Ischia che se ne va, una pagina di storia isolana
L’ultimo saluto al prof. Vincenzo Cenatiempo, preside delle Scuole Medie, sindaco di Barano, Educatore e galantuomo di stampo antico. Uno scritto inedito sulle prime esperienze scolastiche del 1951
Non sono in molti gli studenti del prof. Vincenzo Cenatiempo, che lo ebbero come docente del “Gruppo Lettere” (così si diceva sessant’anni fa) alla Scuola Media di Ischia, a sopravvivergli, lui che se n’è andato ancora con una mente lucida e brillante alla bella età di 96 anni. Da una vecchia e rarissima foto ingiallita dagli anni e dall’umidità ho passato in rassegna gli amici di scuola che frequentarono la prima A delle Scuola Media di Ischia, alla Villa Scannapieco. Una discreta parte non c’è più, portata via anzitempo, qualcuno in condizioni non proprio brillanti e altri fortunati lontani da Ischia, che poi è quasi la stessa cosa!
Quell’anno (1951) al primo impatto con la dura realtà di una “scuola superiore”, per noialtri che avevamo superato l’esame di ammissione alla Scuola Media, non era cosa di poco conto. Si proveniva dall’istituto della Divina Provvidenza delle Suore della Carità, a Casamicciola, dove le volenterose suor Teresa e suor Giuseppina, insieme ad una scodella di zuppa (che tempi di miseria, amici miei!) e alla recita del rosario ci impartivano i primi rudimenti del sapere.
Era la nostra preparazione di base, che lasciava alquanto a desiderare ma, peggio, erano gli anni troppo precoci(dieci anni e qualche mese) per trarre profitto dal primo latinorum, dall’analisi logica, dall’Iliade, dalle scienze naturali, dalle prime “frazioni” e via di questo passo da scoraggiare perfino quelli che fra noi già primeggiavano per impegno allo studio e vocazione scolastica .
Un’eccezione va fatta –anzi due- per un testone, grosso così, di sant’Angelo (Nino Arturo), che mostrava il bernoccolo per il Sapere, ma anche una procacissima vocazione per i c…suoi! Idem per le due sorelline di Casamicciola (Gemma e Maria Teresa Calise), sempre incollate come gattine siamesi, con i grembiulini ben stirati e quell’aria di santarelline della buona borghesia “non-ci-toccare-che-siam di-vetro!” L’assortimento maschile era davvero raccapricciante. Si partiva dai contadini di Fiaiano, Buonopane, Panza, Succhivo, Campagnano; si passava per gli “abitatori” delle baracche di Perrone, a Casamicciola, per finire ai Lacchesi, che si distinguevano lontano un miglio per gli incisivi anneriti dall’acqua del Pisciariello, e ai Foriani “sangue ‘e turche”, rozzi, bellicosi, con la pelle olivastra e le maniere spicce dei predoni arabi.
Quelli della “capitale” che ci ospitavano, se ne stavano in disparte, con sussiego, con una cert’aria di superiorità:” Qua la civiltà è arrivata da un pezzo; adeguatevi e rassegnatevi, perché i padroni siamo noi”! Lo dicevano a denti stretti, senza ritegno e, guai a contraddirli, potevi anche buscarle di santa ragione con la benedizione del bidello Amalfitano, un omone basso e tarchiato che faceva causa comune con gli Ischitani considerati i “cittadini” per antonomasia.
Questa era la Scuola Media –unica per tutta l’isola d’Ischia- dopo l’esperienza del fascismo che privilegiava le Scuole di Avviamento Professionale. Il primo giorno di scuola non si può dimenticare. Sull’uscio della Presidenza, al primo piano della villa liberty convertita in Fucina del Sapere, c’era ad aspettare, con buon anticipo sull’orario scolastico, un mastino napoletano in gonnella (il cerbero destinato a vegliare sulla nostra mandria diasinoni per tre anni di fila), ovvero la prima preside ischitana del dopoguerra, Anna Baldino di Barano, specie di kapò dalla voce tonante e dal fare sbrigativo: un misto di autorità e di platealità, perchèciò che pensava, diceva e ordinava lo faceva in pubblica assemblea, con il vocione baritonale e gli… aggettivi al posto giusto!
