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«Il ponte? L’isola non ha chiuso per la “pancia piena”»

Lo afferma il presidente isolano dell’Aicom Marco Laraspata, che esamina luci e ombre del boom di presenze turistiche nel recente weekend “lungo” di Ognissanti

L’isola continua a registrare grandi numeri per quanto riguarda i flussi turistici, eppure questo inizio di novembre baciato dal sole e dalle temperature ha anche costituito l’innesco per alcuni spunti polemici. Non pochi addetti ai lavori infatti hanno stigmatizzato la circostanza per cui numerose strutture ricettive e ristorative hanno anticipato la chiusura di fine stagione, mancando così l’occasione di intercettare le decine di migliaia di turisti che si sono riversati nel lungo ponte festivo di Ognissanti, con numeri che hanno fatto impallidire anche quelli record di qualche anno fa.

«Non è una questione di cattiva programmazione: c’è un enorme indotto basato sulla ricettività alberghiera. È quindi fisiologico che alla chiusura di un certo numero di alberghi, anche numerose attività che si basano sull’arrivo dei turisti sospendano anch’esse l’attività»

Eppure, la situazione non è così semplice, né la si può liquidare esclusivamente puntando il dito contro la mancanza di lungimiranza dei commercianti locali. Così la pensa Marco Laraspata, presidente dell’Aicom Ischia: «Bisogna valutare con cognizione di causa.

Nessuno chiude perché non vuole lavorare. E non è nemmeno una questione di cattiva programmazione: c’è un enorme indotto basato sulla ricettività alberghiera. Nel momento in cui alcuni alberghi chiudono, la mancata ricettività si ripercuote anche su tali attività. È vero che l’isola può contare su oltre 60mila residenti, ma l’offerta del settore terziario è superiore alla domanda esclusivamente “interna”. È quindi fisiologico che alla chiusura di un certo numero di alberghi, anche numerose attività che si basano sull’arrivo dei turisti sospendano anch’esse l’attività». Non può farsi discorso analogo per le attività balneari, secondo Laraspata: «Quello delle spiagge è un mondo a parte, non solo per una questione di autorizzazioni, ma anche per il fattore meteo. Dunque non è così semplice come alcuni vogliono far sembrare, liquidando le chiusure con la motivazione della “pancia piena” dopo un’estate intensa».

«Un altro elemento che ha influito sulla chiusura anticipata di alcune strutture, oltre al caro-energia, è costituito dalla mancanza di personale lungo tutta la stagione»

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L’aumento delle bollette è un altro aspetto della questione: «Vero è – continua l’esponente Aicom – che il caro-energia ha provocato la chiusura di talune attività, ma la cosa va esaminata anche tenendo conti di altri elementi: chi deve sostenere anche il costo dei fitti del locale può arrivare a non farcela più. Se alle migliaia di euro di fitto vanno aggiunte altre migliaia di euro di bollette raddoppiate o triplicate, è comprensibile che un commerciante getti la spugna.

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D’altro canto, la situazione va inquadrata nel particolare momento storico che stiamo vivendo: è giusto approfittare del meteo favorevole e dell’onda lunga di Procida capitale della cultura, ma è pure vero che in questo contesto macroeconomico la chiusura è obbligata per alcune attività. Un’altra analisi che pochi hanno effettuato riguarda il personale: molti sono arrivati a fine settembre letteralmente esausti fisicamente, anche perché durante l’estate non si trovavano più dipendenti in numero sufficiente». In ogni caso, sono stati tantissimi i turisti stranieri arrivati in questi giorni, di cui molti dal Nord Europa, pronti a beneficiare del clima più che temperato dell’isola: «La tanto invocata destagionalizzazione dovrebbe essere articolata anche prendendo in considerazione tale flusso di turisti, per i quali le temperature locali in autunno inoltrato vengono considerate praticamente estive. Ecco, attirando tale tipo di turismo, l’allungamento della stagione potrebbe diventare qualcosa di stabile e concreto».

«Per rendere effettivo l’allungamento della stagione si dovrebbe puntare sul turismo proveniente dal Nord Europa e al contempo obbligare gli alberghi a rimanere aperti per nove mesi all’anno»

Laraspata allarga il discorso anche su talune contraddizioni: «Conta molto la volontà politica: se un albergo ha licenza annuale, ma poi rimane aperto solo sei mesi, allora vuol dire che deve entrare in campo una valutazione politica. Ad esempio, obbligare l’apertura su nove mesi, perché tre mesi di chiusura sono più che sufficienti. In tal modo anche i lavoratori potrebbero beneficiarne, lavorando per più tempo e riuscendo a fronteggiare le spese invernali». Il presidente isolano Aicom cita come esempio una nota catena alberghiera isolana, che resta aperta l’intero anno: «Ischia è molto vasta e in grado di soddisfare varie fasce turistiche, e anche il turismo cosiddetto low cost serve: l’italiano medio con limitate capacità di spesa deve poter essere ospitato sull’isola, senza lasciarlo andare verso altre mete. Non tutti possono permettersi una spesa di 300 oppure 500 euro al giorno. Dobbiamo dare anche al turismo di fascia media la possibilità di una vacanza. Una giusta proporzione sarebbe quella dei due terzi di fascia alta, e di un terzo del volume totale degli ospiti di fascia media. Naturalmente bisogna concertare con i vari attori alcune iniziative comuni. Sarebbe opportuno avere un appuntamento periodico con le amministrazioni locali, in cui gli esponenti delle categorie potrebbero illustrare il quadro della situazione contingente».

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La questione destagionalizzazione ruota pricipalmente intorno al termalismo invernale, che sull’isola è rimasto a zero. I perchi termali non si sono in alcun modo rinnovati in tal senso, ed ovviamente gli alberghi seguono a ruota…
Salvo rare eccezioni (extralusso?) il massimo è qualche bagnarola nei terranei, resa appetibile da decorazioni più o meno pacchiane!

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