L’accusa di Don Carlo: «L’isola deturpata da un turismo scadente»
Lunga intervista al parroco di Ischia Ponte che compie una panoramica sull’attualità locale denunciando i limiti del mondo imprenditoriale e dell’azione politica e amministrativa
Due anni di covid e di sofferenze, adesso una straordinaria stagione turistica: quanto fa bene all’economia isolana questa boccata di ossigeno?
«Sotto il punto di vista prettamente economico è stata una grande benedizione. Se pensiamo che in certi weekend sono transitati nei nostri porti oltre 70mila persone, e in certi periodi si è parlato 10mila turisti al giorno, è fuori di dubbio il positivo impatto per la nostra economia. Non so invece quanto abbiamo influito il fatto che siamo nell’anno di Procida capitale della cultura, in quanto molti visitatori, dopo aver girato l’isola di Arturo per sette-otto ore, si sono poi diretti qui a Ischia, definita dalla nota rivista Travel+Leisure la più bella del mondo. Tuttavia questo è un discorso “materiale”, perché poi sappiamo che ci sono stati non pochi danni sotto l’aspetto sociale, oltre che della vivibilità: è inammissibile che chi sia giunto per godersi una vacanza in pace e tranquillità debba poi assistere a baruffe, sceneggiate, episodi di violenza da far west. Ecco, questa è l’altra faccia della medaglia, e sotto questo aspetto stiamo quasi toccando il fondo, perché in tal modo il turismo diventa solo una sete smodata di denaro, fine a sé stesso, che ci porterà ad essere vittime di noi stessi».
«La stagione turistica dal punto di vista economico è stata una benedizione, ma sotto il profilo della vivibilità ha provocato molti danni con un turismo scadente che ci deturpa socialmente e territorialmente»
La pandemia e tutto quello che ne è conseguito hanno reso l’ischitano più sensibile o a suo avviso quanto successo non ci ha migliorato per niente?
«No, non ci ha migliorato assolutamente. Lo dico da più di due anni, quindi da tempi non sospetti, e sono stato purtroppo facile profeta dai primi giorni dell’emergenza assistendo a certe scene e a certi comportamenti. La pandemia non ci ha resi migliori: la pandemia ha manifestato ciò che già eravamo. Davanti alla paura, alle fobie, esce fuori quello che siamo. Mi dispiace dirlo, ma è così. Un dato su tutti: l’Osservatorio nazionale per l’adolescenza ci dice che nel tempo della pandemia sono aumentati quasi del 40% i casi di autolesionismo, ma sono aumentati anche i casi di disturbi alimentari e depressivi, di tentati suicidi. E questi problemi dell’adolescenza si sono manifestati in grande misura anche sull’isola. Durante la didattica a distanza si verificò la disattivazione di quella che una recente scoperta scientifica chiama i “neuroni-gps”, quelli cioè in grado di farci comprendere il nostro ruolo nei diversi contesti, scolastici, sociali, familiari, lavorativi. Tali neuroni non si sono più attivati durante la pandemia, quando eravamo sempre in casa, e ciò ha causato numerosi casi di depressione oltre a un uso smodato dei social network anche tra gli adulti, con danni facilmente immaginabili. Dunque, anche l’attuale modo di fare turismo è inquadrabile più sotto forma di una “evasione” che non frutto di determinate e ponderate scelte».
«La classe politica isolana non ha avuto i mezzi né le capacità per stare vicina alla gente nella crisi generata dalla pandemia: quest’ultima non ci ha resi migliori ma, come pronosticai, ha manifestato ciò che già eravamo»
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Da poco si sono chiuse le celebrazioni del Santo Patrono e come al solito non sono mancati coloro che hanno parlato di spreco in fuochi pirotecnici e simili. Un eterno conflitto di opinioni che sembra irrisolvibile. Qual è il don Carlo-pensiero?
«Nella mia precedente parrocchia non ho mai sparato fuochi. Dovunque io sono andato, sono stato rispettoso delle tradizioni e delle usanze che ho trovato. Non sono mai entrato “a gamba tesa”. Vorrei però sapere quelli che parlano di spreco dove erano quindici-venti anni fa, quando tali sprechi erano enormi? Oggi noi facciamo tutto con oculatezza. Quest’anno poi non abbiamo avuto fondi da nessun ente, ma siamo andati avanti con le libere offerte dei fedeli, e voglio sottolineare che da quando ci sono io, la festa del Santo Patrono è stata l’unica celebrazione, senza voler toccare la suscettibilità di altri, che stanzia ogni anno una grossa somma a fini di carità. Dunque, quella dello spreco è una polemica inutile. Poi mi chiedo perché, in tema di fuochi, che quest’anno sono stati davvero ridotti, quasi simbolici, vediamo però radunarsi sempre una folla enorme per assistervi. Vedo quindi molte contraddizioni. C’era il rischio di non celebrare la festa, vista la mancanza di supporto, ma la piazza è stata sempre piena. Anni fa l’allora sindaco di Ischia Giosi Ferrandino, nel rispondere ai miei ringraziamenti, disse: “Carissimo Don Carlo, siamo noi che dobbiamo ringraziare te. La festa dura un giorno, tu riempi Ischia Ponte di persone per sette giorni”. Molti turisti sono venuti anche quest’anno a ringraziarmi. Ecco, queste sono le cose belle che dobbiamo portare avanti, e non un turismo scadente che ci deturpa territorialmente e socialmente».
