Ischia, sanità nei L.E.P. o nel disagio
DI LUIGI DELLA MONICA
Il Distretto 36 della ASL NA2 Nord comprende le cugine Ischia e Procida, le quali nella corrente settimana sono state interessate dall’esperimento operativo dei camper della prevenzione. Invero, la iniziativa è già stata praticata nel maggio scorso e ne scrissi un breve reportage. Ischia via Michele Mazzella fino a mercoledì 31 ottobre e nel “ponte dei morti” sul territorio di Forio. Si cerca in altri termini di calmierare le carenze oggettive di personale medico che portano inevitabilmente all’emigrazione verso la terraferma per alcuni esami diagnostici che necessitano di macrostrutture sanitarie, oppure alle attese bibliche delle liste di prenotazione delle visite specialistiche ambulatoriali. Da informazioni assunte presso i responsabili dell’azienda si riscontra che l’isola di Arturo sia stata più tiepida nel partecipare allo screening gratuito, manifestando invece Ischia una inversa proporzione con il massivo afflusso di utenza a far data da lunedì 28 ottobre.
A parte i plausi che si devono tribuire agli ideatori della opportunità garantita ai residenti sulle isole, il problema è comunque strutturale. Ho già diverse volte ricordato ai lettori che gli edifici pubblici a destinazione sanitaria, sulle isole scarseggiano, sia perché risalgono agli anni ‘30 e ‘50 del secolo scorso, sia perché dove si trova un tetto con quattro mura si pensa spasmodicamente al turismo, sempre al solo al turismo. Spero nessuno mi fraintenda in quest’ultima frase, giacchè il trascorso mese di ottobre ha regalato una rosea aspettativa di prosecuzione del miracolo ischitano, ultimamente posto in crisi profonda per una mancata politica globale di destagionalizzazione: le presenze ad ottobre sono state di qualità e quantità. È però indispensabile, nell’insieme delle rivoluzioni epocali del tipo “archifuksas ed archistar,” ipotizzare una destinazione urbanistica di particolare rilievo per qualche polo di eccellenza sanitaria, a fronte di una popolazione di 78mila, se aggiungo Procida, 90 mila residenti abituali e circa 250.000 nella fascia luglio-agosto.
Se come sognava il gladiatore Com.te Silvio Carcaterra, l’argonauta che esplorava i mari ignoti del futuro della sanità isolana, si dovrebbe auspicare l’insediamento di un centro oncologico su Ischia, ma dove lo si deve impiantare? Sulle roulotte, sui container, oppure sulle spiagge? Il qualunquismo culturale di alcuni isolani continua ad essere banalizzato, in campo sanitario, a “problema altrui, non è problema mio”. I medici, gli infermieri e gli o.s. dipendenti delle aziende sanitarie, per alloggiare dovranno pagare quasi la metà del proprio stipendio, come contropartita del miraggio del fitto annuale, perché sono privilegiati rispetto agli insegnanti, ai quali il primo giugno viene esposto lo sfratto bianco, vale a dire quello del sorriso ipocrita del “te ne devi andare, anche se sei una persona per bene, non mi importa, non vali 8\10.000 euro per due mesi”. Eppure campeggia dall’alto della Costituzione la conquista sociale e storica dell’art.119 Cost. sul disagio di insularità. Nessuno interpella il suo politico di riferimento, assessore o consigliere comunale, o sindaco che sia, per offrire la propria idea progettuale di riforma. Non nascondo lo scoramento di quelli che invece lo hanno fatto, alludo ad esempio all’Ente Parco Epomeo, ma certamente mi viene da inneggiare alla loro tenacia e pervicacia, auspicando che vi approdino nel concreto. La insularità può indurre, ad esempio, senza scomodare blasoni della architettura mondiale, a modulare un bando pubblico per consentire a giovani architetti ed ingegneri isolani, nel quadro della armonia paesaggistica, dell’ecosostenibilità e delle esigenze abitative e produttive del territorio, di proporre la loro idea di riforma della comunità urbanistica.
