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Lavoro sì, ma non a donne con figli: la parola al panettiere Slama

«Non me ne vergogno, se ho scritto senza figli è perché ho i miei validi motivi: per esperienza, alcune delle ragazze con figli che hanno lavorato per me, mi hanno dato problemi»

Ha acceso la discussione l’articolo comparso nell’edizione di giovedì scorso del nostro giornale dal titolo “offro lavoro, ma solo a donne senza figli”. La questione riguardava un annuncio di lavoro pubblicato da un panettiere ischitano che escludeva dal candidarsi le donne con figli. Un fatto ormai comune che fa dell’Italia un paese ancora fortemente sessista e non proprio al passo con le leggi.

Il principio di parità prevede, infatti, il divieto di discriminazione tra i due sessi nell’accesso al lavoro. “Sono vietati – come si legge nella legge n.903/77, legge n.125/91 art.4, come modificato dall’art.1, lett.a e b d. igs. n. 145/2005 – i comportamenti discriminatori diretti e indiretti come test di gravidanza al momento dell’assunzione, colloqui in cui venga chiesto se sei sposata, o hai figli o se hai intenzione di averne, rifiuto di donna perché sei donna ecc.”: A contattarci è stato proprio il panettiere, Alessandro Slama che, pubblicamente, ha scritto “non me ne vergogno, se ho scritto senza figli perché ho i miei validi motivi, avendo già avuto ragazze con figli a lavorare, qualcuna mi ha creato qualche problema.

Avendo figli, un giorno uno era ammalato, un altro giorno deve andare dal pediatra, un altro ancora ha fatto la notte perché è stato male, con questo comportamento mi hanno creato qualche problema sul lavoro. Avendo pure io due figlie, so che significa”.L’articolo, beninteso non era un attacco personale al panettiere ischitano di cui spesso abbiamo menzionato i successi legati ai suoi prodotti, ma un voler far luce su di un fatto che, ad oggi, dinanzi al sentir parlare sempre più di parità tra i sessi, sembra davvero assurdo.“Io ho due bambini piccoli – scrive Vincenzo –  e quest’anno purtroppo è stata nera con l’ influenza, sia io che mia moglie siamo stati costretti ad alternarci e prendere a testa giornate di festa a lavoro pur di stare accanto ai bimbi. Ti capisco e a parere mio sei libero di scegliere chi e come assumere”. Diverso il commento di Francesco che si appella alla libertà di poter gestire la propria azienda come meglio si ritiene, “Se Alessandro ha fatto un’ offerta di lavoro potrà decidere a casa sua cosa fare per meglio portare avanti un’ azienda che costa sacrifici e sudore? Quando, come ha specificato, la persona avrà tutti i problemi che ogni mamma ha, andate voi a lavorare a posto suo o sarà il buon Alessandro a doversi sobbarcare il lavoro? Lasciategli gestire come meglio crede la propria azienda a meno che non vogliate anche in un momento di crisi come questo dargli una mano anche a pagare le tasse”.Non concordi, ovviamente, le donne come Giulia che risponde, “mi dispiace, ma non è giusto così!

Le donne devono avere pari opportunità degli uomini nel cercare e trovare un posto di lavoro. Ovvio che una donna può restare incinta ed avere bisogno di stare a casa qualche giorno in più, ma questo non può essere discriminante. Allo stesso tempo le donne devono imparare a conciliare bene il loro avere famiglia ed il lavoro. Coinvolgere di più i mariti/padri e semmai servirsi di asili e tate”.In molti hanno poi detto di apprezzare la franchezza del nostro Alessandro, la discriminazione rivolta alle donne con figli è molto comune anche qui sull’isola, ma spesso il datore di lavoro palesa la cosa soltanto trovandosi faccia a faccia con la candidata che non può fare altro che tornarsene a casa umiliata e scontenta. “Non voglio discriminare nessuno e non fare polemica, – ha detto ancora Alessandro  – il vero problema credo sia un altro: nessuno ha risposto al mio appello”. Le cose, quindi, sembrano stare cosi: o né uomini, né donne hanno bisogno di lavorare oppure è proprio vero che a voler lavorare, oggi, sono sempre meno. Siano essi uomini o donne, con o senza figli, si preferisce a stare sul divano di casa a lamentarsi sui social che lavoro non ce n’è, invece di rimboccarsi le maniche.

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