Le Quattro Giornate di Napoli in mostra a Forio
Gianluca Castagna | Forio
– Quella che scattò a Napoli, alla fine di settembre del 1943, fu un’autentica “auto-difesa” della città. Come se il sistema immunitario di un corpo martoriato avesse improvvisamente attivato le ultime difese rimaste. Dal 28 settembre al 1° ottobre i napoletani sentirono di dover cacciare tutti gli affamatori e oppressori stranieri. Napoli era già una città sotto assedio, quella che più di ogni altra aveva subito gli attacchi della seconda guerra mondiale. Bersaglio dichiarato di ogni esercito, nazista e alleato. Il 1° novembre 1940 vi era stato pesante bombardamento aereo ad opera degli inglesi. Ne seguirono altri che provocarono oltre 30.000 vittime. E’ una città vuota, sventrata e umiliata, abitata da poveri e disperati, quella su cui i tedeschi affondano loro artigli. All’indomani dell’armistizio firmato con gli Alleati l’8 settembre, e che spezza l’alleanza militare con la Germania, la risposta tedesca è terribile. “Ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà rivendicato cento volte”, recita un bando della Wermacht. Inizia una vera e propria caccia all’uomo, senza distinzione d’età: migliaia di persone sono fermate, portate via, arrestate. I nazisti procedono alla distruzione sistematica delle fabbriche e del porto. Alcuni testimoni ricordano che, dopo aver avvertito uno sparo in un vicolo nei pressi di piazza Dante, i tedeschi puntarono il cannone del carro in quella direzione uccidendo una famiglia intera e altre persone. La strategia dell’esercito occupante, di fronte ai tentativi di disubbidienza, fu quella di sparare nel mucchio. Poi, alla notizia dell’esecuzione spietata di un giovane marinaio, esplode la rivolta. In breve l’intera città è in prima linea, una ribellione spontanea nella quale affiora la forza antica e disperata di un popolo con alle spalle secoli di oppressione straniera, occupazioni militari e regimi dispotici. Un popolo che non è più disposto ad “obbedir tacendo e tacendo morir”. Si alzano le barricate in tutti i quartieri, si combatte strada per strada, vicolo per vicolo. Per quattro giorni i napoletani tengono duro fino a costringere i tedeschi alla resa. Alla fine, in centinaia pagheranno questa scelta con la vita.
Alle Quattro Giornate di Napoli, di cui ricorrono in questi giorni i 72 anni, è dedicata una mostra espositiva al Centro di Ricerche Storiche d’Ambra di Forio, che verrà inaugurata questa mattina e visitabile fino al 17 ottobre. Foto, estratti dalle cronache dell’epoca, testimonianze di una rivolta civile che coinvolse persone di ogni età ed estrazione, creando reti territoriali di coordinamento della resistenza e di diffusa solidarietà sociale. A questa rivolta parteciparono tre isolani: Mario Onorato, che negli scontri perse la vita, Rocco d’Ambra e Nicola Monti. Ma – è questa la “novità” che verrà fuori nell’incontro di oggi – anche un sacerdote di Panza: don Agostino Impagliazzo, rettore della Chiesa di S. Maria dell’Assunta di San Martino al Vomero. Per ricordare l’insurrezione dei napoletani contro la barbarie nazista abbiamo incontrato l’avv. Nino d’Ambra, fratello di uno dei combattenti isolani alle Quattro Giornate, e fondatore del Centro di Ricerche Storiche.
Avv. d’Ambra, chi erano i tre isolani che parteciparono alle Quattro Giornate di Napoli, quale il retroterra culturale che li spinse ad aderire alla sommossa?
