Ischia va… a tutta birra!
La ricetta per fare la birra in 5 mosse vincenti? Vivere a Ischia, prima di tutto e poi una buona dose di pazzia, circondarsi di amici dalla passione comune, un garage dove poter spaziare dal piccolo chimico all’apprendista stregone e soprattutto crederci, crederci tanto. Perché diciamolo sin da subito, ricchi non si diventa con la birra ma bravi e competenti sì; e potrebbe pure capitare di diventare famosi ancor prima di mettere in commercio le proprie creazioni, perché il passaparola corre veloce su quest’Isola, specie se le cose sono buone. E questo ripaga, eccome se ripaga, delle notti passate vicino ai fermentatori, delle giornate a studiare ricette e manuali, dei soldini investiti mese dopo mese. La passione per i ragazzi del clan, quelli del Brew Clan, è così: “una cotta dopo l’altra” ci si innamora di loro e delle loro birre, e non ne esci più. Se li cerchi sono immersi nel loro microbirrificio circondato da limoni ed erbe aromatiche, ad utilizzare il loro tempo libero tra un fermentatore ed un pentolone, ore ed ore di prove e sperimentazioni prima di avere “quella” giusta. Quattro amici di pinta per cui la birra è una cosa seria, non la bevanda da bere con la pizza e non di certo l’industriale comprata al bar. L’homebrewing, ovvero l’arte di fare la birra in casa, parte dall’idea di Natale Sessa, tecnologo alimentare e braccio destro “armato” delle Cantine Pietratorcia e Bajola.
Con il vino nel sangue e l’impagabile soddisfazione di bere la propria birra avvia il progetto e nel giro di poco arriva così lo scienziato del gruppo, Antonio Martinetti, ingegnere biomedico con la musica nelle orecchie e Ciro De Blasio, beerlover ma soprattutto valente falegname; a loro si unisce anche Luigi Buono, imprenditore nel settore cosmetico e il clan prende vita. Competenza e passione in comune ma opinioni diverse perché, come dice Natale “il punto di partenza non è mai limitante in ogni cosa che fai”. Se Ciro è l’estremista del gruppo e si tuffa nei vari stili senza pensieri, Antonio impazzisce per le Saison e le Belgian dark strong Ale mentre Natale cerca di coordinare idee e ricette e mette a posto tutti quanti. Da “quegli strani incontri” della vita nascono sempre idee vincenti. Gli inizi sono uguali a quelli della maggior parte dei birrai nostrani, due birre fatte con i kit di fermentazione, la torta cameo di chi si approccia alla birra, insomma. “Ma parti da un prodotto che non è tuo” spiega Antonio, l’alchimista del gruppo “la cosa era talmente riduttiva che non ci soddisfava, era poco performante e poco personalizzabile ma è da qui che abbiamo capito da dove partire”. Inizia così la seconda parte dell’avventura, che porta rapidamente i quattro a frequentare corsi, lunghe ore di studio tra manuali e internet e l’autofinanziamento per la partenza con un piccolo impianto pilota da 50 litri, relegato ora alle ricette da sperimentare. Iniziano le prime cotte, fermentano le prime birre e, guarda un po’, piacciono molto e passo dopo passo si arriva all’impianto attuale da 200 litri. E neanche questo sicuramente basterà ma ci vuole tempo.
Non è facile metter su un birrificio e fare una buona birra: il procedimento di produzione sarà pur semplice ma sono le piccole cose che fanno la differenza. Oltre che tempo e denaro ci sono decisioni da prendere su temperature e stile, l’equilibrio dei componenti per evitare off flavors e fallimenti epici. Tenendo conto di tutto questo, il Brew Clan ha fatto sì che le proprie birre avessero una forte personalità, create con la massima attenzione nella scelta degli ingredienti e nella formulazione delle ricette, e soprattutto una caratteristica: sono birre di territorio, con Ischia nel cuore, a partire dai loro nomi. Sono birre che sanno di terra, la loro terra. Non pastorizzate, non filtrate, birre “vive” fatte con l’acqua dell’Isola e che si animano nell’utilizzo di frutta della terra del padre di Natale o della ragazza di Antonio, colta al momento stesso in cui si utilizza. Birre a chilometro zero, che si sappia. E i diversi aromi e sapori sono ottenuti con sapiente scelta di malti e luppoli, piuttosto che con l’uso di spezie ed erbe aromatiche. La produzione del Brew Clan per il momento vede quattro birre di base: una Blanche di primo approccio, per palati semplici, molto isolana, fatta con buccia di limone e coriandolo, dal sapore morbido e poco acido. Una Saison, più rustica, la Saison d’Ischia, ad alta fermentazione e prodotta in due versioni, frutto di una sapiente combinazione di ingredienti quali il malto Pilsner e Cara Hell, uniti a luppoli East Kent Golding, Saaz e Fuggles.
