La promessa del “medico” Del Deo: «Io all’Ancim per curare i mali delle isole»
La promessa del “medico” Del Deo: «Io all’Ancim per curare i mali delle isole»
La presidenza dell’Ancim è sicuramente un risultato prestigioso, non soltanto per Francesco Del Deo, ma prima ancora per l’isola d’Ischia. Per anni abbiamo parlato dei nostri problemi, che sono comuni a quelli delle altre isole. Si tratta di una sfida di quelle “toste”, ma anche affascinanti.
«Naturalmente non è solo una sfida. Bisogna profondere sicuramente tanto impegno: ho accettato l’incarico con una certa emozione, perché essere presidente dell’Associazione nazionale delle isole minori non è una cosa da poco. In Italia esistono circa ottocento isole, di cui almeno ottanta abitate con 220mila abitanti. Si tratta dunque di una realtà importante, con tanti comuni che vivono gli stessi disagi che viviamo noi a Ischia, o anche peggio, come a Ventotene che non ha un presidio sanitario ma solo un medico di base che vi si reca per due giorni a settimana. E per poco è stato sventato il rischio di soppressione della scuola media. Secondo me dobbiamo puntare su una legislazione apposita per le isole minori: possiamo contare sull’appoggio del nostro eurodeputato, Giosi Ferrandino, per un discorso non soltanto nazionale, ma europeo. Le isole minori vivono disagi che toccano quelli che sono i quattro pilastri di una società civile, ad esempio i trasporti: per percorrere 35 km, pari a 18 miglia, spendiamo sette euro. Gli stessi 35 km sulla terraferma si percorrono con un euro e cinquanta centesimo. Se un isolano arriva sul porto di Napoli con un ritardo di pochi minuti, rischia di tornare a casa due o tre ore dopo, oppure, se si è perso l’ultimo collegamento, è costretto a pernottare a Napoli con ulteriori costi. Oppure la scuola: un cittadino isolano che manda un proprio figlio all’università o ad altra istituzione scolastica, che sull’isola non sono presenti, dovrà sostenere costi dieci volte maggiori rispetto a chi vive già in terraferma, viste le spese di trasporto, alloggio, vitto. Ma anche sul tema sanità esistono numerose complicazioni: noi almeno abbiamo un ospedale, ma altrove avere un presidio sanitario (o anche una scuola) resta un sogno. Ma anche per noi ischitani non sono rose e fiori: mentre a Napoli ci sono tanti ospedali, qui dobbiamo ringraziare di avere un presidio e anzi molto spesso dobbiamo lottare per evitare che ci venga tolto. Stesso discorso per la giustizia: non si può lasciare nell’incertezza una comunità così numerosa».
Quindi noi siamo un’isola certamente disagiata, ma paradossalmente rispetto ad altre isole siamo messi molto meglio.
«Sicuramente sì. L’isola d’Elba, che ha la metà dei nostri abitanti, gode di un numero molto minore di collegamenti marittimi rispetto a noi. Ma ciò non significa che dobbiamo accontentarci. Una volta la Caremar era un’azienda di Stato. Dunque, su trasporti, sanità, scuola e giustizia lo Stato non può pensare di doverci guadagnare, perché sono servizi essenziali che vanno garantiti e sui quali ci può essere un riversamento di economia diversa: se l’isola d’Ischia diventa più funzionale, e garantisce servizi efficienti (dieci anni fa l’isola rappresentava il 42% del Pil turistico regionale, oggi siamo al 32%) fornisce benefici a tutta la collettività. Altro tasto dolente è il costo dei carburanti, davvero esagerato rispetto alla terraferma. Lo stesso Stato, quando appaltiamo un’opera pubblica, aggiunge un +25% “per le isole”. Allora, se lo Stato riconosce che noi isolani sopportiamo costi più alti, eppure da cittadini dobbiamo pagare lo stesso volume di tasse di coloro che vivono nella terraferma. Nel direttivo Ancim abbiamo cominciato a elaborare proposte su questi temi. Mi faccio una domanda: in Italia esistono le regioni a statuto speciale, regioni che si sono arricchite con le tasse pagate da noi. Non sarebbe più logico creare uno statuto di autonomia speciale per le isole minori?»
Chi non è isolano, secondo Lei, percepisce queste difficoltà?
«Non le percepisce. Le leggi vengono elaborate per l’intero Paese, senza tener conto dei disagi che possono provocare a determinate zone, come le isole. Dunque conta moltissimo avere delle rappresentanze a livello regionale e parlamentare, che possano far sentire la nostra voce. Le isole minori assommano, come ho detto, quasi un quarto di milione di abitanti. La gente deve capire venire in vacanza sull’isola per qualche settimana è ben diverso dal viverci sempre, coi disagi e gli ostacoli che impediscono anche di esercitare diverse attività, possibili invece sulla terraferma. Lo Stato, il legislatore, devono dunque comprendere che le isole hanno esigenze e peculiarità del tutto differenti dal resto del territorio nazionale».
È ottimista sul fatto che ci sia un minimo di sensibilità da parte del governo centrale? L’impressione è che ci governa non abbia piena contezza di cosa significhi vivere su un’isola. Oppure pensa che ci vorrà molto tempo?
«Dopo la morte di Enzo Mazzella, l’isola d’Ischia soffre di un deficit di rappresentanza presso le istituzioni sovraordinate. È necessario un collegamento tra le isole, la Città Metropolitana, la Regione e il Parlamento. È venuta meno questa filiera, che decenni fa aveva creato e curato trasporti, sanità, istruzione e giustizia».
