LE OPINIONI

IL RACCONTO Come mio padre si salvò dalle fosse ardeatine

DI ALMERICO DI MEGLIO

Mi ha molto colpito la stima affettuosa dimostratami da Giovangiuseppe Mazzella nella sua rubrica – come al solito tanto sobria quanto acuta – per la lettera inviata al direttore de Il Golfo sulla Germania, con la quale ho tentato sinteticamente di mettere sulla bilancia sia i difetti della sua politica, anche europea, sia i meriti. Mi ha fatto riflettere anche il ricordo, altrettanto amichevole, di mio padre che, agli inizi del 1944, già da un paio d’anni (ne aveva allora poco più di 24) lavorava a Roma al ministero delle Corporazioni, in qualità di consulente della Confindustria. Era precoce di natura: ad appena quattro anni in prima elementare, si era laureato molto presto in filosofia e teologia, poi in giurisprudenza, collegandosi idealmente allo zio Emilio, di cui si parlava spesso in famiglia, un avvocato tanto giovane quanto affermato, purtroppo assassinato a Testaccio nel 1908, all’età di 30 anni.

Giovanni Di Meglio e Alcide De Gasperi a
Barano discutono sul tracciato della
Testaccio-Maronti

Giovanni Di Meglio venne arrestato per la sua attività nelle file della Resistenza cattolica (e decisamente anti-comunista). Attività che svolgeva assieme a Giovanni Leone, Silvio Gava e Stefano Riccio nell’organizzazione della Democrazia Cristiana guidata da Alcide De Gasperi. Affascinato da Mussolini come tutti gli italiani, cui riconosceva il merito storico della modernizzazione dell’Italia e di straordinarie riforme nel decennio d’oro del regime, dal 1928 al 1938, un rispetto che conserverà per tutta la vita, s’era distaccato dal fascismo per le leggi razziali e per una guerra disastrosa che rischiava di mettere l’Italia nelle mani di Stalin. La scelta della Dc costituiva un ritorno alle origini dell’impegno familiare nel popolarismo cattolico, al quale aveva aderito lo zio materno, il medico Luigi Scotti, il quale era stato sindaco di Barano dal 1912 al 1916 e consigliere provinciale dal 1919 al 1925. Mio padre venne tradotto nelle carceri – attrezzate nella Pensione Jaccarino –  della famigerata Banda Carità di Pietro Cock in via Tasso. Fu salvato dalla tortura e dalle Fosse Ardeatine (dove il 24 marzo 1944 finirono 21 compagni di prigionia) grazie al fratello Giuseppe, alto diplomatico vaticano, il quale intervenne sull’ambasciatore tedesco a Roma, il barone Ernst von Weizsäcker, il quale lo fece liberare perché formalmente “guardia palatina”.  Ernst von Weizsäcker era il padre di Richard Karl von Weizsäcker, futuro presidente della Repubblica Federale e, con la riunificazione tedesca dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989 (di cui fui testimone), il primo capo di Stato della Germania riunificata.

Giovanni Di Meglio con i fratelli
dottor Vincenzo e monsignor Giuseppe

A Giovanni Di Meglio furono dati un paio di giorni per abbandonare il territorio italiano della Repubblica Sociale e rientrò fortunosamente ad Ischia, a bordo di un gozzo che impiegò tre giorni di navigazione notturna, con tappe a Ponza e a Ventotene. Giunto sull’isola fu rappresentante del Comitato di Liberazione Nazionale e fondatore della locale Dc. Rifiutò sempre i riconoscimenti delle associazioni partigiane per il profondo disprezzo nutrito nei confronti dei comunisti a causa dei legami con Mosca e per i crimini commessi prima e dopo la fine della guerra. Lo aveva segnato indelebilmente l’attentato di via Rasella: il suo autore, un partigiano comunista, non si costituì lasciando scattare la minacciata terribile rappresaglia. Che differenza con la vicenda di Salvo D’Acquisto! Permettetemi di aggiungere, sul suo arresto, qualche nota a margine. A Roma, allora occupata, i Servizi nazisti erano stati informati che Giovanni Di Meglio custodiva materiale della Resistenza cattolica nella sua abitazione. Il cugino Salvatore Scotti, che ne condivideva l’appartamento, rientrato la sera avvertì in Vaticano il fratello di mio padre, monsignor Giuseppe Di Meglio, il quale dalla Segreteria di Stato si precipitò all’ambasciata tedesca nello stesso Vaticano per invocarne il rilascio. Mio zio era ben noto ai tedeschi per diversi motivi. Era stato Consigliere delle Nunziature Apostoliche prima di Vienna e poi di Berlino. Fu proprio Papa Pacelli (Pio XI) che nel 1939 lo destinò nella capitale tedesca in quanto aveva apprezzato i suoi rapporti sulla situazione in Austria prima della Anchluss, dove partecipava alla elaborazione del nuovo Concordato ed aveva redatto il testo in latino intitolato “De Novissimo Austriae Regimine”.

