LE OPINIONI

LA RIFLESSIONE Procida e il culto dei defunti

Tra una quindicina di giorni arriva il 2 novembre, giorno dedicato dai defunti. Prima la ricorrenza veniva avvertita molto tempo prima; era una sorta di appuntamento che lasciava il segno; si cominciava con la novena dei morti che si svolgeva nelle chiese prima dell’alba, ancora con il buio. Sotto casa mia, alla Madonna della Libera sentivo la gente che passava per andare in chiesa. Oggi questa sacralità della ricorrenza non la riscontro più. Sembra che anche la morte abbia perso la sua pregnanza. Forse è meglio così. Mi ha fatto ricordare la ricorrenza una telefonata dalla congrega dei Turchini che mi ricordava che dovevo pagare la retta per i loculi al cimitero. Ho due ossarini, uno a dimensioni normali ove riposano mio padre e mia madre. ed uno a dimensioni ridotte, praticamente la metà, vuoto, intonso, che aspetta le ossa del sottoscritto e che spero che questo avvenga il più tardi possibile. Dopo la telefonata mi sono abbandonato ad alcune considerazioni. Certo la questione del seppellimento dei morti non è andata sempre così come adesso. Una volta i defunti venivano sepolti nelle chiese, quasi sempre nelle fosse comuni. Solo i personaggi molto importanti avevano una tomba molto speciale, spesso monumentale. Ma questo capitava, ad esempio, ai Papi. La maggioranza dei morti del popolo non era degna di nessun rispetto . Non solo questo, ma bisognava pagare una tassa alla chiesa, il cosiddetto “Ius mortuorum”, vale a dire il “diritto di fossa e campana”, affinché il defunto fosse rimosso dalla propria abitazione ed avviato alla sepoltura. Se non si pagava, il morto rimaneva dove stava. Tanto è vero che a Pérocida vigeva il detto; “Tène ‘u muort mmieze ‘a casa”! Vale a dire sta in condizioni economiche talmente precarie che non riesce nemmeno a pagare la tassa per far portare via il morto. E questo capitava nei secoli passati. Quando i monaci di Santa Margherita nuova si bisticciarono con il cardinale D’Avalos per la questione del terreno dato loro in meno da questi, la prima cosa che pensarono di fare fu di non pagare più lo “ius mortuorum” all’abbazia di San Michele adducendo così un notevole danno economico al clero di quel “capitolo”.

Le cose sarebbero andate avanti così chissà per quanto tempo ancora se non fosse comparso sulla scena del mondo Napoleone Bonaparte. Questi affermò essere un’indecenza che i morti venissero seppelliti nelle chiese e pensò di istituire i cimiteri. L’idea era assolutamente rivoluzionaria e prevedeva la costruzione di queste strutture fuori della cinta urbana, “en plein aire”. Le modalità del seppellimento vennero codificate nel famoso editto di Saint Cloud de 1805. Queste nuove disposizioni non ebbero un cammino facile. Molti intellettuali si ribellarono intravedendo nella nuova legge un attentato alla sacralità della persona e della morte. Basta ricordare il Foscolo con i suoi “I sepolcri”, in cui inneggia alle “urne dei forti” in Santa Croce a Firenze. La verità è che il piccolo grande Napleone aveva visto giusto. Oggi per noi i cimiteri sono un fatto assolutamente normale, mentre per contro ci fa letteralmente rabbrividire la situazione di prima. Non è per il gusto dell’orrido, ma solo in omaggio alla verità storica che sento il bisogno di accennare alla tecnica dello “scolamento”. Questa veniva applicata anche a Procida. Se andate in San Michele, a Terra murata, nei piani inferiori ci sono delle cavità ricavate nelle pareti dove venivano appesi i cadaveri. Questi erano messi a “scolare”, vale a dire, man mano che passava il tempo, si asciugavano perdendo liquidi che venivano raccolti da uno “Scolatoio”. Da questo prende origine il detto “puozz’ sculà!” quando si vuole augurare tutto il “bene possibile” ad un eventuale nemico. Certo che c’è da inorridire nell’apprendere queste usanze, ma purtroppo si verificavano veramente. Per fortuna comparve sulla scena della storia un uomo lungimirante cole il Bonaparte. Immaginatevi se ancora iggi i morti venissero sepolto nelle chiese!

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