul sistema nervoso, dal momento che contiene più bromo dell’arancia, può essere utile consumato a cena, nei casi di insonnia. In pasticceria viene usato per torte, crostate, marmellate e gelatine, mentre il succo è utilizzato per la preparazione di budini, charlotte e mousse. A Natale la buccia di mandarino, quello originale senza inserti, viene mescolata con l’impasto dei roccoco per un maggiore profumo al dolce-biscotto natalizio.
Fotoricerca di Giovan Giuseppe Lubrano Fotoreporter
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