In Germania monsignor Giuseppe Di Meglio aveva partecipato a due incontri con Hitler: uno nella stessa capitale tedesca (seppi che con lui il Fuhrer si dilungò a parlare del Sacro Romano Impero),  l’altro incontro – una missione segreta decisa dal Papa che tentava di fermare il conflitto – al Nido del Diavolo, in Baviera: Hitler rispose che l’Unione Sovietica era il nemico mortale dell’Occidente e aveva dichiarato la guerra anche in considerazione della sua età, non poteva cioè aspettare di divenire più anziano per condurla. Inoltre, monsignor Giuseppe Di Meglio – che padroneggiava perfettamente, tra le altre, anche la lingua tedesca – era tenuto d’occhio dai nazisti già quand’era consigliere alla Segreteria di Stato Vaticana guidata dal futuro Papa Pio XII, avendo ostacolato il Concordato tra i due Stati per le negative conseguenze sulle libertà e sulle associazioni cattoliche tedesche; e in seguito per aver distrutto, durante l’Anschluss, gli archivi vaticani a Vienna bruciandoli nei camini della Nunziatura; poi per l’attività svolta a favore di moltissimi prigionieri ed ebrei rinchiusi nei campi di concentramento:  ne salvò molti ma gli restò sempre il dolore di non esservi riuscito con Edith Stein, alla quale, però, aveva preannunciato l’arresto recandosi appositamente in Olanda, dove le aveva insistentemente ma invano consigliato di allontanarsi in tempo utile – tre giorni dall’arresto – ma senza convincerla: lei finì ad Auschwitz, lui fu arrestato dalla Gestapo e grazie all’immunità diplomatica venne rilasciato ma espulso e costretto a rientrare subito a Berlino, nella Nunziatura.

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L’ambasciatore tedesco in
Vaticano (1944) Ernst von Weizsacker

E ancora: monsignor Di Meglio aveva svolto missioni diplomatiche in alcuni Paesi dell’Europa settentrionale.  Di particolare importanza un incontro – che restò a lungo segreto – in Irlanda (raggiunse Dublino via Londra) con Charles De Gaulle, al quale fu riferito un messaggio del Pontefice. La partecipazione diretta alla nascita della Dc, l’amicizia con Giulio Andreotti, la conoscenza di Alcide De Gasperi e le capacità politiche mostrate, fecero sì che mio padre fosse inserito nelle liste della Dc per le elezioni politiche del 1948. La fortissima opposizione della madre lo indusse a ritirarsi: tutti i candidati dc furono eletti in Parlamento. La conoscenza diretta con Alcide De Gasperi permise a Giovanni Di Meglio – dal 1944 rappresentante del CLN, poi commissario prefettizio e sindaco di Barano – di convincere il presidente del Consiglio a venire nel 1952 sull’isola. Dal Belvedere del suo Comune gli mostrò la baia dei Maronti, spiegandogli la necessità che venisse realizzato un sogno secolare della popolazione: la strada per i Maronti.

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Finanziata con ben 600 milioni di lire (cifra enorme per l’epoca) i lavori presero il via nel 1956. La strada – completata in appena un paio di anni a dispetto delle difficoltà del percorso – resta l’opera più importante e significativa della sua amministrazione, che significò per Barano un’autentica rinascita verso il futuro: solo grazie alla sua determinazione fu possibile aprire il nuovo percorso viario in quanto fu necessario demolire le abitazioni che sorgevano sull’attuale tratto iniziale. Una decisione sofferta, che prese pur cosciente dell’alto costo elettorale, perché altrimenti l’opera sarebbe sfumata.  In un Comune che impediva agli autobus di completare il giro dell’isola per mancanza di strade, venne realizzata non solo quella per i Maronti ma anche la Piedimonte-Fiaiano (che collegava anche Ischia Porto e Casamicciola); la Barano-Testaccio (che si congiungeva con via Vatoliere e con la stessa Testaccio-Maronti); l’anello stradale che aggirava la strozzatura che bloccava i bus a Barano centro e il riempimento della stessa cava del capoluogo comunale formando finalmente la piazza che ad esso mancava; l’altra variante stradale che “aggirava” la strozzatura di Casabona; la sistemazione delle piazze di Piedimonte e di Buonopane;  vennero sviluppate le reti sia dell’illuminazione pubblica per gli abitati dello  Schiappone, della Testa e del Buttavento che agli inizi degli anni Cinquanta ancora ne erano privi, sia dell’Acquedotto Campano che arrivò agli inizi degli anni Sessanta: fino ad allora l’approvvigionamento idrico era garantito dalla acque delle sorgenti di Buceto e di Nitrodi e per fare arrivare quest’ultima a Piedimonte fu necessario superare la collina denominata il Belvedere della Valle con un tunnel che parte da Nitrodi e di cui vi è ancora parziale traccia.

