Male di vivere, l’allarme: «A Ischia? In aumento la depressione»
C’è Maria che si è tolta la vita lanciandosi dal balcone della sua abitazione. C’è Tommaso che ha deciso di porre fine alle sue sofferenze, impiccandosi con una corda nel portico di casa sua; C’è Mario che è stato rivenuto senza vita con una siringa contenente un potente anestetico. E poi c’è Carlo che sembrerebbe – ma in questo caso il condizionale è ancora d’obbligo – aver tentato di uccidersi sparandosi con un fucile. Storie di isolani che hanno scelto di farla finita, spinti da motivazioni diverse, ma tutti forse accomunati da quel male di vivere che oggi , qui ad Ischia, come altrove, continua a mietere vittime. Se, però, le cronache nostrane, sembrano riportare sempre più casi di suicidi o tentativi in tal senso, per gli esperti la situazione, in realtà, è leggermente diversa da come appare. Di questo, ne abbiamo, infatti parlato con la dottoressa Emilia Cece, direttore del dipartimento di Salute Mentale di Ischia e Procida.
Dottoressa com’è la situazione sull’isola d’Ischia per quanto concerne i fenomeni suicidio e depressione?
«Sull’isola è certamente aumentata la depressione, ma non il numero dei suicidi. Si potrebbe piuttosto dire che in relazione a quest’ultimo fenomeno c’è piuttosto una costante annuale. Non c’è una motivazione universale, dal momento che i fattori che possono spingere a tale estremo gesto sono tanti. Certamente però quello che posso dire è che oggi c’è una certa tendenza all’imitazione che porta ad un espansione della cultura del suicidio. Una cultura distruttiva che, anche se non ha ancora dato segni sull’isola di Ischia, si sta sviluppando in altre parti del mondo anche attraverso giochi pericolosi che istigano a togliersi la vita. Bisogna comunque fare sempre una differenza tra i vari tipi di suicidio. La cultura, in ogni caso, potrebbe essere uno strumento per prevenire e lavorare positivamente, al contrario di quanto ciò invece accade oggi».
Ad Ischia i casi di depressione a cosa sono maggiormente legati?
«Sul nostro territorio ci sono due tipi di depressione: una di tipo sociale che è quella legata ad una mancanza di alternative e prospettive alle quali aggrapparsi per costruire la propria esistenza. L’altra invece è di tipo strutturale: si costruisce poco la personalità e si da poco nell’educazione dei figli. Diciamo che si può parlare, in questo caso, di una depressione che ha un’ incidenza familiare: le famiglie più fragili producono individui più fragili. Questo tipo di depressione è molto forte sull’isola di Ischia».
Quali sono i segnali che possono far comprendere che una persona che soffre di depressione potrebbe arrivare a compire un gesto estremo?
«I segnali sono molti. L’agitazione, la chiusura, l’insonnia, l’incapacità di comunicare il proprio stato d’animo con gli altri. Il passaggio all’atto del suicidio è quel momento in cui non si riesce più a trovare le parole per esprimere il proprio disagio e quindi si passa alle azioni. È chiaro che se tutti questi segnali di allarme vengono colti in anticipo deve entrare in gioco lo specialista. Ed è qui che purtroppo ci scontriamo con la ristretta mentalità isolana secondo la quale, psicologi e psichiatri sono sempre l’ultima spiaggia a cui fare riferimento e rivolgersi a loro è un motivo quasi di vergogna. Proprio per questo è difficile riuscire a prevenire. Quando comunque si abbandona una terapia, o una serie di colloqui, anche quello è un brutto segnale che indica che si può arrivare a compiere un gesto estremo».
Come si può quindi aiutare chi ha qualche disagio?
«Sicuramente il disagio non deve essere mai considerato come uno scandalo. Anzi, bisogna far capire che tutti noi possiamo andare incontro a certi tipi di difficoltà. In secondo luogo poi è importante trovare anche una certa naturalezza nell’affrontare questi problemi, attraverso reti sociali, progetti etc. Bisogna capire che questi disagi non sono un’ eccezionalità ma sono all’ordine del giorno. E questa purtroppo è una cosa che non è ancora stata ben compresa sull’isola. Purtroppo la cultura della diversità fa vittime. Quando si pensa che si è diversi e strani , si va sempre più incontro quindi poi a gesti estremi».
In sintesi, secondo lei, rispetto agli anni passati cosa è cambiato sull’isola in relazione a questi temi?
«Il disagio sociale è aumentato, non solo ad Ischia ovviamente, ma in tutto il mondo. C’è un grosso allarme sulla depressione lanciato dalla OMS che ha sottolineato come questa sia il male che ha maggiori costi sociali. Rispetto al suicidio invece c’è un maggiore monitoraggio, ma non un aumento, soprattutto per quanto riguarda le fasce giovanili. Da quando sono sull’isola di Ischia devo dire che purtroppo ci sono stati suicidi di giovani con una certa regolarità, ma non so se è bene dire certe cose perché a volte, sentendo ciò, ci si sente magari autorizzati, da giovani un po’ sregolati, ma anche scapestrati, a sentirsi normali nella propria distruttività. Il mio appello è quindi di non lanciare allarmismi in questo senso, ma piuttosto dare delle prescrizioni più rassicuranti, sottolineando che può accadere a tutti noi di avere dei disagi. Ci sono tanti strumenti per prevenire questi fenomeni. Usiamoli».
Sara Mattera