Licenziato dall’Eav, la Corte d’Appello ordina il reintegro
I giudici di secondo grado hanno accolto il ricorso degli avvocati Leonardo Mennella e Irene Montuori: l’azienda ha violato le norme del procedimento disciplinare
La Corte d’Appello di Napoli ha emanato il suo verdetto nel procedimento relativo a uno dei licenziamenti operati dall’Eav nei confronti di alcuni dipendenti. Il collegio composto dai giudici Rossi, Cristofano e Amarelli ha accolto il ricorso presentato dagli avvocati Leonardo Mennella e Irene Montuori, difensori del signor Pietro Buono, contro la sentenza di primo grado che aveva convalidato il licenziamento del dipendente. La Corte ha così ribaltato il verdetto, stabilendo l’illegittimità della destituzione e condannando l’Eav alla reintegra del signor Buono nel rapporto di lavoro. Un risultato di grandissimo rilievo in una vicenda complessa originatasi nell’inverno di due anni fa, quando la società che gestisce il trasporto pubblico sull’isola d’Ischia dapprima sospese, e poi licenziò tre dipendenti. I provvedimenti dell’Eav arrivarono dopo una serie di controlli che interessarono anche le località della terraferma dove opera l’azienda. Secondo la società, i dipendenti in questione avrebbero dapprima chiesto dei permessi ai sensi della legge 104/1992 per poter assistere i familiari, ma poi dalle indagini condotte in proprio dall’Eav tramite un’agenzia privata di investigazioni sarebbe emerso che essi non si recavano dai parenti, beneficiando quindi ingiustamente dei permessi. Di conseguenza scattarono le contestazioni: prima la sospensione dal lavoro e poi, dopo poche settimane, il licenziamento, che veniva confermato nel primo grado di giudizio.
Motivo principale del ricorso era costituito dall’asserita nullità del licenziamento in quanto l’azienda aveva violato le regole del procedimento disciplinare. In sostanza non era mai stata comunicata al lavoratore alcuna relazione o nota che documentasse la presunta infrazione. Gli altri motivi riguardavano invece il merito della vicenda: la difesa contestava la conduzione delle investigazioni private e la validità di ciò che era emerso.
La Corte d’Appello ha accolto il ricorso proprio sulla base del principale motivo addotto dagli avvocati Mennella e Montuori, cioè la violazione del procedimento disciplinare. L’azienda sosteneva che agli autoferrotranvieri dovesse essere applicato la legge 300 del 1970, il cosiddetto Statuto dei Lavoratori, mentre secondo la difesa del dipendente la normativa effettivamente applicabile è quella speciale stabilita dall’articolo 53 del R.D. 148/31. I giudici di secondo grado hanno ritenuto fondato il reclamo, in quanto hanno rilevato con effetto assorbente che è stata effettivamente perpetrata la violazione della sequenza procedimentale specificamente prevista dal legislatore nel citato articolo 53 del Regio Decreto per gli autoferrotranvieri, norma tuttora vigente e applicabile al caso in questione, con prevalenza rispetto alla disciplina generale dettata dallo Statuto dei Lavoratori, in contrasto con quanto aveva ritenuto il Tribunale. Dunque, in materia di procedimento disciplinare degli autoferrotranvieri, la speciale disciplina dettata dall’allegato A al R.D. n. 148 del 1931, non è stata affatto abrogata dalla Legge 300 del 1970, articolo 7. I giudici della Corte d’Appello hanno citato numerose sentenze della Corte di Cassazione a supporto di tale ricostruzione, che affermano la perdurante vigenza della norma del Regio Decreto laddove le previsioni sono più favorevoli per il lavoratore, e hanno inoltre sottolineato che la norma più risalente nel tempo delinea una procedura maggiormente garantista per il lavoratore: infatti la prima fase è integrata dalla contestazione dell’addebito, con invito all’incolpato affinché si giustifichi.
La seconda – che segue alle eventuali giustificazioni del dipendente – prevede una relazione scritta (corredata dell’opportuna documentazione delle indagini svolte) in cui i funzionari delegati riassumono i fatti emersi, espongono su di essi gli apprezzamenti e le considerazioni concernenti tutte le circostanze che possono influire sia a carico che a discarico dell’incolpato e, infine, espongono le proprie conclusioni circa le mancanze accertate e i relativi responsabili. Solo dopo tale relazione si passa alla terza – eventuale – fase, in cui il direttore o chi da lui delegato esprime, in base alla predetta relazione, il cosiddetto “opinamento” circa la punizione da infliggere, reso noto all’interessato con comunicazione scritta personale. A questo punto l’incolpato ha il diritto, entro cinque giorni dalla notifica dell’opinamento, di presentare a voce o per iscritto eventuali nuove giustificazioni, che potranno affrontare compiutamente non solo il merito dell’addebito, ma anche quello della natura e dell’entità della sanzione ventilata, giustificazioni in mancanza delle quali il provvedimento disciplinare proposto diviene definitivo ed esecutivo. La natura di procedimento garantito è confermata dagli ultimi due commi, che prevedono la possibilità del dipendente, qualora le sue giustificazioni non siano accolte, di investire della procedura il consiglio di disciplina, con conseguente diritto di prendere visione degli atti dell’indagine istruttoria e di essere ulteriormente ascoltato.
Nel caso in questione, secondo la Corte d’Appello, l’azienda non ha messo a disposizione la relazione scritta stilata dai funzionari, omettendo un passaggio necessario: essa deve essere corredata dall’opportuna documentazione delle indagini svolte in relazione alle quali, dopo la notifica dell’opinamento, possono essere presentate dall’incolpato nuove giustificazioni. Inoltre, per i giudici è incontestato il fatto che l’Eav non ha dato corso alla richiesta di convocazione del Consiglio di disciplina formulata preventivamente, per il caso di mancato accoglimento delle nuove giustificazioni rese dal dipendente.
Il licenziamento dunque è stato dichiarato nullo, e i giudici hanno ordinato la reintegra del dipendente nel posto di lavoro, condannando l’Eav al pagamento in favore del dipendente di un’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità, commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto da lui percepita, con decorrenza dal giorno del recesso e fino all’effettiva reintegrazione. Saranno dovuti anche gli emolumenti non corrisposti al lavoratore per il periodo di sospensione dal soldo e dal servizio fino al licenziamento. Comprensibile la grande soddisfazione della difesa che con l’accoglimento del motivo principale ha visto assorbita ogni altra questione sollevata con i motivi concernenti il merito. La sentenza costituirà con ogni probabilità un importante precedente nel vasto settore delle controversie di lavoro che coinvolgono i dipendenti delle aziende di trasporto pubblico.