La ragazzina più coccolata in casa, pardon, in garage sembra invece essere lei, la cAPA Tosta, un’American Pale Ale (APA) con piccole percentuali di malto Crystal, fiocchi di avena e frumento. Schiuma cremosa e abbondante, questo baluardo del Brew Clan ha una ricca gamma aromatica, grazie a ben quattro luppoli americani, quali Warrior, Citra, Amarillo e Cascade che le donano un profumo leggermente erbaceo ma intenso in agrumi e frutti tropicali di mango e pompelmo rosa. Il finale è piacevolmente amaro e balsamico, lungo, dissetante. Da berne sicuramente ancora e pericolosamente troppo in fretta! Ci sta tutto un ultimo stile, una birra Imperial Stout, birre dal corpo denso, storicamente legate alla corte degli zar a San Pietroburgo. La loro Stout senza Penzier è bruna e impenetrabile, dalla schiuma pannosa e compatta, color tonaca di frate. Una signora di grande alcolicità e di gran corpo. L’aroma è deciso, forte, tendente al caffè torrefatto, carrube, cacao e cioccolato, con sfumature di liquirizia nel finale. Affinata 4 mesi in barrique di castagno maschio americano, ha un gusto pieno e pastoso, dai dolci accenti vanigliati. Dite che basti? Assolutamente no perché è noto che i mastri birrai si distinguono per la loro fantasia e competenza: quella del Brew Clan si scatena infatti nelle birre speciali, come le stagionali Fruit Beer (ciliegie, melograno, mandarino e mandarino cinese) e la loro bella acidità grazie alla presenza di lieviti indigeni. O in una dama come la Belgian Dark Strong Ale, invecchiata 6 mesi in barrique di rovere francese, originariamente usata per invecchiare del rum, e che parte utilizzando fichi secchi, rigorosamente isolani, dell’orto del suocero di Antonio per la precisione.
Talmente particolare da ricordare un Pedro Ximenez senza schiuma, con richiami accattivanti al tabacco e al miele di dattero, fico secco, uva sultanina e con quella particolarità di ciliegie sotto spirito date dall’impiego di lieviti belgi usati in fermentazione. Ma ci sono dei veri e propri cavalli di battaglia che scalpitano nel garage di Barano. Se si pensa all’Isola, ovviamente, viene in mente il vino perché allora non dedicare il proprio “fermento” al dio Bacco? Due eccellenze che si sposano in maniera idilliaca dando vita ad uno stile brassicolo particolare che pian piano ha conquistato i palati di tutto il mondo. Parliamo appunto delle IGA, le famose Italian Grape Ale, create per la prima volta nel 2006 dal birrificio sardo Barley di Nicola Perra, l’antesignano di questo stile che lanciò la sua BB10 facendo scuola in tutto il mondo. Uno stile tutto italiano che vede una percentuale di mosto di vino, sapa (mosto cotto) piuttosto che uve, il tutto rigorosamente di produzione autoctona. Da quel momento diversi mastri birrai ne hanno seguito le orme e il Brew Clan non poteva certo esimersi dall’omaggiare le proprie cotte all’Isola che ha visto nascere loro e la cultura del vino. E tranquilli, il gusto della birra (ovviamente) prevale. Prendi ad esempio la Pass’IGA con la presenza importante del mosto di passito dei Giardini Arimei. Una vera signora dal finale dolce e finemente acidula. Otto gradi e mezzo in un corpo medio, elegante e con intriganti note fruttate. Una birra cambiale, la definisce Antonio, perché “prima la bevi e poi la paghi!” Dedicata ad un grandissimo come Francesco Iacono e il suo Bajola è la blanche Birrajola.
Dal bicchiere si sprigionano tutte le caratteristiche di un Sauvignon Blanc, foglia di pomodoro, peperone verde, note fruttate e citrine, di mandarino e pompelmo. L’utilizzo del luppolo neozelandese Nelson Sauvin ci sta tutto, con il suo carattere forte e deciso. Bella e difficile, sicuramente per intenditori, che si sposa benissimo con il pesce: “È una birra che cambia anno dopo anno in base a come cambia il vino” spiegano Antonio e Natale “gli stessi luppoli, da un anno all’altro, hanno una quantità di alfa – acidi che danno il sapore amaricante maggiore o superiore. Mentre i beta -acidi danno profumi diversi a seconda della zona di coltivazione, quindi una piccola variabilità è assolutamente normale”. Grandiosa, pericolosamente affascinante è la deSAPArecido, con quei 8 kg di sapa che la rendono una birra davvero speciale. Fiano e Biancolella concorrono al 50%, per renderla corposa, leggermente dolce nel finale, dove i sentori di chicco di caffè e caramello si alternano agli esseri fruttati del lievito. Decisamente complessa e volutamente vinosa e che come spiega Natale Sessa “parte come una Dubbel belga alla quale mancano volutamente i malti tostati per far sì che si sentisse la parte del vino cotto”. Birre assolutamente non estreme le IGA del Brewclan, legate al territorio e che ne rispettano la vocazione vinicola. Insomma, altro che pizza e birra, qui gli abbinamenti si fanno su piatti succulenti e da chef, dessert compreso.
D’altronde, chi produce birra artigianale e la fa buona è un po’ come un’artista, non può mai fare un quadro uguale all’altro, altrimenti si è solo fotocopiatori di qualcosa. Li vedi, sono degli artisti, lo capisci da lontano. Li conosci meglio e comprendi ancora più nel profondo cosa anima le persone che hanno dentro la fantasia, e come fanno a darle le belle e giuste forme. Anche in un semplice boccale di birra. Ancora non commercializzano ma sono pronti a farlo, il tempo delle autorizzazioni necessarie e non li fermerà nessuno, con calma e pazienza, è il loro motto, si risolve tutto. Nel frattempo girano l’Isola con i loro corsi e le loro degustazioni in importanti kermesse e manifestazioni. Il Brew Clan è quello delle fermentazioni carbonare, come i veri microbirrifici, perché questo è il bello: far provare le proprie birre ad amici e parenti, in attesa di creare la “birra dell’Isola”. E si capisce, certi sogni sono un motore che spingono a rischiare mettendoci alla prova, con entusiasmo ed eccitazione, continuando ad esplorare per raggiungere straordinari obiettivi. Antonio, Natale, Ciro e Paolo li hanno già raggiunti, pronti per navigare… a tutta birra!
Malinda Sassu