Indicò ai nuovi arrivati le aule e raccomandò il …silenzio assoluto! Altro che silenzio; la prima battaglia si scatenò per l’accaparramento dei banchi: tutti cercavano affannosamente di occupare le ultime file (fatto ancestrale?) ; io, arrivato in ritardo, ebbi il posto migliore: quello piazzato a due passi dalla cattedra, proprio in faccia al professore Vincenzo Cenatiempo, che nel trambusto era riuscito sveltamente a guadagnare il suo posto e osservava con un malizioso sorrisetto quella specie di corrida non ancora placata. Il nostro insegnante di lettere era fresco di nomina, una specie di fratello maggiore con un doppio petto spiegazzato, una chioma castano chiara e una borsa di pelle marroncina non certo firmata Vuitton.
Ci esaminammo a lungo e l’impressione –decisamente- non fu male. Il prof. sembrava un ecclesiastico in borghese, dal volto mite e dolce –ma solo in apparenza- perché (lo constatammo in seguito) sapeva farsi valere sul piano della rigidità didattica e sul piano del rispetto per l’autorità scolastica). Ci fece subito capire d che pasta era fatto lui e di che pasta (andata a male) eravamo fatti noi! Il prof. aveva 23 anni, una laurea in Lettere conseguita nel 1931 e zero anni di servizio; come a dire: badate sono un pozzo di scienza, ma di insegnamento ne so quanto voi! Dunque tolleriamoci a vicenda. Fu una guerra non guerreggiata, ma di…posizione: ognuno nella propria trincea, guardingo, senza strafare ma badando soltanto… all’incolumità personale!
Per non farla lunga racconterò un solo episodio, molto significativo, che non ho mai dimenticato e che spesso rievoco con gli amici Salvatore Napolione e Peppino Iovene; due filibustieri che mandavano sempre all’attacco il sottoscritto mentre loro se ne stavano nelle retrovie al sicuro dalle…rappresaglie!
Con il passare dei mesi (stavamo all’inizio del secondo trimestre) avevamo notato che il prof. Cenatiempo aveva un occhio di riguardo per il…gentil sesso in tema di voti in Italiano, Latino, Storia e Geografia. A parere dei maschietti, le ragazze venivano trattate in guanti bianchi, con voti al di sopra di quelli meritati, mentre per noialtri, della bassa forza, strappare un cinque o un sei era considerato un vero miracolo! Dopo un breve conciliabolo (Barbieri-Schiano-Iovene-Napolione-Carcaterra-) addivenimmo alla conclusione che il prof. doveva essere preso di petto da chi scrive allo scopo di far cessare l’odiosa pratica.
Il destro ni fu offerto da un’interrogazione di Letizia Pollio non proprio entusiasmante, che ottenne un bel sette! Apriti cielo. E qui che ti volevo! Letizia, la bella biondina, figlia del parrucchiere di via Roma, già formosetta come dio comanda, era diventata l’oggetto dei desideri precoci della ciurmaglia, che non faceva mistero delle preferenze accordate alla signorinella ischitana ogni qual volta la si aveva a portata di mano mentre passava, sinuosa e leggera, fra i banchi riservati ai maschi. Qualche battuta sottovoce, un complimento spinto, una profferta castigata; non si andava oltre. Nemmeno quel somarone di Schiano, baranese doc, proveniente dai cellai di Candiano, preceduto dalla fama non immeritata di sfrontato guastafeste, si era mai permesso di andate fuori dal seminato.
