La rivincita degli eredi del parroco sulle “perpetue”

Si chiude la vicenda giudiziaria legata alle celeri “Gnezzechelle“ di Lacco Ameno, nessun mega risarcimento dovrà essere elargito alle factotum del prelato don Luigi Trani. Le due sorelle fecero causa agli eredi Piro chiedendo la remunerazione per i lavoro domestico svolto in favore del religioso dal 1962 al 1996

La Corte Suprema di cassazione-sezione lavoro dopo oltre 20 anni di cause e lotte giudiziarie ribalta la sentenza di giudici del tribunale di Napoli e Corte di Appello è scrive l’ultima pagina – storica – di una vicenda made in Lacco Ameno. Tra sacro e profano, fede e beni materiali. Una pagina di “roba” tipica del nostro territorio che all’ombra del Fungo ha fatto epoca facendo rivoltare, qualcuno, anche nella tomba e soprattutto ribaltando  le “Gnezzechelle “ di Lacco Ameno.Cosi si prendono la loro rivincita degli eredi del parroco sulle “Perpetue” che oltre 10 anni fa erano stati condannati a pagare un conto salatissimo in favore delle suddette per presunti servigi in favore del Prete. Nessun mega risarcimento alle factotum del prelato Don Luigi Trani ! Le due sorelle Abbondanzia e Candida Piro fecero causa agli eredi Piro chiedendo la remunerazione per i lavoro domestico svolto in favore del religioso dal 1962 al 1996,. Dopo una prima sentenza favorevole avevano anche visto riconosciute le loro ragioni, poi dopo oltre 20 anni di cause gli eredi legittimi del sacerdote sono riusciti ad avere ragione ribaltando le prime sentenze a favore delle “pie donne”.

Con sentenza resa il 3.12.2010, il Tribunale di Napoli aveva accolto la domanda proposta dalle attrici Piro Abbondanzia e Piro Candida e per l’effetto aveva condannato i convenuti, tutti nella qualità di eredi del reverendo parroco don Luigi Calise Piro, e ciascuno in proporzione della propria quota ereditaria, al pagamento: in favore della ricorrente Piro Abbondanzia in proprio, della complessiva somma di € 182.257,71, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione di ciascun credito al saldo effettivo; e in favore di Piro Abbondanzia e Piro Pasquale, quali eredi dell’originaria ricorrente Piro Candida, della complessiva somma di € 164.968,74, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione di ciascun credito al saldo effettivo; condannava, altresì, i convenuti, ciascuno in proporzione della propria quota ereditaria, al pagamento delle spese di lite dei ricorrenti, come liquidate e in distrazione. Tali richieste delle originarie attrici si fondavano sul dedotto rapporto di lavoro domestico di entrambe alle dipendenze di Calise Piro Luigi dal 1962 al 5.7.1996, data del decesso del prelato. Con sentenza n. 4058/2014, la Corte d’appello di Napoli dichiarava cessata la materia del contendere nei confronti degli appellanti Saviano Michele e Mennella Domenico; accoglieva il gravame proposto dai restanti appellanti e, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda avanzata in primo grado da Piro Abbondanzia e Piro Candida; e condannava parte appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, come liquidate per ogni grado.

In un primo momento l’esito del contenzioso era stato favorevole alle ricorrenti, poi però dopo oltre 20 anni di cause gli eredi legittimi del sacerdote sono riusciti ad avere ragione ribaltando le prime sentenze a favore delle “pie donne”

Con sentenza n. 21908/2018, la Corte Suprema accoglieva il primo motivo del ricorso per cassazione proposto da Piro Abbondanzia e Piro Pasquale, erede dell’istante Piro Candida, contro la decisione di secondo grado, dichiarando assorbiti gli ulteriori quattro motivi di ricorso. Cassava la sentenza impugnata .

In particolare, nell’accogliere il primo motivo di quel ricorso, con il quale veniva dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 214, comma secondo, e 215 c.p.c., nonché dell’art. 2719 c.c., questa Corte aveva considerato. Tutto ruotava intorno ad una presunta dichiarazione recante la firma di Don Luigi Calise Piro in favore delle due perpetue lacchesi poi tempestivamente disconosciuta. Cosi come alcuni certificati INPS.Anche il giudice d’appello ha escluso valenza probatoria alla copia della dichiarazione di responsabilità prodotta in primo grado dalle ricorrenti, datata 24 maggio 1994, recante la firma “Don Luigi Calise Piro”: “in quanto tempestivamente disconosciuta, quanto alla sua conformità all’originale, dai resistenti sui quali, oltre tutto, nella qualità di eredi del diretto firmatario non gravava un vero e proprio onere di disconoscimento ma solo quello di dichiarare di non conoscere la scrittura ovvero la sottoscrizione del loro autore”. Persono l’INPS di Ischia era stata tirata in ballo ma per i giudici: “Quanto rilevato esclude, in primo luogo, così disattendendosi la censura, più diffusamente articolata con il secondo motivo, la omessa considerazione della dichiarazione del Direttore della sede INPS di Ischia, avendo il giudice di appello dimostrato implicitamente di ritenere non dirimente tale dichiarazione, attribuendo rilievo decisivo al mancato rinvenimento dell’originale del documento presso la sede provinciale dell’istituto, attestato dal responsabile di detta sede”.

La censura incentrata sulla inidoneità della contestazione avente ad oggetto la fotocopia della summenzionata dichiarazione di responsabilità del Luigi Piro Calise è “infondata- scrive la Cassazione-  laddove assume la necessità della provenienza di tale contestazione dalla parte personalmente e non dal procuratore. La sentenza impugnata è, infatti, sul punto conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il disconoscimento della scrittura privata rientra nei poteri conferiti al difensore con laprocura alla lite, essendo atto di natura processuale e nonal motivo accolto e rinviava alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, cui demandava di regolare anche le spese del giudizio di legittimità”. 

Per questo Motivo  la Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.500,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi per i controricorrenti difesi dagli Avv.ti Nunzio Rizzo e Pierluigi Rizzo, e distrae in favore di questi ultimi, nonché al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore degli ulteriori controricorrenti, spese che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 3.500,00 per compensi; per tutti oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge. Decine di persone chiamate in causa ed ora a vario titolo passate da chi doveva risarcire cifre blu a chi, ora deve essere risarcito. Insomma passate dal torto alla ragione dopo 20 anni di dura lotta legale. Infatti la Cassazione dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento anche  da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorsose dovuto.Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del Presidente Fabrizia Garri. Tutto questi si legge in una sentenza a dir poco epica e come chiarito dalla Corte“il disconoscimento di un documento non richiede l’uso di formule sacramentali”. E’, invece, fondata la ulteriore censura con la quale si critica la sentenza impugnata per non avere provveduto ad accertare, sulla base degli elementi in atti, la conformità all’originale del documento costituito dall’autodenunzia all’INPS effettuata dal Calise Piro.

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