Ischitana vittima di stalking, condannato il persecutore
Un anno e otto mesi per il 37enne di Giugliano accusato di atti persecutori nei confronti di una donna foriana, difesa dall’avvocato Michele Calise
È stato condannato a un anno e otto mesi di reclusione Vincenzo Marano, cittadino 37enne residente a Giugliano accusato di atti persecutori nei confronti di una giovane donna foriana. Lo ha stabilito con sentenza il gup Vinciguerra, dopo che il Pubblico Ministero aveva chiesto una pena di due anni e quattro mesi. L’uomo era accusato del delitto previsto dall’articolo 612 bis commi 1 e 2 del codice penale, «perché con condotte reiterate di minaccia e molestia» provocava alla vittima «un perdurante e grave stato di ansia e paura, ingenerando in lei un fondato timore per la propria incolumità».
In particolare, dopo che la donna aveva deciso di interrompere la conoscenza intrapresa sul social network con l’indagato «inviava alla persona offesa numerosi messaggi sulla propria utenza cellulare, tramite l’applicazione “whatsapp”, minacciandola con frasi violente di contenuto pesantemente osceno, fino a creare numerosi altri profili facebook, a nome suo e della vittima, fingendosi in tal modo il fidanzato della donna e contattando amici e parenti di quest’ultima allo scopo di carpire sue informazioni personali. Non solo: l’uomo contattava il luogo di lavoro della vittima, fingendosi un tecnico della Telecom, cercando di avere altre informazioni su di lei. L’indagato inoltre chiamava con numero sconosciuto l’utenza cellulare della donna, dicendole di essere intenzionato a raggiungerla ad Ischia per fidanzarsi con lei, nonostante i reiterati rifiuti.
Il Gup ha riconosciuto l’aggravante della recidiva reiterata e specifica, visti i precedenti dell’accusato
Lo scorso luglio l’uomo era stato sottoposto alla misura del divieto di avvicinamento alla persona offesa, ma a causa delle continue violazioni a tale divieto, il 36enne era stato posto agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
La vittima ha ottenuto anche un risarcimento dei danni morali in via equitativa, visto l’arco temporale di diversi mesi in cui la donna era stata bersagliata dal Marano, il cui atteggiamento è stato definito dal giudice “una vera e propria ossessione”
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La vicenda ebbe origine quando i due stabilirono un contatto tramite il social network Facebook, ma dopo una breve serie di conversazioni in chat durata alcuni giorni, la donna aveva deciso di interrompere ogni genere di comunicazione col soggetto, avendo percepito alcune zone d’ombra nella sua personalità.
Questa scelta aveva tuttavia innescato l’imprevedibile e ingiustificata ira del 36enne che, da quale momento, ha iniziato a perseguitarla a telefono, tramite le applicazioni di messaggistica Whatsapp e Messenger, arrivando addirittura a minacciare di morte lei e il suo presunto fidanzato. Una situazione assurda, insostenibile, una persecuzione durata alcuni mesi, fino a quando la povera vittima decise di rivolgersi all’avvocato Michele Calise. Il noto penalista, dopo un’altra dettagliata denuncia, aveva richiesto e ottenuto l’applicazione del citato divieto di avvicinamento, misura concessa dal pubblico ministero, dottoressa Francesca Falconi, della Procura della Repubblica di Napoli. La stessa dottoressa Falconi successivamente chiese e ottenne dal Gip Nicoletta Campanaro la sottoposizione dell’indagato agli arresti domiciliari.
L’uomo rivolgeva alla donna numerosi messaggi sulla propria utenza cellulare, tramite l’applicazione “whatsapp”, minacciandola con frasi violente di contenuto pesantemente osceno, fino a creare numerosi altri profili facebook, a nome suo e della vittima, fingendosi in tal modo il fidanzato della donna e contattando amici e parenti allo scopo di carpire sue informazioni personali
Nella sentenza il giudice definisce l’atteggiamento del condannato come “una vera e propria ossessione” verso la donna: la vittima veniva infatti letteralmente tempestata di messaggi, telefonate, e di tentativi di entrare nella sua vita privata. Un quadro della personalità definito allarmante, come si evince dalla lettura dei messaggi inviati e dalla trascrizione delle telefonate: uno scenario del tutto coerente con quanto riferito dalla persona offesa, difesa dall’avvocato Calise, scenario che secondo il magistrato può ritenersi un formidabile riscontro alla tesi dell’accusa, in quanto i comportamenti del Marano, consistiti in una serie continua e ininterrotta di molestie telefoniche e attraverso i social network, non si sono attenuati neanche di fronte alle richieste di cessazione provenienti dalla vittima, e sono proseguiti anche dopo l’adozione della prima misura cautelare. È indubbio, secondo il giudice, che tali comportamenti “abbiano ingenerato nella persona offesa un fondato timore per la propria incolumità,” oltre a un perdurante stato di ansia, al punto da costringerla a mutare abitudini di vita. Da tutto ciò è emersa la sicura responsabilità per il reato contestato in capo all’accusato, il quale peraltro nell’interrogatorio del 17 luglio aveva ammesso sostanzialmente gli addebiti. Il magistrato ha inoltre riconosciuto l’aggravante prevista dal secondo comma dell’articolo 612 bis del codice penale e, allo stesso modo, sulla base delle precedenti condanne risultanti dal certificato del casellario giudiziario, è stata riconosciuta la sussistenza della contestata recidiva reiterata e specifica. L’ammissione degli addebiti è valsa la concessione delle attenuanti generiche. La pena è stata quindi determinata sulla base di due anni di reclusione, poi ridotta per il rito scelto, col giudizio abbreviato. Il gup Vinciguerra ha anche disposto la confisca e la distruzione del telefono e del materiale sequestrato durante le indagini, oltre a condannare Marano anche al risarcimento dei danni morali patiti dalla parte civile, danni conseguenti alla consumazione del reato in un arco temporale di diversi mesi, liquidati in via equitativi in 1500 euro, circostanza non frequente nel processo penale.