Tra i tanti lavoratori in grosse difficoltà abbiamo senza ombra di dubbio quelli del settore culturale. Si parla troppo poco di coloro che si muovono nell’ambito dei teatri, dei musei, degli spettacoli o di qualsiasi altro evento che ha a che fare con il mondo della cultura e della conoscenza in generale. Eppure è una categoria che, come le altre, ha delle precise esigenze per sopravvivere e per poter andare avanti in questi tempi di crisi mondiale. Per capire meglio la situazione abbiamo voluto dare voce a Milena Cassano, attrice e regista isolana che durante il lockdown non si è scoraggiata ed è andata avanti con corsi di dizione, lettura espressiva e public speaking online. Ci ha parlato delle sue difficoltà, di come ha vissuto il periodo della quarantena e ci ha delineato la situazione che ci si deve aspettare nei prossimi mesi per il mondo del teatro.
Parlaci dei corsi di dizione. Cosa si fa e a chi è rivolto?
«In verità i corsi che ho portato avanti durante il lockdown e che stanno per ripartire online, su piattaforma multimediale, sono due: uno è quello di recitazione, nel quale si analizzano le similitudini e le differenze di linguaggio tra il teatro e il cinema e le rispettive tecniche recitative; l’altro è quello di “Dizione, lettura espressiva e public speaking” che ha riscosso molto successo e che ha visto la partecipazione di persone provenienti da diverse parti d’ Italia, dal sud al Nord. E’ un corso rivolto a tutti, senza distinzione di età o professione, proprio perché non è solo per aspiranti attori ma per chiunque abbia voglia di imparare a gestire l’uso della voce, per chi vuole o deve parlare in pubblico ed eliminare la cadenza dialettale, acquisire una bella voce limpida, scevra da difetti di pronuncia. Si lavora molto sulla lettura espressiva imparando a modulare i toni e a dare colore alle parole, a trasformarle, con la voce, in immagini. Questo è fondamentale per chi, per lavoro, deve parlare in pubblico come insegnanti, docenti, avvocati, giornalisti ma lo è anche per chi vuole semplicemente migliorarsi o divertirsi».
Che tipo di stagione è stata per te e per tutti quelli che conosci del tuo settore? In questo senso, quali sono state le principali differenze rispetto agli anni scorsi?
«E’ stata ed è una stagione nera. Purtroppo sono saltati a tutti, inevitabilmente anche a me, molti lavori. Sia durante, che post lockdown, sono state annullate molte date. Tante piccole realtà sono state messe completamente in ginocchio. Il settore, che già era in crisi, ha subito un colpo mortale. Soltanto gli stabili e i grandi teatri ora hanno potuto riprendere produzioni di spettacoli rimaste per qualche mese congelate, per fortuna però c’è stato il Napoli teatro Festival, che si è svolto rigorosamente all’ aperto, con il distanziamento. Ci sono state comunque delle restrizioni, tipo non più di quattro persone in scena, distanza tra gli attori… Insomma, in questo difficile scenario pare evidente che le piccole produzioni, gli attori di strada, i piccoli spazi non hanno potuto lavorare. Solitamente a giugno si chiude la stagione teatrale, quindi a parte piccoli episodi di spettacoli all’ aperto, il resto è tutto saltato».
Credi che le istituzioni si siano mosse bene e che abbiano fatto gli interessi dei lavoratori del mondo culturale?
«In un primo momento, durante il lockdown e appena subito dopo, la situazione risultava altamente critica. Lo stato sembrava aver completamente dimenticato la categoria dei lavoratori dello spettacolo. Si è avvertita l’esigenza, dal basso, di fare gruppo, di riunirsi e discutere su come affrontare la situazione. Sono nate così varie associazioni o luoghi virtuali, tra queste “zona Rossa”, che organizzava periodicamente degli incontri tra i professionisti con l’intento di scrivere un manifesto collettivo che rispecchiasse le esigenze di tutti (musicisti, attori, attrici, tecnici, compagnie, spazi off). Così da questi incontri sono nate delle richieste alle autorità per vederci accordati dei diritti. Ma gli aiuti da parte dello stato non sono stati sufficienti. Hanno scontentato diverse categorie e non hanno tenuto conto dei piccoli spazi teatrali o, ad esempio, degli attori che lavorano con piccole produzioni e che a causa di prove non pagate, lavori in nero e della discontinuità di questo lavoro non avevano versato abbastanza contributi per poter accedere agli aiuti statali. Sono intervenute altre associazioni come la SIAE o il nuovo Imaie a supporto di alcune categorie. La situazione è tuttora critica per i piccoli teatri e per chi fa formazione. Le misure restrittive sono davvero imbarazzanti, alcuni teatri sono costretti a fare spettacoli con quindici spettatori e questo ovviamente comporta non riuscire nemmeno a sostenere le spese di quello spettacolo. Ad oggi, le richieste allo stato da parte dei piccoli teatri e di chi fa formazione, quindi di chi crea comunità, restano del tutto inascoltate».
Allo stato attuale delle cose quali sono le tu aspettative future?
«Credo che la situazione resterà critica ancora a lungo. Sebbene attualmente, i teatri, siano tra i posti più sicuri che ci siano, perché si rispettano tutte le norme anticovid molto più che sugli autobus, per esempio, la gente è comunque poco propensa a frequentarli. E stando agli incassi risultano davvero difficili nuovi allestimenti. Così come risulta difficile per la formazione. Per questo ho pensato ad un corso online, perché mi sembra la maniera migliore per tutelarsi, rispettare distanziamenti e mettere in comunicazione persone e città diverse con tutti gli scambi culturali e i vantaggi che ne derivano».
Tornando indietro con la memoria puoi parlarci di un tuo personale ricordo di questi mesi complicati?
«Ricordo di aver trascorso la quarantena in completo isolamento. Abitavo da sola e non vedevo neanche i parenti. Ho usato quel tempo per studiare, meditare e realizzare delle idee creative che avevo accantonato da tempo. Ricordo le videotelefonate di gruppo, ogni sera, con la mia famiglia e con gli amici. Vedevo mia nipote di pochi mesi, attraverso lo schermo, fare le sue prime scoperte, pronunciare le prime parole e crescere in modo esponenziale e non poterla abbracciare. E ricordo le lacrime mie e di mia sorella la prima volta che ci siamo riviste, con ancora addosso le mascherine. Ho pensato che stavamo lasciando in eredità a mia nipote e a tutti i bambini un modo assai triste».