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Il nome del Duce scompare dalla lapide, è polemica sulla litoranea

Di Francesco Ferrandino

ISCHIA. Il tema proposto dal Dott. Tarabbo nella lettera inviataci è di quelli che, pur a distanza di molti decenni, toccano alcuni nervi scoperti della nostra coscienza democratica. È perfettamente comprensibile e condivisibile l’esigenza di non dimenticare il passato, specialmente se si tratta di un’opera pubblica così importante nella vita dell’intera isola d’Ischia, come quella costituita dall’arteria inizialmente denominata “strada statale 270” (provinciale dal 2001), che collega agevolmente i  comuni dell’isola d’Ischia. Non si può non essere d’accordo sul fatto che è sbagliato cancellare, o meglio censurare, i nomi, i fatti e i personaggi del nostro passato. Un passato che può sembrare lontano, ma che in realtà ha diretta influenza sul presente che stiamo vivendo. D’altronde, una democrazia come quella italiana, nata nel 1946 dopo la tragedia della guerra e soprattutto dopo i vent’anni della dittatura fascista, non dovrebbe aver paura del proprio passato: sarebbe un’espressione di debolezza, e darebbe ulteriore fiato ai tanti nostalgici da strapazzo che, immemori dell’olio di ricino e dei pestaggi, credono che l’aver bonificato le paludi pontine o l’aver costruito alcune strade costituisca un viatico sufficiente per dimenticare le innumerevoli gravissime violenze fisiche e morali di cui fu responsabile il regime fascista. Non è la sede per elencare pagine oscure, anzi nere, come le abominevoli leggi liberticide successive al vile assassinio dell’onorevole Matteotti fino a quelle di stampo razzista. C’è ancora chi stolidamente ricorda che durante il fascismo “i treni arrivavano in orario”, ma a questi nostalgici bisognerebbe dare la stessa risposta del coraggioso giudice palermitano interpretato dal grandissimo Gian Maria Volonté nel film “Porte aperte”, tratto dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia ispirato a un fatto reale. A un procuratore fascista che sosteneva con forza la necessità di un regime poliziesco e oppressivo, affinché la gente potesse andare a dormire appunto “lasciando aperta la porta di casa”, il giudice rispondeva senza timore: «Io, la porta di casa mia, la chiudo sempre». Il problema è che noi italiani non abbiamo mai fatto veramente i conti con le ferite del passato, rimanendo sospesi su molteplici questioni irrisolte: il passaggio dalla dittatura alla democrazia necessitava di ben altra elaborazione, che è sostanzialmente mancata durante il successivo quarantennio democristiano, lasciando quindi intatte certe pericolose tentazioni “autoritarie” che si scorgono anche nella contestata proposta di riforma costituzionale fortemente voluta dall’attuale Governo Renzi È tuttavia un discorso che ci porterebbe troppo lontano. Accogliamo quindi la sacrosanta segnalazione del Dottor Mario Tarabbo, e invitiamo le autorità competenti a dare una doverosa sistemazione alla lapide posta sul terrapieno situato tra l’ex parcheggio Anas e l’Eliporto, ripristinando il nome dell’allora Presidente del Consiglio Mussolini che, va ricordato, si gloriava dell’appellativo di Duce e che di fatto cancellò il Parlamento democraticamente eletto istituendo un Gran Consiglio del Fascismo mettendo completamente al bando ogni libertà di pensiero politico. Il 90° anniversario dell’inaugurazione dell’ex strada statale 270, il prossimo 25 luglio, potrà quindi costituire non soltanto l’occasione per celebrare un’opera pubblica che ha cambiato sicuramente in meglio la viabilità e quindi la vita degli ischitani, ma anche un momento per continuare quella doverosa e spesso dolorosa riflessione sulla nostra Storia recente.

 

 

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