IL CRISTO MORTO LASCIA FORIO E TORNA NELLA SUA PROCIDA: UN EVENTO DA RICORDARE NEL COMMENTO DI YLENIA PILATO
IL COINVOLGIMENTO DELL’ARTISTA FORIANA YLENIA PILATO: “Ho partecipato con grande piacere all'evento in parrocchia. Ho sentito tutta la forza evangelizzatrice della pietà popolare. Trovo che essa sia un patrimonio per la chiesa anche perché rivela il suo vero volto, la sua identità profonda di Corpo di Cristo che si manifesta come popolo di Dio. Grazie a Luciano Castaldi, ho avuto la certezza di come la pietà popolare ancora mantiene valori spirituali e religiosi che la modernità tende a trascurare. La nostra fede non è solo razionale”
Oggi si conclude la “peregrinatio” del Cristo Morto di Procida nella nostra isola di Ischia e più precisamente a Forio dopo la sosta di 5 giorni nella chiesa parrocchiale a di San Sebastiano accanto all’Addolorata, dal bellissimo volto sofferente, incredibilmente espressivo e segnato dal tratto autentico del dolore della madre di fronte al figlio che muore. L’evento studiato senza clamori fra i preposti di Forio e di Procida per non suscitare atteggiamenti contrari all’audace iniziativa prima che si attuasse, sarà scritto negli annali della storia di Forio e dell’isola di Ischia in generale a lettere indelebili a imperituro ricordo di un esclusivo episodio popolare che ha “gemellato” due comunità animate da sempre dal comune sentimento della fede e delle tradizioni religiose.
Eppure c’è stato chi a Procida ha storto il muso all’ idea che la settecentesca immagine del Cristo Morto da Procida potesse essere trasportata a Ischia per una storica visita di…Passione. In ogni modo l’evento tanto voluto c’ è stato ed ha riscosso un grandissimo successo di valenza religiosa, sociale e culturale. Non a caso tra i vari momenti di raccoglimento e di ammirazione che ci sono stati ai piedi dell’Addolorata e del Cristo Morto nella chiesa di San Sebastiano, ha trovato spazio anche un interessante e seguito incontro con esperti relatori per illustrare caratteristiche tecnico-artistiche e storia delle due immagini protagoniste, l’Addolorata dal manto nero di Forio ed il Cristo Morto di Procida. Infatti coordinatori dell’incontro-conferenza e relatori sono stati il parroco Don Beato che in primis ha fatto gli onori di casa, Mino Calise e Luciano Castaldi. L’introduzione è stata curata dallo stesso parroco Don Beato, il quale ha focalizzato l’attenzione sul senso delle immagini della Chiesa, già presenti in epoca antica fin dalle catacombe. Immagini che sono come un vangelo in miniatura, una sintesi della fede cristiana.
Tra i vari simboli, quello del pesce sembra essere al primo posto per importanza. La sua popolarità era dovuta principalmente al famoso acrostico costituito dalle lettere iniziali di cinque parole greche ( IXTHYC, leggi ICHTHUS). Un altro simbolo è l’alfa e l’opera che simboleggia il dominio di Dio sul tempo, che viene concepito come primo motore e conclusione di tutte le cose che sono nell’universo. Il buon pastore, altro simbolo presente con frequenza negli affreschi, l’ancora come simbolo dell’anima che ha felicemente raggiunto il porto dell’eternità e il pellicano che divenne simbolo della passione di Gesù e dell’Eucaristia a partire dal XII secolo. Il parroco Don Beato ha parlato ion fine anche dell’iconoclastia. Dal greco eikón,icona, cioè immagine, e klāzo, cioè spezzo,distruggo), essa rappresenta la lotta contro il culto delle immagini sacre. A Bisanzio e nei territori occidentali dell’impero sul solco della tradizione greco- romana, il Cristianesimo rappresentava nelle immagini sacre Gesù Cristo, la Vergine e personaggi biblici santi. Il secondo intervento dell’incontro è stato quello di Mario Calise, il quale ha parlato delle immagini in Oriente che sono considerate sacra scrittura. L’icona, ha spiegato Calise, è una manifestazione artistica di grande valore, soprattutto per il profondo valore teologico che rappresenta attraverso il suo simbolismo.
In questo tipo di immagini tutto deve ricondurre alla Parola e alla teologia, unici linguaggi che essa deve porre in risalto. Il 431 d.C. segna una data importante per lo sviluppo dell’iconografia cristiana che si sviluppa in Oriente, per poi approdare anche in Occidente. Questo evento storico segno’ la nascita del dogma di Maria Madre di Dio, o come si usa dire in greco Theotokos. Infatti, se Gesù è allo stesso tempo vero Dio e vero uomo, Maria non è più solo generatrix dell’uomo, ma anche parte divina di questo e, quindi, ella stessa divina. Per quanto concerne l’immagine di Maria, Calise ha spiegato che è ben nota l’antica tradizione orientale secondo cui fu San Luca ( l’evangelizzazione pittore che più parlò di lei nei suoi scritti) ad averla ritratta ancora in vita a Gerusalemme. Nell’arte e nella cultura bizantina l’icona è un prezioso strumento dell’arte sacra spirituale. Aggiunge il parroco Don Beato: la funzione essenziale dell’icona è quella di portare agli occhi quello che la parola porta all’orecchio. L’immagine è come una presenza che si propone al nostro sguardo, sia attraverso gli occhi che attraverso il cuore.