«Rocco d’Ambra, Mario Onorato e Nicola Monti furono gli isolani che parteciparono direttamente alle Quattro Giornate. Onorato fu ferito mortalmente il 29 settembre del ’43 nei pressi di Via Roma e morì in ospedale il 1 ottobre. Mio fratello Rocco era un giovane avvocato; Onorato, se non erro, aveva un negozio fotografico in città; Monti, padre dell’ex sindaco di Forio Franco Monti, faceva l’agricoltore. Tutti e tre avevano un’educazione politica libertaria, Onorato lo era sin dagli inizi del ‘900, molto prima dell’avvento di Mussolini e della dittatura fascista. Faceva parte del Circolo anticlericale intitolato a Francesco Ferrer, anarchico spagnolo fucilato dai militari. Mio fratello Rocco, che perse la sua fidanzata Emma Marino per gli ultimi bombardamenti tedeschi sulla città, era un antifascista che mise in salvo Benedetto Croce e fu tra i patrioti che contattarono gli Alleati sbarcati a Salerno. All’annuncio dell’Armistizio, le angherie dei tedeschi diventarono tali che il popolo napoletano decise spontaneamente di insorgere. Mio fratello mi raccontava che ogni piano di intervento, a cui pure stava lavorando, fu scavalcato dall’irruenza popolare. Dovettero seguire la forza di questa ondata, senza capi militari, né politici. E’ stata questa la grandezza delle Quattro Giornate di Napoli».
La presenza dei tedeschi a Ischia ha mai creato scontri o manifesti atti di disubbidienza?
«Un distaccamento di circa 100 militari tedeschi era insediato a Sant’Angelo, tanto è vero che il bombardamento che avvenne l’8 settembre del ‘ 43 a Forio fu un errore degli inglesi, ignari dell’armistizio, che scambiarono la chiesa bianca di San Vito con quella di Sant’Angelo, volendo colpire i tedeschi. Il giorno dopo il bombardamento, si riunì il gruppo antifascista isolano: avevano capito che la presenza dei militari tedeschi era un grave problema. Di questo gruppo facevano parte, tra gli altri, gli avvocati Andrea Capezza, Francesco Regine e Luigi Morgera. Era un gruppo quasi sotterraneo, dato che a Ischia l’ambiente fascista era molto forte, visibile, diffuso. Ad ogni modo gli antifascisti si resero conto che di fronte alla resistenza dei militari tedeschi a lasciare l’isola, gli Alleati, pur di vincerli, avrebbero bombardato l’intero territorio isolano per poi arrivare come trionfatori. Anche a costo di colpire la popolazione civile già stremata dalle sofferenze. Con l’autorizzazione degli Alleati e del comitato di Liberazione Nazionale (che aveva un rappresentante a Bacoli, l’avv. Pasquale Schiano), il gruppo trattò la partenza pacifica del distaccamento, che poté raggiungere il grosso dell’armata tedesca in terraferma. Non prima di aver preso con sé degli “ostaggi” (tra cui l’avv. Capezza): i tedeschi non si fidavano, temevano una trappola. Alla fine l’evacuazione riuscì e i cittadini dell’isola si liberarono di quell’incubo senza colpo ferire».
Con il tempo le Quattro Giornate di Napoli sono state interpretate in modo diverso, in base alla parte politica che ha voluto impadronirsene o strumentalizzarle. Mitizzate da sinistra, sminuite da destra. Oggi la distanza ci permette una valutazione più serena.
«Non fu disegno politico o ideologico. La rivolta nacque spontanea da un desiderio collettivo di sopravvivenza contro l’oppressore tedesco. Poiché la ricerca storica non si ferma mai, oggi racconteremo anche la partecipazione del clero napoletano alle Quattro Giornate. Non con i fucili, naturalmente, ma supportando i giovani combattenti, i perseguitati, adottando varie forme di boicottaggio. La maggior parte del clero si fece i fatti suoi, ma alcuni diedero una mano significativa nell’aiutare la popolazione, come don Agostino Impagliazzo».
Al di là delle celebrazioni rituali, perché oggi è importante ricordare le Quattro Giornate di Napoli?
«Perché il mostro è sempre dietro l’angolo e l’allerta non va mai abbandonata. Dobbiamo ricordare il nostro passato, perché ci serve a capire le cose che vanno fatte e gli errori che non vanno ripetuti»