“La trama delle donne”, Odissea al femminile
Gianluca Castagna | Lacco Ameno – A quei tempi, è noto, le donne non potevano scegliersi un marito. I matrimoni erano combinati e alle sventurate non restava altro che rassegnarsi: dal padre-padrone passavano al marito-padrone, accettando il sacrificio con serafica indulgenza, consapevoli della propria (presunta) subalternità. Qualcuna se la passava meglio, magari si ribellava pure, ma erano le meno “serie”. Subito bollate dalla società degli uomini come sciagure per l’intera comunità. Quasi sempre vittime di un pensiero inesorabilmente misogino.
Le figure femminili descritte nei poemi omerici sono filtrate dalle convenzioni della società greca fra la fine della civiltà micenea e l’ VIII secolo a.C.
Sante o puttane (non che sia cambiato molto, in fondo).
Penelope è la moglie che aspetta Ulisse vent’anni. Non concede nulla alle pressanti richieste dei pretendenti, né smette di chiedere notizie del consorte ai forestieri che giungono a Itaca. Tutti cantano le gesta di questo eroe scaltro e vagabondo. Racconti sempre diversi, per cui la trama si complica e a Penelope (l’allievo, si sa, supera sempre il maestro) tocca disfarla ogni notte per (tentare di) venirne a capo.
Elena, la donna più bella del mondo, è la sposa di Menelao. L’oggetto del desiderio di Paride, vittima del disegno capriccioso degli dei, causa di eventi tragici che porteranno alla morte un’intera generazione di giovani eroi. Femmina sfuggente. Ma le bocche degli antichi (e dei moderni), non smettono di pronunciare il suo nome, tentando (invano) di afferrarla e perpetuando un conflitto che dai campi insanguinati dell’Iliade si tramuta in aperto scontro di idee.
Processo di condanna o assoluzione, colmo di frenesia e morbosità.
E se Elena a Troia non ci fosse mai stata? Se greci e troiani avessero combattuto la più terribile delle guerre per un’immagine illusoria fatta di fumo?
Nello spettacolo “La trama delle donne”, che torna in scena stasera a Villa Arbusto nell’ambito della manifestazione “Metamorphosis”, l’autore e regista Salvatore Ronga non tradisce l’irriverenza giocosa con cui affronta di solito l’archetipo letterario (Giulietta e Romeo in versione camorra kitsch, Cenerentola omosex, l’umanità di una Macondo ischitana in completo corto circuito in “Cent’anni d’isolitudine”, le favole di Ovidio piene di desiderio nel recente “Le metamorfosi”), ma qui la depura, l’essenzializza, prosciugando il pathos mitologico dei suoi tessuti e delle sue cellule, dei suoi melmosi sospetti e delle sue odiose convenzioni.
Prima ancora di rovesciare gli stereotipi omerici, regala alle signore una voce. Forse addirittura una coscienza. D’esser sole, anzitutto.
La solitudine sta nell’accettare e (ri)conoscere la propria identità vivendo alla luce di tutti, ma non alla portata di tutti. Nemmeno per l’ultima arrivata: Nausica, la principessa che accoglie Ulisse, naufrago e nudo (come esige l’iniziazione al rinnovamento) nel canto VI dell’Odissea, sull’isola di Scheria. L’orizzonte di un altrove dove l’incontro con l’eroe (o “l’uomo nero” dei sogni proibiti) sigilla per sempre l’adolescenza della fanciulla nello spazio bianco dell’assenza. Ma l’isola è anche dimora delle proiezioni dell’inconscio, riparo dal caos dell’esistenza, possibilità di dare compimento ai bisogni psichici. Nausica è il nuovo personaggio voluto da Ronga in una trama tutta raccontata dalle donne. Un’Odissea al femminile sulla quale esercitare la fantasia e l’immaginazione per la tessitura di nuove storie: la finzione della messinscena propone per le protagoniste del mito la verità di una voce contemporanea che risuona per contrasto o in assonanza con i versi del poema omerico.
Elena (Marina Ascione/Rosanna Nocera) è una diva. Non sa rinunciare al potere della seduzione. Menelao la corteggia (“scegli me! scegli me!”), la sposa, investe nella bellezza sovrumana di lei, capitale per ingaggi sempre nuovi. La sua immagine ceduta al miglior offerente, alla volubilità degli dei, alla fantasia scatenata dei poeti, alla meschinità degli uomini.
