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“l licenziamenti Caremar? Sono illegittimi!”

Avv. Cesarina Barghini

 

Resto veramente sconcertata dinanzi alle dichiarazioni apparse oggi sui quotidiani locali, secondo le quali i numerosi sbarchi per avvicendamento disposti negli ultimi giorni rappresenterebbero una normale procedura prevista dal codice della navigazione e dal C.C.N.L. Certo, l’affermazione sarebbe giusta se si trattasse di lavoratori precari, non stabilizzati, quali i Turni Generali e i Turni Particolari, non già quando ad essere “avvicendati” sono, invece,  i marittimi che intrattengono con Caremar s.p.a.  un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato o in regime di C.R.L. ( Continuità di Rapporto di Lavoro ) alcuni anche da decenni. L’istituto dell’ “avvicendamento”, infatti, nasceva storicamente in epoca corporativa, quale strumento per consentire ai lavoratori marittimi, ancora non stabilizzati, di svolgere saltuariamente – a rotazione – un’attività lavorativa che in un contesto di “solidarietà” consentisse, almeno per un periodo dell’anno, a molti di loro di far fronte alle più elementari necessità: un fine certamente nobile, ma estraneo alla nostra fattispecie. Non occorre essere giuristi per rendersi conto che applicare tale istituto ai lavoratori già stabilizzati rappresenti una contraddizione in termini, poiché significherebbe confondere il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con il singolo contratto di arruolamento e, conseguentemente, limitare a 4 mesi l’imbarco del marittimo, lasciandolo privo di retribuzione per almeno altri 2 mesi (senza che ricorra alcuna delle previsioni di legge che lo consenta)  per reimbarcarlo nei successivi 4 mesi, terminati i quali, sarà di nuovo per la strada, e non si sa per quanto, poiché l’accordo sindacale citato nelle dichiarazioni si ferma ad 8 mesi per i CRL, con la variante degli 8 mesi e 20 giorni per i T.I. Questi ultimi, in particolare,  verrebbero trasformati in Turni Particolari, catapultandoli indietro, fino ad un’epoca antecedente l’introduzione delle cause di lavoro nelle quali sono risultati vittoriosi, come se non le avessero mai intentate, bruciando in un attimo tutti i diritti dagli stessi conquistati. Ritengo, sia opportuno, ribadire, altresì, che trattandosi di una trasformazione in pejus del rapporto di lavoro, non potrà mai essere efficace, se non accettata da ciascun dipendente nelle forme di cui all’art.411 c.p.c., talchè gli sbarchi per avvicendamento e la trasformazione da un rapporto stabile ad un rapporto precario, espressamente contestata dal marittimo anche in fase di sbarco negli uffici della Capitaneria di Porto, non potrà sortire, a nostro avviso, alcun effetto giuridico.

Giova segnalare, peraltro, che, nell’accordo del 3.12.2015 (pubblicato su vari siti e quindi facilmente consultabile) è espressamente specificato che la regolarità dei  periodi lavorativi così determinati ( e quindi le retribuzioni corrispondenti ) saranno assicurati solo in costanza di navigabilità della nave, e con l’espressa indicazione di tutta una serie di ipotesi oggettive e soggettive in cui tali periodi di lavoro non saranno garantiti, tra i quali – paradossalmente – la malattia o l’infortunio del marittimo o qualsivoglia altro motivo di assenza dello stesso, introducendo, così – di fatto – una sorta di “divieto di ammalarsi” per il timore di perdere il lavoro.

Purtroppo, già è accaduto che al rientro al lavoro dalla malattia, il marittimo, pur godendo di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, si sia sentito rispondere che la malattia lo ha interrotto.

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In tale contesto è naturale ed ovvio che i miei assistiti si siano determinati ad impugnare dinanzi all’Autorità Giudiziaria tutti gli sbarchi per avvicendamento o qualsiasi altra causa di sbarco che risulti illegittima, nonché il rifiuto di riavvio al lavoro dopo la malattia o l’infortunio, se non riusciranno a risolvere stragiudizialmente questa imponente vertenza che non si limita solo al mantenimento dei livelli occupazionali – che, come correttamente ha segnalato il Prof. Lamonica,  il contratto di servizio in occasione della cessione da parte della Regione al privato avrebbe dovuto blindare entro rigidi paletti –  ma si estende, altresì, a tutta una serie di problematiche afferenti l’organizzazione pratica del lavoro, quali gli orari di svolgimento delle prestazioni, le turnistiche, la formazione degli equipaggi, le garanzie delle condizioni minime di riposo del personale anche attraverso il godimento di un idoneo alloggio a bordo, il vitto e le pause pasti, questioni tutte riapparse alla ribalta con forza negli ultimi mesi, tali da scatenare le proteste e gli scioperi dei giorni scorsi.

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Mi auguro vivamente che l’audizione richiesta dinanzi alla 3^ Commissione Permanente Regionale, fissata per il 29.12 p.v., possa contribuire a chiarire tutti i complessi profili di un tema tanto speciale rispetto al lavoro comune, purtroppo ancora scarsamente approfondito in tutte le sue sfaccettature, quale è la disciplina del lavoro in materia di navigazione, con il risultato  – per quanto ci concerne – che molti marittimi i quali ormai da anni, alcuni addirittura decenni, avevano consolidato il loro rapporto di lavoro, obiettivo primario di ciascun essere umano, dal quale scaturiscono tutta una serie di aspettative di vita, per se stessi e per le proprie famiglie, con l’assunzione anche di importanti impegni economici personali, contando sul conseguimento di uno status che doveva assicurare loro la serenità, questo Natale lo trascorreranno da “disoccupati”,  alias sul lastrico, senza nemmeno averne compreso le ragioni, perchè dare una spiegazione a ciò che è inspiegabile, non è semplice nemmeno per un giurista. E questo, a prescindere dal diritto, penso che sia una profonda offesa alla dignità  dell’uomo,  che impone a tutti  gli enti e le istituzioni coinvolte in questa vicenda, in primis la Regione Campania, di intervenire senza ritardo.

 

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