Di Luca Antonio Pepe
Lo dico chiaramente: per il lavoro che faccio – oltre che essere giornalista, sono uno spin doctor parlamentare – so che questo articolo è pesante e me ne assumo tutta la responsabilità. Sono conscio del peso che certe dichiarazioni potrebbero avere, soprattutto quando tocchi certi tasti, scoprendo tabù o argomenti delicati. Occuparsi di tematiche religiose è molto più delicato di trattare spinosi argomenti politici. E se la politica è il mio pane quotidiano, non si può dire altrettanto per ciò che concerne il mondo della fede. Mondo che non mi appartiene più di tanto, essendo agnostico. Paradossale, se ci pensate. Questo articolo potrebbe segnare un passo importante per la fede isolana ed è affidata a un “San Tommaso” qualsiasi. Certo, qualcuno potrebbe dire che nulla è al caso, che questa è un’occasione guidata dall’alto. Ma io ci vedo solo un giornalista di origine ischitane che è venuto a conoscenza di fatti e li vuole raccontare, sfidando il proprio “credo-non credo”, ma in ossequio della deontologia professionale.
I fatti, veniamo ai fatti. Passo indietro doveroso. Vi introduco uno scenario pittoresco, meraviglioso, un’autentica nota di piacere per i turisti e gli isolani: la sorgente dell’Olmitello, prolungamento dei Nitrodi, famosa per le acque mineralizzate e diuretiche, dalle elevate proprietà terapeutiche; tant’è che nei primi anni del novecento era usata per estrarre i sali minerali impiegati per curare i problemi reumatici, il diabete, la gotta e i calcoli renali. Il luogo fiabesco si colloca nella parte meridionale di Ischia, nel ventre della spiaggia dei Maronti, precisamente nella parte centrale. Si accede dalla spiaggia, percorrendo un anfratto verdeggiante che costeggia la normale passeggiata lungo i lidi. Ci si accorge subito del percorso naturalistico, allorquando si scorge una blanda e fioca sorgente riversarsi sull’arena. Quest’acqua è l’acqua dell’Olmitello.
E’ da sempre considerata una sorgente di natura divina, complice i miti che l’accompagnano da sempre. Secondo una leggenda, Tifeo fu scagliato sotto il Monte Epomeo dopo essersi ribellato a Giove il quale, iracondo, lo relegò in punizione sotto il vulcano. Il poveretto scoppiò a piangere e Venere tentò di consolarlo, trasformando le sue lacrime – calde perché a contatto del vulcano – nelle tiepide sorgenti isolane, tra cui noveriamo appunto l’Olmitello.
Miti a parte, un tempo il percorso era piacevole e decine di turisti e curiosi risalivano la fonte che bagnava un letto percorribile in circa trenta minuti. Lungo il percorso era possibile scorgere una vecchia abitazione abbandonata, dal fascino misterioso, per poi arrampicarsi lungo un sentiero sopraelevato e giungere in prossimità di canyon naturali che ricordano i film western di Sergio Leone. Un panorama mozzafiato che era spesso un set fotografico di tedeschi e popoli nordici affascinati da questi sfondi naturali inediti e meravigliosi. Sicuramente uno dei punti di forza dell’isola. A distanza di qualche anno le cose sono cambiate e il paesaggio è stato contaminato dagli sversamenti abusivi dell’uomo, che ha lordato il ruscello con manufatti più o meno grandi, scarti, stoviglie, spazzatura e pattume di origine presumibilmente industriale. Un pugno nell’occhio indescrivibile, che ha attirato topi grandi quanto gatti, che hanno preso il posto delle simpatiche rane e girini che un tempo erano gli attori protagonisti e indiscussi. E non solo, ormai il luogo è ostacolato da una fitta vegetazione che impedisce la passeggiata già a metà sentiero, rendendo inaccessibile pure la cavalcata verso i canyon. E di turisti nemmeno l’ombra: Ischia non ha più un punto di forza, un luogo attrattivo come pochi.
Ed ora veniamo al secondo passaggio, quello mistico. Questo percorso, ancora oggi, è popolato da molti racconti e dicerie, di matrice mistica. Novelle che passano di bocca in bocca, da ombrellone a ombrellone. Fino ad ergersi a mito mainstream. Personalmente non ci ho mai prestato attenzione, credendo poco o nulla a questo genere di favolette. Almeno fino ad un certo punto.
