La polizia gli nega il porto d’armi per uso sportivo, vince il ricorso
I giudici del Tribunale amministrativo della Campania hanno annullato il provvedimento di diniego di porto di fucile per uso sportivo e condannato la Questura di Napoli al pagamento di mille euro
I giudici della quinta sezione del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania hanno accolto il ricorso da un isolano contro la Questura di Napoli per l’annullamento del decreto prot. 2020.Div.Amm. Cat. 60 del 17/09/2020, con il quale la Questura di Napoli – Commissariato Pubblica Sicurezza di Ischia – ha rigettato la richiesta di licenza per il porto fucile per uso sportivo.
Il cittadino ischitano ha proposto il ricorso per l’annullamento del rigetto di richiesta di licenza per il porto di fucile per uso sportivo, opposto sul rilievo della verificata sussistenza di risalenti pregiudizi penali (sono puntualmente elencati una sentenza di condanna a pena pecuniaria dell’ammenda per lavori edili abusivi nel 1978, una sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato per costruzione edile abusiva nel 1979, un decreto di condanna alla pena pecuniaria dell’ammenda per inosservanza delle norme sulla navigazione nel 1983, una sentenza di assoluzione per i reati di truffa e falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atto pubblico nel 1984, una sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione per il reato di abuso d’ufficio in concorso nel 1990, una sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto per il reato di associazione di tipo mafioso nel 1992 e di prescrizione per il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio e un deferimento all’A.G. per il reato di violenza e minaccia a seguito di querela nel 2008, fatti questi ultimi, per i quali è intervenuta nel 2016 sentenza dichiarativa di prescrizione), di cui in particolare, l’ultimo, relativo a fatti di ingiuria e minaccia, successivi al pregresso ultimo rinnovo del titolo, risalente al 2003 (con validità fino al 2009), era ritenuto ostativo al rilascio del titolo (si legge testualmente nel provvedimento impugnato: “Visto che nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall’autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest’ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante l’indeterminatezza del male minacciato purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingentata.
I giudici amministrativi motivano la decisione di accogliere l’istanza del cittadino ischitano «Considerato che la prescrizione è un istituto giuridico che collega al trascorrere del tempo il verificarsi di determinati effetti giuridici, nel senso che quando matura, se entro un certo momento dalla sua commissione – fissato dalla legge – un fatto non viene punito come reato, si perde la possibilità di farlo e il presunto responsabile resta impunito». E non solo. Viene anche «considerato che le valutazioni dell’amministrazione non hanno il fine di reprimere comportamenti del passato, ma di prevenire situazioni di pericolo nel futuro». In particolare il fatto reputato indicativo del possibile abuso delle armi è stato individuato, nella sostanza, in un unico episodio di ingiuria e minacce, che, risalente al 2008, ha determinato l’apertura di un procedimento penale che l’Amministrazione deduce poi chiuso nel 2016 con sentenza di prescrizione (laddove il ricorrente deduce in ricorso addirittura che nessuna pronuncia sarebbe, per detto fatto, intervenuta, avendo, invece, esso ricorrente, proposto ricorso immediato al giudice di pace nei confronti della querelante); il richiamo ai diversi più risalenti pregiudizi, in massima parte, come sopra detto, confluiti in sentenze di assoluzione e di non doversi procedere, non è invero neppure operato nel seguito della motivazione del provvedimento, incentrata, in sostanza, unicamente sull’ultimo episodio del quale l’amministrazione non aveva avuto pregressa conoscenza. I giudici del Tar Campania hanno ritenuto di accogliere il ricorso conseguendone l’annullamento dell’atto impugnato e l’obbligo per l’Amministrazione di riprovvedere, con esito libero, con un nuovo atto. Infine è stata condannata l’Amministrazione resistente ovvero la Questura di Napoli al pagamento delle spese di giudizio in favore del ricorrente, che si liquidano in complessivi euro 1.000,00 (mille/00), oltre accessori di legge e rifusione del contributo unificato.
Ottimo direi visto che a volte vengono fatte valutazioni solo con vecchie storie che riguardano il passato di ogni persona giuridica grande stima per la difesa dell avv.to nominato