CULTURA & SOCIETA'

LE STORIE DI SANDRA Il forno di Cristofaro

DI SANDRA MALATESTA

Quando ero bambina, in estate che non si andava a scuola,la mattina presto mamma mi mandava a prendere il pane. Da quando avevo otto anni abitavamo a Via Venanzio Marone, ed era più comodo uscire fuori alla strada e andare da Cristofaro in quel piccolo forno a legna da cui uscivano “cucchietelle” di pane non troppo grandi ma così buone. Il forno lo aveva aperto Cristoforo Conte e poi era passato al figlio Vincenzo. Nel 1947 Vincenzo sposò Lucia Florido sua cugina di primo grado ed ebbero tre figli Cristina, Carmela e Cristofaro, tutti e tre miei amici. La cosa strana è che il forno si è sempre chiamato “da Cristofaro” e persino Vincenzo il figlio che lo portò avanti fino al 1978 era chiamato da tutti Cristofaro. La sua moglie dolce e forte allo stesso tempo, con quella treccia girata intorno alla testa, appena finiva di sfaccendare a casa, metteva il grembiule e andava a dare una mano al marito. Ricordo che formavano una famiglia molto unita e si respirava un clima di tenerezza tra loro tutti.

A quei tempi il pane era importantissimo perché si faceva di tutto. Pane e pomodoro, pane spugnato con acqua e zucchero sopra, pane e miele, pane e marmellata, la caponata con i pomodori, la zuppa di fagioli e, quello più duro, veniva usato per la zuppa di latte la mattina. Io ricordo del forno di Cristofaro ai piedi della salita di San Pietro, la calma che si respirava, e il modo di parlare sempre silenzioso di tutti loro. Cristina fin da piccola è stata, come tutti i primi figli, una donnina sempre pronta ad aiutare a casa e nel forno. Timida e carina giocava meno con noi e io l’ammiravo tanto. So che tanti di voi mentre leggerete proverete le mie stesse emozioni, perché è vero, erano tempi in cui i rapporti umani riempivano le giornate. E noi e vascia a marina eravamo fortunati perché c’erano negozi di ogni tipo, ma il nostro pane (fatto da più forni) batteva tutti e venivano da tante parti a comprarlo. La cocchia di Cristofaro era di un colore particolare. Cotta bene eppure non scura, ma sempre chiara con la parte esterna croccante. Quei giorni sono in me quando appena compro il pane, stacco il pezzo di dietro per mangiarlo subito ricordando la famosa ‘ionta” che mi davano per fare buon peso. Ci pensate? Il pane doveva essere un chilo? Si pesava e se mancavano 100 o 200 grammi, Vincenzo metteva vicino un altro pezzo piccolo per arrivare al chilo, e quel pezzo non giungeva a casa lo mangiavo subito. Carmela era più o meno della mia età e spesso mi fermavo con lei. Cristofaro era più piccolo e giocava con le mie sorelle.

Che persone ho visto intorno a me. Che persone abbiamo visto tutti amici miei. La calma, il sacrificio, il sorriso che veniva spesso e facile, i bambini tenuti come qualcosa di prezioso anche se presto dovevano dare una mano in casa. Cristofaro del pane era un’istituzione per le nostre zone e quel odore che usciva dalla canna fumaria arrivava nei vicoli e sulle salita di San Pietro. Nessuno dei figli ha poi continuato il mestiere di panettiere e quel piccolo forno fu chiuso perché Vincenzo si ammalò. Resta però per tutti noi il ricordo di quella bella famiglia riservata e perbene e io mi sento di ringraziare la bella Lucia, figlia di Cristofaro e Maria, che mi ha procurato le foto e alcune informazioni. Vi voglio bene e vi ricordo con tanto affetto.

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