Vero è, che quando ti addentri nella fitta vegetazione dell’Olmitello, lungo la tua pelle scorre una sensazione strana e vieni colto da forti vibrazioni. La natura sembra che ti guarda con fare curioso, ti senti osservato, ogni tanto ascolti fruscii che scuotono rami e cespugli. Ne stavo parlando con una persona, non molto tempo fa, che condivide con me la passione per questo genere di escursioni. Il soggetto in questione, mentre raccontavo di quest’energia misteriosa che sprigiona il luogo, si fece serio in volto e con voce rotta tuonò: “Guarda, tu sai che io non credo, o almeno non più di tanto, ma lì sono successe cose strane”. “Cioè?”. “Un po’ di tempo fa percorrevo con mia sorella il sentiero dell’Olmitello, si trattava di una passeggiata pomeridiana, al margine di una giornata di mare. Beh, arrivate a metà percorso sentimmo dei vagiti. Là per là non scorgemmo bimbi o lattanti, e continuammo il percorso. Ma andando avanti l’eco si faceva sempre più insistente, più forte, più assordante. Il fatto che non si manifestava alcuna presenza tangibile iniziava seriamente a farci paura. I battiti salivano a mille”.
Mentre proferiva tali parole, questa mia conoscenza – un professionista di Napoli – tratteneva a stento le lacrime: “Poi all’improvviso – continuò – scorgemmo in lontananza un forte raggio di sole, che si faceva prepotentemente strada tra i rami degli alberi. Un raggio che bagnava una persona, di spalle, da cui provenivano i pianti. Ci avvicinammo, anche perché era lungo il percorso di rientro e fu da quel momento che i ricordi divennero più annebbiati”. “Perché?”, chiesi. “Beh, quando ci avvicinammo capimmo che il raggio di sole non era un raggio di sole, ma un forte bagliore che emanava, o comunque rifletteva, una donna dal volto coperto da una tunica candida, che le copriva il corpo fino ai piedi immersi nudi nell’acqua. In braccio aveva un bambino che piangeva, urlava. Lei ferma, impassibile, come una statua. In quel momento io e mia sorella capimmo di cosa, o di chi, si trattasse, di cosa stavamo vivendo insomma. E noi altrettanto pietrificate, una situazione strana, in cui non sapevamo se urlare, scappare o avvicinarci. Ad un tratto il bagliore si trasformò in una bagno di luce pura e questa apparizione fece per alzare una delle due mani, volgendo il capo verso di noi. Ma il viso no, non si vedeva, era luce pura, strano a descriversi”. “E poi?”. “E poi nulla, non abbiamo più ricordi, se non di noi sotto l’ombrellone in stato confusionale. Per alcuni giorni ci salì la febbre a quaranta”. “Hai mai raccontato questa storia a qualcuno che si occupa di queste cose?” chiesi. “No, mai, per salvaguardare la mia vita, la mia carriera”.
Terzo passaggio, una seria riflessione, anzi due. Anzitutto, non comprendo perché questo angolo paradisiaco versi in condizioni pietose, un vero peccato ed uno schiaffo in faccia alla fauna e alla flora, senza considerare i risvolti igienico-sanitari. Ma consideriamo un altro aspetto. L’isola non è nuova ad apparizioni Mariane e chi vive l’isola sa che non esiste solo Zaro. Ora, quel che non si capisce è perché non si punti anche su quest’altra forma di turismo, di matrice religiosa. Perché non fare, così, un passo in avanti e “scegliere” i turisti, e non subire “i soliti noti” che infangano la vivibilità dell’isola verde? Perché non creare un brand unico di Ischia e fissare dei percorsi con diversi tipi di vocazione ed “esperienze” da far vivere? Magari invitando degli influencer settoriali da mezza Europa e giornalisti che possano propagandare quest’isola dai mille volti? E soprattutto perché nascondere e non parlare chiaramente anche di quest’altro aspetto dell’isola, dal forte carattere religioso? Per paura o cosa? E voi, avete mai vissuto questo genere di esperienze sull’isola? Scriveteci quanto prima, anche chiedendo di mantenere l’anonimato, (quotidianoilgolfo@gmail.com) e apriamo una volta e per tutte il dibattito.