L’argomento di più stretta attualità politica sull’isola è la sfiducia a Giacomo Pascale che ovviamente ha fatto molto discutere. Una opinione diffusa è quella secondo cui questo esito avrebbe dovuto essere evitato. Lei, che è sindaco di Forio, che idea si è fatto?
«Da quello che ho potuto leggere sulla stampa e dalla stessa nota del Prefetto, la sfiducia a Pascale a sette mesi dalle elezioni mi appare come una scelta scellerata: meglio il peggiore dei sindaci che il miglior commissario prefettizio. Questo è vero in particolar modo per un Comune di Lacco Ameno, che sta lottando per uscire dal dissesto. Fra l’altro non mi sembra una scelta di carattere politico, ma di carattere meramente personale. Una scelta politica matura dapprima in consiglio comunale e poi mettendo nero su bianco un qualsiasi documento. Invece qui non c’è alcuna motivazione politica né amministrativa. Ma anche se queste ultime vi fossero state, avrei capito la mossa se le elezioni fossero state imminenti, da qui a un paio di mesi. Invece far nominare un commissario con così largo anticipo significa che probabilmente c’era l’intento di evitare che Pascale arrivasse da sindaco alle elezioni, cercando di demolirne la credibilità sperando che in sette-otto mesi la gente dimentichi quanto di buono fatto fin qui dall’amministrazione. Ecco perché dico che è una scelta scellerata. Io devo riconoscere che Giacomo Pascale ha lavorato bene, sia per il paese, sia con gli altri sindaci, sia nei confronti del problema terremoto, dando a Lacco Ameno una visibilità che aveva perduto. Giacomo è stato realmente “il sindaco”, che ha saputo stabilire quel rapporto umano con la gente, ricreando quel contatto tra amministrazione e cittadini che a Lacco era quasi scomparso. Vorrei conoscere le reali motivazioni di questa sfiducia, e credo che come me vogliano conoscerle anche i cittadini di Lacco Ameno».
Forio: il consiglio ha approvato il bilancio consolidato, si è discusso anche della Marina del Raggio Verde. Come sosteneva Castagliuolo in consiglio, oggi il porto di Forio è realmente un fiore all’occhiello rispetto a quello che avete trovato sei anni fa?
«La situazione del porto di Forio è sotto gli occhi di tutti. Esso è stato un autentico volano per la nostra economia: basta vedere il giro di affari di ristoranti e bar della zona. Credo proprio che gran parte dell’economia, anche invernale, si sia spostata verso la zona del porto. Abbiamo dato il massimo supporto agli operatori affinché potessero lavorare attraendo clientela sia isolana che turistica, e l’obiettivo è riuscito. Il porto di Forio è quello più affollato: da maggio a fine estate, i pontili sono pieni di imbarcazioni, e quasi tutti gli occupanti cenavano nei ristoranti. A Forio c’è grandissima professionalità nel settore ristorativo, a parte qualche presuntuoso che a stento sa portare un piatto in tavola, e che si permette di arrogarsi il merito del fatto che i turisti arrivino, perché attratti solo dalla loro professionalità. Ma io mi faccio una domanda: perché sei-sette anni fa, con una crisi economica inferiore a quella attuale, nella zona non c’era il movimento che si è creato oggi? Adesso, con una crisi più forte, c’è stato un incremento di presenza e incremento di fatturato. Ecco, dovrebbero spiegarmi i motivi di questa tendenza: la verità è che questi bastian contrari non vogliono riconoscere i meriti dell’amministrazione, mentre il 99% dei cittadini riconosce che l’amministrazione ha cambiato in meglio l’economia del paese. Abbiamo stabilizzato dodici persone, e credo che la Marina del Raggio Verde sia una delle poche partecipate in Italia a non avere debiti. A inizio mandato c’era un carico eccessivo di personale sulla società, frutto di un’operazione politica. Se non avessimo stroncato tale operazione, avremmo portato la Marina del Raggio Verde a un ulteriore fallimento, come accadde con la Pegaso e la Torre Saracena. Abbiamo evitato un poco invidiabile tris, e al contempo abbiamo progressivamente stabilizzato il personale. Credo che creare posti di lavoro significhi anche creare economia, tranquillizzare tanti giovani dandogli la possibilità di poter lavorare e guardare con fiducia al futuro. Speriamo di poterlo fare ancora. Il discorso non deve limitarsi all’entità del canone, perché se tale canone lo investi sul territorio, creando occupazione, creando economia, creando consumi, quindi hai riversato la ricchezza sul paese. Abbiamo ricevuto lettere di stima da parte dei clienti del porto che ne elogiano la gestione. C’è stato anche qualche utente che si è spostato in altri scali isolani, per poi tornare qui. Stesso discorso per le strisce blu: prima si incassavano 75mila euro, mentre ora che vengono gestite in proprio dal Comune incassiamo oltre 500mila euro. Un grande esempio di finanza creativa».
Chiudiamo con la stessa domanda che fu posta a Peppe Brandi: che cosa significa essere democristiano per sempre?
«Essere democristiano per sempre significa avere dei valori. Io dico sempre di essere uno degli ultimi democristiani. È come essere un “marine” dell’esercito americano, lo si resta per sempre. Chi è democristiano lo sarà fino alla morte. Lo dico davvero con orgoglio: sono stato sempre un democristiano, doroteo, gavianeo, non rinnego il mio passato e anzi rinnego il periodo in cui esisteva la Democrazia Cristiana ma anche gli altri partiti, perché si faceva davvero politica, si discuteva in modo diverso. Oggi forse un episodio come quello di Lacco Ameno non si sarebbe verificato se fossero ancora esistiti i partiti. Aver fatto l’amministratore da democristiano è stata un’esperienza impagabile, difficilmente ripetibile in altri contesti».