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L’uomo di Piltdown: un esempio di truffa scientifica

L’essere umano, come tutte le altre specie del resto, è imperfetto: ciò lo può portare a fare errori, spesso anche molto grossolani. La storia che mi accingo a raccontarvi mostra come l’intrusione nelle scienze di altri campi (tra i quali ad esempio il patriottismo) possa portare ad essere abbindolati in maniera abbastanza pesante.

Ci troviamo nel 1912, poco prima de “la grande guerra”, il primo dei conflitti mondiali. A livello scientifico era scoppiata da anni la mania del fossile: grandi spedizioni di avventurieri partivano alla ricerca di resti antichissimi di specie ormai estinte, soprattutto quelli relativi a specie umane. La branca dell’antropologia era nata relativamente di recente (fine ‘700) e da lì diverse scoperte di crani che mostravano una variabilità umana mai vista prima (soprattutto di Homo neanderthalensis), unita all’affermazione della teoria darwiniana, aveva scatenato il desiderio di trovare ciò che ci collegava alle scimmie, il cosiddetto “anello mancante”, concetto che oggi viene spesso guardato con scetticismo. Pensava di averlo trovato a Java (isola dell’Indonesia) l’olandese Eugène Dubois, quando nel 1894 descrisse il Pitecanthropus erectus, la “scimmia uomo dalla postura eretta” che oggi invece considerato come membro del genere Homo (H. erectus). Il problema è che la scoperta di Dubois non convinceva sia per i caratteri morfologici dei (pochi) resti trovati, dato che sembrava avere caratteristiche facciali troppo da uomo, sia perché…trovato in colonia olandese ed i suoi colleghi inglesi, i più influenti all’epoca, non accettarono l’idea. Anche perché, pochi anni più tardi…

Pochi anni più tardi, appunto nel 1912, il paleontologo dilettante Charles Dawson scava nei pressi di Piltdown, Inghilterra, dopo che, quattro anni prima, dei lavoratori che stavano costruendo una strada gli avevano dato una porzione di calotta cranica trovata mentre scavavano.  Al suo fianco è presente Arthur Smith Woodward, presidente della Geological Society di Londra, incuriosito dai reperti che Dawson gli aveva fatto vedere. Lì trovano un cranio umano ed una mascella incredibilmente scimmiesca, che sembrano avere la stessa età. Il 18 dicembre 1912 Dawson quindi annuncia la descrizione di una nuova specie, che chiama “Eoanthropus dawsoni“, basandosi sui reperti trovati. Era tutto “perfetto”: un essere dalle capacità cerebrali praticamente umane, con faccia scimmiesca…in Inghilterra! Doveva essere lui il vero anello mancante, no?

Già nei primi anni però si sollevarono dubbi su quelle caratteristiche, e le scoperte successive in Africa (tra le quali non possiamo non citare l’Australopithecus africanus descritto da Raymond Dart nel 1924) portarono ad un cambio del modello evolutivo, che in pochissimi decenni era cambiato tre volte: si era prima partiti da un idea di umanità originaria dell’Asia, da “Eoanthropus” come anello mancante ad infine Africa come “cradle of humanity” (come aveva peraltro già predetto Darwin nel 1871 nel suo libro “L’origine dell’uomo e la selezione sessuale” osservando le scimmie antropomorfe viventi). Quindi si pensò che l’uomo di Piltdown fosse un ramo laterale dell’evoluzione umana e non il vero anello mancante, il che era già un passo avanti per la scoperta della verità.

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Nel 1953, desiderosi di ricontrollare (forse meglio dire “controllare”, dato ciò che succederà e che non era successo prima…) il fossile, un gruppo di studiosi fa una scoperta sconvolgente: il cranio e la mandibola erano stati trattati per farli sembrare coevi e la mandibola aveva ancora materia organica: di conseguenza, non poteva appartenere al cranio ed era addirittura recente e non fossile! Analizzando meglio il reperto, si scoprì che il cranio apparteneva ad un uomo (H. sapiens, quindi) di età medievale, mentre la mandibola apparteneva ad un…orango (genere Pongo, forse P. pygmaeus) ed alcuni denti ad…un scimpanzé (Pan troglodytes)! Può sembrare facile smascherare una truffa del genere, ma ci sono voluti ben 41 anni prima di sapere la verità!

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Ancora oggi si discute chi abbia congegnato la truffa. Le ipotesi sono le più disparate: da Dawson, il dilettante alla ricerca di gloria, a Smith Woodward se non ad entrambi o addirittura (ipotesi che esiste seriamente) Arthur Conan Doyle, l’autore della serie di “Sherlock Holmes”! Tralasciando l’identità del truffatore, la storia dell’uomo di Piltdown ci insegna comunque che qualsiasi dato che ci viene proposto debba sempre essere verificato, evitando dunque di essere sopraffatti da facili entusiasmi.

*BsC in STeNa e specializzando in Scienze della Natura presso “La Sapienza” di Roma

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