La posa della prima pietra sulla
strada Piedimonte-Barano

Vennero costruiti edifici scolastici a Piedimonte, Barano, Testaccio e Buonopane, che avevano le scuole elementari sparpagliate in case private con aule collettive per mancanza di sufficienti ambienti, prive molto spesso di servizi igienici. Fu ampliato, senza alterarne l’estetica pregevole, il cimitero di Piedimonte. Soprattutto, vennero costruiti in tempi rapidi – grazie alla “legge Fanfani” del 1958 – due complessi di case popolari a Barano centro e a Fiaiano (dove furono accolte le famiglie ricoverate da generazioni, fin dal terremoto del 1883, nelle cosiddette “baracche”). Furono gli anni che videro Barano all’ottavo posto nella classifica dei circa novanta Comuni della provincia di Napoli, per opere realizzate.

E ancora: Giovanni Di Meglio ottenne per il suo Comune dal Ministero della Industria, grazie all’impegno dell’onorevole Silvio Gava, la concessione perpetua dello sfruttamento della sorgente di Nitrodi. Non riuscì, purtroppo, a completare il suo piano che prevedeva un totale e forte sviluppo turistico delle sorgenti di Nitrodi e Olmitello (le cui strutture vennero però restaurate e ampliate) con la passeggiata pedonale, sulla costa della spiaggia dei Maronti, fino a Sant’Angelo.  Il progetto prevedeva l’impegno economico di Rizzoli, il quale acquistò una vasta area in prossimità di Olmitello in cui venne piantata una pineta allo scopo di ricavarne un centro idropinico ed alberghiero, ma resistenze locali contrarie all’utilizzo delle acque di Nitrodi anche alle spalle della Baia dei Maronti, spinsero lo stesso Rizzoli a puntare su Lacco Ameno, facendone la fortuna.

Inaugurazione dell’edificio scolastico “Ciro Scotti”. 
Da destra: Antonio Castagna sindaco di Casamicciola,
su. Stefano Riccio, Giovanni Di Meglio
Sindaco di Barano, il vescovo Dino Tomassini e
in fondo Vincenzo Telese Sindaco d’Ischia

La guida del Comune di Barano si concluse nel 1965, per una dolorosa scissione nella locale Democrazia Cristiana che, però, si ricompose un decennio dopo e fu coronata dal ritorno alla vittoria della Dc guidata dal preside Vincenzo Cenatiempo. Giovanni Di Meglio fu, in seguito, presidente dell’EVI (facendo, tra l’altro, elaborare il Piano regolatore intercomunale dal professor Corrado Beguinot) e presidente dell’Istituto autonomo case popolari di Napoli, il terzo per dimensione d’Italia (affrontando meritoriamente le gravi conseguenze del terremoto del 1980 al patrimonio immobiliare dell’ente). Personalmente sono grato a mio cugino, avvocato Giuseppe Di Meglio, per la testimonianza offerta con il suo intervento in occasione del conferimento della “toga d’onore” e della medaglia d’oro alla memoria di Giovanni Di Meglio, per il rigore nel sottolinearne i meriti pubblici, ripresi in queste righe, e per l’emozione trasmessami. E sono grato al preside Vincenzo Cenatiempo, che purtroppo ci ha lasciati pochi mesi fa, il quale nel 2014 ha voluto pubblicare una propria testimonianza in cui ha ripercorso le tappe di una esperienza politica ed amministrativa, compartecipe e sostanzialmente condivisa, che è coincisa con la crescita civile ed economica non solo del Comune di Barano ma dell’intera isola d’Ischia.

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