Il duello di quella mattina fu memorabile. Una disfida di Barletta fra un inesperto professore di Lettere e un “lattante” di circa undici anni che sapeva ciò che voleva! Vincenzo Cenatiempo era diventato paonazzo, dominato dalla collera e nello stesso tempo “sorpreso” -davanti ad una scolaresca diventata improvvisamente a lui ostile- per tanta determinazione e per tanta asprezza critica raccolta nel mio jaccuse!
Mi beccai il poco lusinghiero epiteto di ”carrettiere”!, riferito al mio veemente intervento certamente profferito “sopra le righe”! Ma poi, svaniti i bollori, eccoti il professore che tira fuori qualcosa di inaspettato per quei tempi di severità educativa:”Va bene, prendo atto dei rilievi, e propongo la istituzione di una commissione di voialtri. Ogni mese saranno scelti un maschio e una femmina che valuteranno con me i voti da dare alle interrogazioni! Ricordo l’applauso prolungato che richiamò dal suo sonno letargico il grande invalido di guerra Garise, tuttofare della Scuola, che spesso sedeva in corridoio su di una sedia spagliata per origliare a qualche porta!
L’effimera vittoria non poteva risolvere in alcun modo un vecchio problema che, a tutt’oggi è sul tappeto (me lo confidano le mie nipotine), ma l’intuizione del prof. Vincenzo Cenatiempo –forse frutto della verde etade- si rivelò efficace almeno per quell’anno scolastico.
Un lieto fine? Per niente. Come dio volle uscirono “i quadri” a giugno ed io fui clamorosamente bocciato su tutta la linea. Zia Maria ci restò di sasso; non vi dico mio nonno Luigi, lui che dello studio aveva fatto credo e religione; lui che aveva studiato al “Genovesi” di Napoli con Enrico De Nicola e Alfredo De Marsico! Basta, me la piegai a libretto e confidai a me stesso che avrei recuperato il tempo perduto. Con il professore Cenatiempo ci perdemmo momentaneamente di vista. Passai alla Sezione B e trovai un altro valente professore di Lettere di Barano, Agostino Buono, scomparso immaturamente negli anni Settanta.
Il professore Cenatiempo continuò la sua lunga missione scolastica, fece carriera con la promozione a preside e si…buttò in politica (non so se lo “buttarono” o fu una sua scelta personale) raggiungendo la carica di sindaco di Barano nello Scudo Crociato.. Non ebbi frequentazioni con lui perché per un breve periodo ebbi contatti politici con i socialisti, avv.ti Pietro e Vittorio Di Meglio, Mario Buono, Giovanni Jannelli e Giosi Gaudioso, ma spesso lo incontravo nel corso di manifestazioni religiose, politiche, elettorali e turistiche. Lo ricordo in occasione della venuta a Forio di Giulio Andreotti,. E’ immortalato in una foto con un gruppo di amici, amministratori e militanti nel chiostro di san Francesco d’Assisi.
Una figura di ottima Cultura, di grande Umanità, di Galantomismo e di Lealtà; furono queste le note dominanti del suo carattere mite, buono e generoso, non ”tagliato” per le brutture della politica e per gli inganni degli arrivisti senza scrupoli. Seppe conservare il decoro della Scuola come Istituzione Primaria di uno Stato Democratico e Libertario e seppe conservare la sua autonomia di cittadino e di pubblico amministratore dalle beghe di potere partitico e personalistiche. La lunga assenza dal contesto civile cittadino non ha offuscato l’immagine della sua probità e della sua laboriosa vita spesa per la gioventù studiosa e per i suoi concittadini baranesi.
Il professore Vincenzo Cenatiempo è uno degli ultimi testimoni e nello stesso tempo protagonisti di un’isola eroica che seppe sopravvivere agli orrori della guerra, della povertà e della disperazione, e lanciarsi nell’immane sforzo della ricostruzione morale e materiale di una comunità gravemente segnata da crudelissimi eventi. Va a lui il pensiero riconoscente di tutti noi per una vita spesa bene al servizio della sua terra e della sua gente.