Non dico di tornare all’epoca di Ippodamo da Meleto, che ci ha donato i decumani della Neapolis antica, ma un ragazzo formato in uno degli atenei politecnici migliori del Mondo (Federico II di Napoli), vivente e pulsante nella sua, nella nostra isola, credo sia certamente in grado più di un gigante superstar esterno.
La tribolata vicenda del Pio Monte della Misericordia è emblematica per significare che gli antichi, facevano le cose con buon senso ed altrettanto si guardi a Via Paradisello, per non perderci a tanto tempo indietro; i giovanotti ottantenni mi raccontano dei camion che, sul finire degli anni ’50, sbancavano terra e terra, per fare spazio alle fondazioni dell’ospedale A.Rizzoli ed all’acquedotto.
Tutto quello che c’è è vecchio e non si pensa né di migliorarlo secondo standard europei, né delocalizzare in aree vicine alle infrastrutture portuali, accessibili facilmente veicoli destinati al trasporto disabili ed anche con mezzi di trasporto pubblico terrestre locale. Gli ultimi giorni ci hanno donato il dolce sole, ma non è mancato il promemoria di un macro evento alluvionale, figlio illegittimo della frana del novembre 2022.
Vedete cari isolani, l’Alto Adige ha goduto dello statuto speciale sin dal dopoguerra, a livello provinciale e regionale, ma oltre ad aver generato il nr. 1 dei tennisti mondiali, non si ferma mai. Ti accorgi improvvisamente che ti produce, oltre le mele del consorzio della Val di Non, scenari da omerica e mitologica iconografia nell’isola dei campanilismi esasperati, vini di eccellenza, oggetti manufatturieri della filiera ceramica presente nella Magna Grecia da 3.000 anni, cultura della sicurezza della alta montagna. Si cari amici, nello scorso inverno scrissi che il Trentino era terra della gentilezza e della ospitalità, ma adesso posso ardire di definirla patria della sicurezza del turista. Vedete chiedere il corrispettivo di uno skypass, che potrebbe paragonarsi al nostro chiedere la discesa in spiaggia, non è una gabella esosa e punitiva del forestiero che gode delle bellezze locali, ma è un indice di sicurezza e di prevenzione antiinfortunistica. Studio continuo del perimetro delle piste in base al bollettino meteo, calibratura della compattezza del manto nevoso, personale prontamente reperibile a prevenire i piccoli incidenti e le innocue cadute a bordo pista, segnaletica continua e di facile intellegibilità, lavorazioni notturne delle aree sciistiche destinate alla fruizione dei turisti.
In questo contesto di vita turistica spalmata su dodici mesi all’anno – pensate che gli istruttori di sci in estate diventano guide trekking, montainbike oppure docenti di parapendio – si inscrive una sanità meticolosa ed eccellente, che è termine di paragone per il LEP. Noi ischitani dobbiamo fare la nostra parte ed affiancare le istituzioni, le associazioni gli organismi locali nei rispettivi ruoli di crescita del territorio, ma dobbiamo indignarci con noi stessi perché la sanità veloce, efficiente e gratuita ci debba essere erogata su unità precarie e non stanziali.Il giusto mezzo deve guidare tutte le nostre scelte, ma tacere, ovvero criticare senza cognizione di causa il mondo politico locale a tutto tondo, non serve a nulla. Indignamoci con noi stessi che siamo rimasti fermi a 70 anni fa con l’edilizia pubblica sanitaria e tutto aspettiamo che ci cada dal cielo, meno che meno i droni iraniani, che il coraggio ebraico ci scongiura e preserva dalle nostre case, anche se da un lato ce ne gloriamo e dall’altro li critichiamo come criminali, quelli stessi che ci hanno permesso di vivere serenamente negli ultimi mesi, senza il pericolo delle bombe in casa ed a questi si aggiungono gli ukraini, che insieme hanno determinato l’intercettazione del flusso straniero 2024.