La triste sorte dei pazienti dell’Albano Francescano
L’ospedale civico rischia la chiusura dopo la sentenza della Corte di Cassazione che ha disposto che le proprietà lasciate in eredità tornino ai discendenti di Domenico Scotto Lachianca
Stando a quanto pubblicato dal Sole 24 ore (con un dettagliato servizio giornalistico firmato da Patrizia Maciocchi) rischia la chiusura l’Ospedale civico Albano francescano di Procida. È l’effetto della sentenza con la quale la Corte di cassazione (sentenza 23384) ha disposto che tutte le proprietà immobiliari, compresa l’isola di Vivara, lasciate in eredità nel 1940 all’opera Pia, fondata nel 1858, tornassero ai discendenti del donatore, il medico e armatore procidano Domenico Scotto Lachianca. Dopo 20 anni di battaglie legali e tre passaggi in Cassazione, la Suprema corte ha ritenuto che non sia stata rispettata la condizione posta dal benefattore di destinare le strutture alla beneficienza a vantaggio degli anziani poveri e inabili.
LA SORTE DEGLI ANZIANI OSPITI – Gli otto anziani ad oggi ospiti versano alla struttura una quota della loro pensione. Ma per i responsabili della Fondazione il verdetto dei giudici è un colpo fatale, che mette seriamente a rischio la possibilità di assicurare ancora una sistemazione agli anziani presenti nella casa-alloggio, oltre che il posto a chi ci lavora. A lanciare l’allarme è Emilia Carannante, presidente dell’Opera Pia Albano Francescano. «Oltre all’amarezza di subire una sentenza simile, per noi incomprensibile, stante l’impegno ultracentenario al servizio dei poveri dell’isola nello spirito di umana solidarietà dei fondatori: l’armatore procidano Girolamo Albano e San Ludovico da Casoria, il frate dei poveri, e nel rispetto della munificenza dei donatori successivi, oggi ci angoscia la prospettiva di non poter più assicurare agli otto attuali assistiti l’assistenza, oltre al futuro dei dieci dipendenti, già senza stipendio da oltre un anno, cioè da quando è stata resa esecutiva la sentenza di Appello. Ci interroghiamo sulla sorte di chi, già sofferente per condizione fisica e morale, mantenendo, grazie ai grandi sacrifici di chi ieri come oggi ha prestato la propria opera assistenziale e gestionale, una condizione di serenità e di completa assistenza nonché rapporti col proprio ambiente per alleviare la solitudine».
L’ISOLA DI VIVARA – Per la presidente il problema non è perdere l’isola di Vivara è non poter più contare sulla rendita degli immobili che, stando alla Cassazione, non veniva però destinata all’assistenza socio sanitaria in favore dei poveri. «I media – dice Emilia Carannante – hanno focalizzato l’attenzione sull’isolotto di Vivara, quando invece è la perdita degli immobili a reddito, circa una quindicina, che penalizza tragicamente il futuro dell’opera assistenziale. Infatti, lo Stato, caso unico in Italia, istituendo la Riserva Naturale dell’isola di Vivara, senza espropriarla non ha fissato alcuna rendita per la proprietà. La perdita dell’eredità del dottor Domenico Scotto Lachianca, con una rendita annua intorno ai centomila Euro, riduce drasticamente le risorse per attuare lo scopo statutario, non consentendo di andare oltre. Oggi per giustizia, speriamo, che qualcuno ci spieghi come si sia potuto giungere a questa sentenza definitiva, incomprensibile anche al nostro avvocato difensore. Dopo aver individuato un errore nella decisione della Corte di Appello, viene confermato il giudizio che penalizza i poveri di Procida. Non riusciamo a darci pace, poiché riteniamo che sia stato sempre rispettato il volere del donatore che all’eredità aveva posto la sola condizione di non utilizzarla per altra opera di beneficenza, cosa che non è avvenuta.»
Disappunto dei responsabili della Fondazione a parte, resta il problema degli anziani, tutti originari di Procida, che corrono il rischio di essere sradicati dall’Isola di Arturo dove sono sempre vissuti. La Cassazione ha messo un punto fermo sulla vicenda, ora dovrebbero essere la poltica e l’ente locale a trovare una soluzione per chi, senza avere nessuna colpa paga il pezzo più alto per un verdetto frutto di un braccio di ferro durato decenni.