Dieci anni in Egitto (“non farti vedere, soprattutto non invecchiare!”), immobile davanti allo specchio (“un fantoccio”), reduce da un altro ratto, l’ennesimo, dopo quello troiano. Vittima di uno sdoppiamento al quale non riesce a reagire, come gli altri esseri umani, distinguendo tra realtà e sogno, desiderio e paura, verità e fantasia.
“Non mi ha uccisa Polisso – confessa – ma Menelao”. La morte segna la sua rinascita (“stringi più forte il cappio”), la sua libertà. La parola non è più menzogna, il gesto non è più falsità, il sorriso non è più una smorfia.
Anche Penelope (Milena Cassano) ha le sue gatte dal pelare (“a ciascuno la sua odissea!”). L’assenza dell’eroe, il figlio irriverente, i Proci che non danno tregua. E quella stramaledetta tela da disfare ogni notte.
Nemmeno lei, s’intende, è esente dal sospetto (“Corpi fiorenti in cambio di un corpo sfiorito”). L’incontro tra i due coniugi dopo vent’anni di guerre e peripezie non è certo dei più affettuosi. “Piango perché non so chi è lui, piango perché non so chi sono io”.
Riuscirà Ulisse ad amare ancora la sua sposa, che ha visto l’ultima volta giovane e che ora gli pare di colpo invecchiata? Riuscirà Penelope ad amare ancora il marito nonostante i tradimenti, la mancanza di fiducia (“si è fatto riconoscere da tutti tranne che da me”), l’aver superato brillantemente il paragone con l’uomo più furbo dell’antichità? Due vecchi che si seducono a vicenda ispirano tenerezza o pietà? Il rebus del talamo intagliato nel legno d’ulivo è servito. Solo dopo, Penelope decide di fare un nodo al filo e chiudere la trama (se non fosse per quell’uccello di malaugurio di Tiresia che si metterà di mezzo…)
Nella voce di Nausica (Irene Esindi), colta in più di un passaggio capitale (la trasformazione del corpo, il risveglio della sessualità), c’è una speranza trepida e segreta, il segno di una crescita che, attraverso la conoscenza, può aprire strade del tutto inattese (“un’ombra di felicità”). Nausica è colpita e affascinata dal nuovo aspetto di Ulisse, si innamora dello straniero, che poco prima gli era parso “brutto davvero” e ora assomiglia a un dio. Adesso il desiderio prorompe irresistibile da lei (“la voragine che mi si è aperta dentro”), lo straniero potrebbe diventare il suo sposo (“Io sono sua, dell’uomo nero che non ha un nome”), ma quanta audacia – santi numi! – ad alimentare un sogno senza l’avallo familiare.
Anche qui, a mettersi in mezzo, sono gli dei.
L’eroe che ha conosciuto i confini del mondo, ha sfidato le divinità e i mostri, ha visitato i morti, per poi approdare su un’isola dove il tempo ha smesso di scorrere, deve ripartire. L’isola che potrebbe diventare il luogo dell’incontro tra maschile e femminile, favorendo il necessario ricongiungimento tra le due polarità, non è l’isola di Nausica. Di entrambe non sapremo più nulla. “La nave si farà di pietra, l’isola intera tornerà ad essere uno scudo tufaceo in balia delle correnti”.
Messinscena avvincente, ipnotica, di grande pulizia prospettica, “La trama delle donne” conferma l’abilità di Ronga nel solleticare le antenne degli spettatori e comandarne l’attenzione in questo viaggio appassionante al termine della donna. Anche l’accompagnamento musicale di Daniele Ubjk spinge il pubblico a sintonizzarsi sulle frequenze “lunari” del femmineo come principio misterioso della vita, complemento indispensabile (ma anche no) al vitalismo narcisistico, marziale (ma arido) del maschio. Accanto alle quattro protagoniste, completano il cast Roberto Scotto Pagliara, Giovangiuseppe D’Ambra, Daniele Boccanfuso.
A impreziosire la narrazione, che si svilupperà tra le suggestioni del pergolato di Villa Arbusto, “Roots”, l’installazione di Bettina Buttgen: «Gli spettatori possono interagire con le mie colorate creazioni – racconta l’artista di origini tedesche ma ischitana d’adozione – che diventano un tutt’uno con lo spettacolo».
“La trama delle donne” va in scena stasera alle 21 e alle 22, la replica è il 28 agosto.
(photo: Lucia De Luise, Antonello De Rosa, Claudio Cervera)