«La Chiesa di Ischia negli ultimi anni è cresciuta soprattutto nella dimensione della carità, con l’enorme sviluppo della Caritas diocesana, che ha rivestito un ruolo fondamentale nel post-terremoto e durante la pandemia, fino a tutt’oggi»
Con quale interesse guarda alle elezioni politiche?
«Sono sempre stato molto attento alla politica, che secondo me è essenziale. Sono contrario ai luoghi comuni e al qualunquismo che tende a bollare la classe politica con aggettivi squalificanti: questo modo di pensare la politica non fa altro che generare certi teatrini, come quello a cui stiamo assistendo. Non ho vergogna di dire che in trent’anni per la prima volta ho grandi difficoltà a scegliere chi votare: nel momento in cui devo rivedere le stesse facce e addirittura essere preso in giro da testate americane che ci prendono in giro per aver mandato a casa l’unico in grado di provare a mettere a posto i conti dello Stato – e si badi bene, io non sono un sostenitore di Draghi – allora significa che la misura è colma».
«Col reddito di cittadinanza molte aziende stanno pagando le conseguenze di decenni di una vera e propria “tratta degli schiavi”, anche se molti sembrano aver dimenticato che lo schiavismo è finito da oltre un secolo. Eppure alcuni continuano a praticarlo»
Ritorniamo ai due anni difficili vissuti, Lei è stato sempre – anche in passato – sincero e schietto e allora le chiedo: la classe politica isolana è stata vicina alla gente ed ai suoi bisogni o poteva e doveva fare di più?
«Qualcuno per lavarsi la coscienza ha parlato di voucher, anche se è meglio lasciar perdere ogni discussioni su chi doveva beneficiarne e che poi effettivamente li ha ottenuti. Il discorso è che la politica non era attrezzata né capace di essere vicino alla gente. Ricordiamoci che la prossimità non la si improvvisa, ma è un’arte che bisogna vivere e coltivare tutti i giorni: come dice Gesù, non è uno stile da festa, bensì uno stile quotidiano, della ferialità. Nell’emergenza quindi si rivelano le incapacità e l’attuale classe politica non è capace nemmeno di assicurare la normale igiene delle strade, e quindi figuriamoci il resto. Non è un attacco indirizzato a qualcuno in particolare, ma è un discorso generale: molti turisti miei amici dicono che l’isola è bella ma è sporca e caotica. Cose che devono farci pensare e tali riflessioni si possono estendere ad altri settori».
L’isola ha perso due punti di riferimento come i monsignori Regine e Sferratore, le nuove nomine operate dal vescovo Pascarella hanno ringiovanito la Chiesa locale, per evidenti motivi anagrafici. A proposito, ma la chiesa ischitana riesce ad essere ancora vicina alla gente? E cosa potrebbe fare ancora per migliorare il proprio feeling con i fedeli?
«Per quanto riguarda l’essere vicini alla gente, appunto la prossimità, essa è uno dei pilastri del Vangelo. La Chiesa di Ischia, negli ultimi anni è cresciuta soprattutto nella dimensione della carità, con l’enorme sviluppo della Caritas diocesana, che ha avuto un ruolo fondamentale nel post-terremoto e durante la pandemia, fino ad oggi. Non dimentichiamo che sull’isola molte persone e molte famiglie in silenzio sono assistite e aiutate. A giugno abbiamo accolto venti indigenti partenopei per una intera giornata, organizzando un giro dell’isola in motonave, un pranzo, la messa, la passeggiata a Sant’Angela: un’iniziativa resa possibile grazie all’aiuto di tanti amici, che testimonia l’esistenza di tante persone generose sull’isola. L’importante è fare rete, fare comunione, fare famiglia».
«Il Vescovo Pascarella è un uomo di una bontà estrema, di una grande capacità di accoglienza e di ascolto vero. Già conosceva Ischia, adesso vi è tornato in punta di piedi, con esperienza, rispetto, umiltà e una grande amabilità, che lo rende autorevole»
Quindi secondo Lei sull’isola stiamo interpretando al meglio le parole di Giovanni Paolo II, “Ascolta, accogli, ama”, o sarebbe il caso di farsi un esame di coscienza?
