Ischia, laboratorio speciale e finestra sul futuro dei nostri mari
Gianluca Castagna | Ischia – Un sito unico al mondo. Ecosistema marino con pochi vincitori e molti perdenti. Oggi interessato da un progetto finanziato dall’edizione americana del National Geographic, la rivista naturalistica più prestigiosa e autorevole per scoprire il mondo, difendere l’ambiente, studiare l’evoluzione della Terra. Windows to the future, finestre sul futuro. E’ questo il titolo del progetto di ricerca e studio che interesserà l’area sottomarina attorno al Castello Aragonese e altre quattro zone che vedranno impegnati i ricercatori del Laboratorio di Ecologia “Benthos” della stazione geologica “Anton Dohrn” di Ischia.
Cinque aree per monitorare la progressiva acidificazione del mare. Per capire, da qui alla fine del secolo, quale sarà l’impatto di questo fenomeno sull’eco-sistema marino, quali scenari dobbiamo attenderci e fronteggiare.
E’ stato questo il momento centrale di un convegno tenutosi martedì pomeriggio alla sala Poa di Ischia, dal titolo “Il Castello sopra e sotto il mare”. Un’occasione preziosa per saperne di più sulle vicende geologiche, storiche e scientifiche che riguardano il Castello Aragonese e lo specchio d’acqua in cui si trova.
Proprio nei giorni in cui cade il 175esimo anniversario della nascita di Anton Dohrn, fondatore e primo direttore dell’omonima Stazione zoologica.
«Viviamo gli effetti dei cambiamenti climatici già nella nostra vita quotidiana – ha spiegato la dott.ssa Maria Cristina Gambi,ricercatrice del Laboratorio Benthos e ideatrice del progetto finanziato dal National Geographic – Un esempio molto semplice lo faccio con le scolaresche: sono molti anni che vivo sull’isola d’Ischia, quasi trenta. I primi tempi mi capitava di rimanere bloccata sull’isola per avverse condizioni meoteo marine una o due volte l’anno. Oggi la frequenza è aumentata quasi di sette volte. Insomma, è una cosa che tutti noi possiamo percepire».
Cosa sta accadendo, dunque, sulla nostra Terra? Che tipo di influenza esercitano le variazioni climatiche sulla vita nei mari? Secondo i ricercatori internazionali l’aumento della CO2 nelle acque oceaniche, e di conseguenza l’aumento dell’acidità del mare, è strettamente collegata all’incremento di anidride carbonica prodotta dall’uomo: una variazione di gran lunga superiore a ogni variazione che si è verificata nel passato per cause naturali.
E’ ormai noto che dalla rivoluzione industriale quasi il 30% di tutta la CO2 emessa dalle attività antropiche è stata assorbita all’oceano, causando una diminuzione del pH delle acque superficiali oceaniche: quella che chiamiamo acidificazione del mare. L’attuale livello di emissioni di CO2 è senza precedenti negli ultimi 65 milioni anni e i rischi per gli ecosistemi marini di tutto il pianeta sono sempre più alti: dallo sbiancamento dei coralli, alla perdita di alghe, fino alla riduzione dei livelli di ossigeno.
Oltre alla degradazione dell’ambiente marino, già grave di per sé, l’acidificazione dei mari ha conseguenze dirette sull’uomo in quanto diminuisce enormemente la quantità di pescato e l’integrità di ecosistemi che servono, ad esempio, anche a proteggere le coste dall’erosione.
Anche gli ecosistemi del Mediterraneo, che ci riguardano più da vicino, sono minacciati dal rapido declino dovuto all’acidificazione e al riscaldamento. I ricercatori cominciano a studiarne gli effetti soprattutto nelle aree vulcaniche. L’attività vulcanica sottomarina, infatti, produce anidride carbonica nell’acqua di mare rendendola più acida e creando un laboratorio naturale stupefacente, mostrando in anticipo come potrebbe essere in futuro il Mar Mediterraneo. Purtroppo questa finestra in alto mare già ci mostra che la vita diventerebbe difficile per alcune specie, potrebbe essere vantaggiosa per alcune specie invasive, la biodiversità si ridurrebbe e alcune specie si estinguerebbero. «Non solo stiamo cambiando – sostiene la Gambi – ma lo facciamo un tasso molto veloce. Non è più solo questione di adattarsi a cambiamenti drastici, ma farlo in tempi piuttosto brevi. Una corsa all’evoluzione scandita da tempi diversi da quelli della biologia»
In quest’ottica l’isola d’Ischia è un vero laboratorio speciale. Il mare e i fondali che circondano l’isolotto del Castello Aragonese sono laboratori naturali e finestre sul futuro climatico degli oceani, che consentono ai biologi marini di osservare quelle che saranno le possibili evoluzioni future dei mari del mondo.
«Tra il Castello Aragonese e l’isola maggiore – spiega ancora la ricercatrice – c’è una zona di faglia, una frattura della crosta terrestre e del fondale. I gas che originano dalla camere magmatiche, ancora attive, escono da questa frattura. Dove le emissioni sono più forti, c’è più acidità, meno diversità e un paesaggio più uniforme. E’ in queste aree che studiamo la reazione delle varie specie animali, vegetali, quindi confermiamo l’ipotesi che il Ph 7,4 sia la soglia critica per varie specie: il 74%, infatti, non sopravvive in quelle condizioni. Nel laboratorio naturale sotto il Castello, lavoriamo anche per scoprire chi sono i “vincitori”, le specie che sopravvivono in ambiente acido e quali meccanismi, anche genetici, possono favorirli». Nelle zone acidificate dove sono presenti praterie di Posidonia, ad esempio, si nota che solo gli epifiti soffrono, mentre la fauna associata sopravvive senza troppi problemi. La Posidonia non mostra diradamenti nè tanto meno regressione. Grazie alla fotosintesi, riesce a catturare la CO2, arginando l’acidificazione e tamponando gli effetti negativi del fenomeno. Ecco perché le praterie di Posidonia rappresentano un formidabile elemento di mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici.
Nel frattempo, dopo quella sotto il Castello, sono state individuate altre aree sottomarine perfette per gli studi di un laboratorio naturale come quello di Ischia. Aree già note ai pescatori e ai subacquei, dove le “bollicine”, manifestazione dell’emissione di gas visibile anche a occhio nudo, sono perfino maggiori, per estensione e intensità, rispetto a quella più vicina al Castello. Si tratta di aree sottomarine con caratteristiche diverse, a cominciare dalla profondità. Se quella del Castello è la più superficiale, tra gli zero e i tre metri, scendiamo fino ai sei metri per “La Vullatura”, di fronte alla spiaggia della Mandra, con l’attività di emissione gassosa più intensa rispetto alle altre zone. Abbiamo poi la Grotta del Mago, primo sito acido al mondo identificato in una grotta; Chiana del Lume, a dieci metri di profondità verso Cartaromana; infine la Secca della Madonnina, nel Canale d’Ischia, ad una profondità tra i 36 e i 48 metri.
«Con questi 5 sistemi – conclude la Gambi – Ischia diventa un sito unico al mondo. Non c’è un’altra isola che abbia una serie di aree e habitat marini come quelle individuati che possano aiutarci a studiare e comprendere gli effetti dell’acidificazione del mare negli scenari ambientali del futuro».
Un riconoscimento che arriva anche dalla comunità scientifica internazionale, che proietta l’Isola Verde tra le protagoniste della ricerca e dello studio del pianeta.