La rabbia e il coraggio dei pescatori della mandra misero in fuga i saraceni
Oggi sulla marina della mandra le scene vive di quel funesto 14 giugno 1588
Oggi alla Mandra di Ischia si conclude la triade storico-culturale (giorni 7. 8 e 9 settembre) del Festival dei Popoli del Mediterraneo giunta alla sedicesima edizione ed organizzata dall’Associazione Largo dei Naviganti che è in attività costante ed appassionata dal luglio del 2005. Il prossimo anno festeggia il ventennale.
Tre giorni in sostanza, si diceva, di intensi festeggiamenti con nel mezzo la festa della Bambenella che si inserisce a pennello nel programma degli organizzatori coinvolgendola quale atto religioso di fede e di tradizione a cui le genti della contrada e della spiaggia dei pescatori si sentono particolarmente legate essendo esse sulla marina, protagoniste e vittime dell’attacco saraceno che questa sera sarà rievocato in tutto il suo drammatico svolgimento in una rappresentazione simulata a scena aperta nello scenario del caseggiato e della spiaggia di Punta Molino. Saranno in migliaia, ischitani e turisti, questa sera a godersi lo “spettacolo” assiepati come saranno sulla piazzetta dell’ex carcere di recente intestata al noto cantautore ischitano di adozione Ugo Calise, fra le barche e lungo la spiaggia teatro dell’ attesa manifestazione.
In quest’ ultimo giorno della sedicesima edizione verrà rappresentato quello che la storia racconta che qui per ragioni di spazio riassumiamo. Delle scorribande, terribili e funeste, che i Saraceni “LI SARRACIN’ “ portavano costantemente ai lidi dell’isola d’Ischia e, purtroppo, anche la contrada della Mandra fu vittima di questo o di questi nefasti eventi, se ne ha interessante contezza. La contrada di Mandra-Punta Molino era rappresentata dal caratteristico villaggio di pescatori che tutt’oggi esiste ancora, fatto di abitazioni, balconi, logge, scale, dove tanto tempo fa, a difesa dello stesso, esisteva una torre di avvistamento distrutta purtroppo nel tempo da forti mareggiate, per segnalare allarme al popolo da eventuali attacchi provenienti dal mare, portati, appunto, dai saraceni, termine che inizialmente designava solo una popolazione della penisola del Sinai e che poi era arrivato ad indicare tutti i popoli arabi.
Va premesso che nella notte del 13 giugno 1558 una flotta saracena di 116 triremi, capitanata dal sanguinario Khayr al-Din ( Ariodeno per gli italiani) soprannominato “barbarossa” prescelto dal sultano quale “ Pascià di mare” ossia grande ammiraglio, entrava nel golfo di Napoli sbarcava sull’estrema punta della penisola e si dirigeva a Sorrento dopo aver saccheggiato e depredato la cittadina di Massa e i casali indifesi dei dintorni. Parte delle navi giunsero nei pressi di Sorrento; sebbene la città fosse protetta da solide mura, gli invasori trovarono la complicità inattesa di un servo ottomano, che aprì loro la porta della Marina Grande. Entrati nella città immersa nella quiete notturna, la occuparono senza trovare resistenza e vi fecero una strage miseranda di uomini e cose, uccidendo barbaramente gli abitanti, specie i vecchi, arrestando e caricando sulle navi, come dice un’antica cronaca “ grande moltitudine di nobili e popolani, uomini e donne, ragazzi e ragazze, monache e chierici, riducendo le chiese a spelonche di ladri, aprendo i sepolcri, spezzando statue ed immagini di santi, rubando le campane “ e distruggendo tutto ciò che non poteva essere asportato. Questa cruda cronaca, sebbene è storia, vi fa capire maggiormente di quali nefandezze erano capaci “ I SARRACIN’ ”. Ma il terribile Khayr al-Din non si limitò a questa scorribanda, anzi ordinò a quattro sue agguerrite navi, capitanate da un suo fido raìs, di procedere, in ricognizione, verso quella isola che aveva intravisto al calare delle tenebre, era, purtroppo la “ nostra “ Ischia. Era il 14 giugno del 1558, il piccolo villaggio ischitano della contrada “Mandra” iniziava a trascorrere una tranquilla serata: i ragazzini giocavano allegramente; alcuni pescatori rimasti a terra parlottavano tra loro raccontando vecchie battute di pesca, altri si apprestavano a calare in mare le reti, il tradizionale “ sciaughiell’ ”, mentre altri rammendavano vecchie reti; le comari, chi sulle logge, chi sui balconi su gustavano la serata, altre, sedute fuori dai propri usci a pianterreno , discutevano del più e del meno ed altre ancora lavavano i panni ai piedi della scogliera. Ma, anche se la serata scorreva allegramente, si avvertiva nell’aria uno strano silenzio, terribile. All’improvviso lo spaventoso, terribile grido“ A l’armi, a l’armi, li campani sònanu, li Turchi so arrivati alla marina! “.
Tutti, o quasi tutti scapparono, mentre, appariva distintamente la funesta sagoma di uno “ sciabecco “ saraceno con l’altra barca d’appoggio, le altre due imbarcazioni, non viste, presero altra via per sbarcare indisturbate su altra spiaggia. In meno che non si dica, sia lo “sciabecco che l’altra imbarcazione erano arrivate fuori alla marina; lo sciabecco ingaggiava dura battaglia con gli occupanti della torre mentre l’altra imbarcazione, battagliando anch’essa, si apprestava a sbarcare sulla spiaggia. Gli uomini posti sulla torre, dopo aver chiuso il ponte levatoio, combattevano con accanimento; ma tutto fu inutile in quanto i Saraceni riuscirono a sbarcare, mentre altri, come detto, scesi su lidi limitrofi, sbucavano come diavoli impazziti dai vicoli ed altri ancora uscire come pesci inferociti dalle acque marine, accompagnati da musica assordante di tamburi ed incitati dal grido “La Ilaha Illa Illah” (Dio è Dio). Quell’improvviso attacco generò morte, saccheggi, incendi, e soprattutto rapimento di giovani per poi venderli come schiavi nei mercati o chiederne riscatto. Lasciata funerea scia di morte ripresero indisturbati il largo con i loro bottini festeggiando al largo dell’incendiato borgo. Quegli uomini del Borgo scampati alla morte approntarono velocemente i propri gozzi, prendere il largo ed inseguire i saraceni per cercare di recuperare perlomeno i ragazzi rapiti, unici veri tesori per quelle famiglie così brutalmente colpite della marina. In meno che non si dica ecco partire dalla spiaggia due gozzi mentre altri due gozzi, tornando dalla pesca e capito il grave danno arrecato, bloccarono i saraceni, e tutti gli occupanti dei quattro gozzi li affrontarono con grande coraggio e cattiveria.
Affrontarono con remi, mazze e pietre i Saraceni, che si difendevano sciabolando con le loro scimitarre., come erano arrivate furtivamente, così erano scomparse e, quindi, non avendo ulteriore supporto difensivo, il raìs saraceno ordinò, per fuggire da sicura morte, di buttare i giovani prigionieri in acqua per rendere in tal modo le operazioni di fuga più spedite e le barche più leggere.
Sconfitti ed umiliati i saraceni, con vigorose palate, scomparvero dalla vista mentre i giovani prigionieri a nuoto raggiunsero la vicina spiaggia e, come toccata la riva, vennero abbracciati da tutto il popolo per lo scampato pericolo.
Foto Giovan Giuseppe Lubrano antoniolubrano1941@gmail.com