«In alcuni settori riusciamo a farlo, ma ci vuole coraggio. Siamo una piccola realtà, che rappresenta un segno di speranza, ma sulle parole di Giovanni Paolo II dobbiamo lavorare ancora tanto».
Sull’isola ci sono 2.500 famiglie in povertà, secondo le stime della Caritas, eppure tante aziende non trovano forza lavoro disponibile a lavorare. Quello che sta succedendo a Ischia sotto certi aspetti non le sembra un paradosso?
«Venti anni fa ero direttore dell’ufficio problemi sul lavoro, e partecipavo ai convegni nazionali. Quando mi intervistavano, soprattutto riguardo i tassi di disoccupazione generalmente alti al sud, mi chiedevano quale era la situazione a Ischia: io rispondevo dicendo che la disoccupazione sull’isola era ufficialmente al 3%, ma nella realtà era allo 0% perché tutti, in un modo o nell’altro, lavoravano e se la cavavano. Poi spiegavo che a Ischia non avevamo il problema della disoccupazione ma della “mala occupazione” perché le persone lavorano in modo disumano, con orari assurdi, oltre che sottopagati. Oggi credo che col reddito di cittadinanza molte aziende stanno pagando le conseguenze di una vera e propria “tratta degli schiavi”, anche se molti sembrano aver dimenticato che lo schiavismo è finito da oltre un secolo. Eppure alcuni continuano a praticarlo. Non è solo una questione di lavori nella ristorazione e negli alberghi, ma penso ai tanti lavori umili, a chi svolge le pulizie casalinghe, chi fa da baby sitter: anche in tali casi, nonostante si tratti di famiglie ricche che chiedono tali prestazioni, lo sfruttamento è ampiamente presente. Quindi ben vengano questi momenti in cui i lavoratori non vogliono farsi più sfruttare. Uno dei peccati peggiori al cospetto di Dio è proprio il negare il giusto salario ai lavoratori. Fra l’altro questa mancanza di forza lavoro creerà ancora più problemi, perché il personale rimasto in servizio dovrà lavorare il doppio».
«Ischia è stupenda, ci siamo impegnati per rovinarla ma Dio l’ha fatta troppo bella. Dobbiamo assolutamente impegnarci a ogni livello per evitare soprattutto che tanti, troppi giovani siano costretti a fuggire perché qui non trovano un futuro, mentre Ischia rischia di diventare l’isola delle RSA»
Un giudizio sull’operato del vescovo Pascarella? Ischia doveva essere una succursale di Pozzuoli, invece sembra essergli entrata nel cuore…
«Monsignor Pascarella, lo dicono tutti, è un uomo di una bontà estrema, di una grande capacità di accoglienza e di ascolto vero. È una persona che già conosceva Ischia, e adesso vi è tornato in punta di piedi, con rispetto, umiltà e una grande amabilità, che lo rende autorevole. L’autorevolezza non nasce dall’essere autoritari, ma dallo stile di vita. Ha una grande esperienza, essendo stato Vescovo di una delle più grandi Diocesi della Campania. In poco tempo ha affrontato già questioni importanti come il dover provvedere alla nomina dei parroci, compito non semplice».
Un suo messaggio alla comunità ischitana, prima di salutarla…
«Io amo tantissimo Ischia, e dovunque sono andato ho sempre detto di provenire dall’isola più bella del mondo. Tuttavia, ci siamo forse impegnati troppo a renderla brutta, ma ancora non ci siamo riusciti perché il Padreterno l’ha fatta troppo bella. Detto questo, penso che dobbiamo recuperare la nostra specificità: la dimensione dell’accoglienza, della semplicità, della familiarità. Ci stiamo imbruttendo, con la litigiosità, invidie e gelosie, anche nel proprio lavoro. Soprattutto, sento che questa isola sta diventando matrigna, perché non sta assicurando un futuro ai propri figli: tanti, troppi giovani stanno andando via dall’isola, cosa che rischia di far diventare Ischia l’isola delle RSA. E questo è davvero triste: dobbiamo chiederci il perché, e certa politica, anziché preoccuparsi, per dirla alla Collodi, del paese dei balocchi, dovrebbe preoccuparsi dei nostri giovani, e consentirgli di potersi costruire un futuro qui, e di diventare uomini. Questa è la cosa più importante, e ciascuno, a tutti i livelli, deve fare la propria parte: la politica, le famiglie, le associazioni, la Chiesa. Tutti dobbiamo unirci per scongiurare che questa diventi un’isola senza futuro e far sì che i nostri figli non dovranno venire qui solo per trascorrere qualche settimana di vacanza, per poi scappare di nuovo, ma possano avere un posto dove lavorare e vivere degnamente».
L’intervista don Carlo ha evidenziato con garbo ed eleganza i mali che imbruttiscono la nostra bella isola.