Luciano Castaldi ha approfondito, durante la conferenza, il discorso sulla pietà popolare, autentica espressione dell’azione missionaria spontanea del Popolo di Dio. Egli ha illustrato che nella pietà popolare si può cogliere la modalità in cui la fede ricevuta si è incarnata in una cultura e continua a trasmettersi anche alle future generazioni. Viene menzionato anche Paolo VI che parla della pietà popolare come una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere e che rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede. Luciano Castaldi fa riferimento alle processioni e al partecipare alle manifestazioni della pietà popolare, che sono in sé un atto di evangelizzazione. Per capire questa realtà bisogna avvicinarsi ad essa con lo sguardo del Buon Pastore. Solamente a partire dalla connaturalità affettiva che l’amore dà, possiamo apprezzare la vita teologale presente nella pietà dei popoli cristiani. Le espressioni della pietà popolare hanno molto da insegnarci, aggiunge Luciano, e per chi è in grado di leggerle, sono un luogo teologico davvero importante.
Concludendo, l’artista Ylenia Pilato fa le sue considerazioni sulla serata: “Ho partecipato con grande piacere all’evento in parrocchia. Ho sentito tutta la forza evangelizzatrice della pietà popolare. Trovo che essa sia un patrimonio per la chiesa anche perché rivela il suo vero volto, la sua identità profonda di Corpo di Cristo che si manifesta come popolo di Dio. Grazie a Luciano Castaldi, dichiara inoltre l’artista foriana Ylenia Pilato, ho avuto la certezza di come la pietà popolare ancora mantiene valori spirituali e religiosi che la modernità tende a trascurare. La nostra fede non è solo razionale. Tante volte fa leva anche sulla corporeità ‘, sui gesti e sui linguaggi. Ben vengano questi incontri, dove si fa l’esperienza di un popolo che cammina unito, valorizzando la condivisione, la solidarietà, e tutti quegli aspetti del sentire umano. Sono orgogliosa di essere foriana, anche perché partecipando a questi eventi di fede, è come se andassi in missione. A Forio questa dimensione di fede è più viva che mai! Da essa possiamo trarre il messaggio cristiano che vive in noi e attorno a noi. Ammirando la statua del Cristo morto venuto da Procida e collocato ai piedi della Madonna Addolorata, mi vengono in mente i pensieri di Pavel Florenskij.
L’immagine è come una finestra aperta sul mistero per poter entrare in comunione con Cristo, con la Madre di Dio, con i Santi , gli Angeli. Una presenza che invita a realizzare nella nostra vita ciò che vediamo, dopo averlo vissuto intimamente. Ho anche apprezzato molto l’intervento di Mino Calise sulle icone. La loro pittura rappresenta un modo di vivere con intensità la propria fede. Nell’isola il Dio uomo si avvicina a noi, ricordandoci che anche noi siamo icona di Dio”. A Forio c’è stata una grande accoglienza da parte dei fedeli per l’arrivo del Cristo morto da Procida, la spettacolare scultura lignea settecentesca di Carmine Lantraceni. La nota artista foriana Ylenia Pilato ha partecipato all’evento rimanendone colpita fino a lasciarsi coinvolgere pienamente dallo svolgersi dell’accadimento religioso e non solo. Calatasi nella storia del Cristo di Procida ci ha fornito particolari che qui riportiamo.
La statua lignea fu costruita nel 1728 da uno scultore che aveva la sua bottega a Napoli, a San Biagio dei Librai, dove da tempo immemore c’erano i “pastorai” che costruivano i presepi: il suo nome è Carmine Lantriceni, di lui non si sa molto: forse di origine pugliese o molisana perché in quelle due regioni sono presenti diverse sue opere. Lantriceni era “pastoraio”, certamente non dei più costosi, perché la congrega non poteva permettersi l’intervento di artisti troppo richiesti. Ciò nonostante, il risultato fu strepitoso: questa statua non rappresenta Gesù Cristo, bensì un uomo esausto, frustato, preso a schiaffi, nel momento in cui è stato deposto dalla croce e coricato a terra, ancora con le gambe incrociate, prima che la madre lo prendesse in braccio, nel gesto della celebre Pietà. “ Il Cristo del Lantriceni, secondo le osservazioni acute dell’artista foriana Ylenia Pilato, ha lo sguardo perso nel vuoto, osservando il naso, la lingua e gli occhi vitrei, spenti, si intuisce la sofferenza del figlio di Dio fattosi uomo, che ha sofferto come un uomo.
Il Lantriceni doveva essere un grande conoscitore dell’anatomia umana: i muscoli sono disegnati alla perfezione, perfino le vene ingrossate, le vene di un uomo che è stato crocifisso, maltrattato, ferito. Guardando il Cristo del Lantriceni non si può non pensare ad altre due opere simili: una è il Cristo di Matteo Bottiglieri, esposto nel Duomo di Capua, simile ma di marmo e leggermente più sollevato di schiena per la presenza di due cuscini (il Cristo del Lantriceni ne ha uno solo, turchese in origine, che rimanda all’abito della confraternita).Il secondo Cristo che mi torna alla memoria, rileva Ylenia Pilato nella sua analisi della storica immagine, è il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino nella Cappella Sansevero che si pensa possa essere ispirato al Cristo di Procida. Se confrontiamo le date, il Cristo del Bottiglieri è del 1722, quello di Lantriceni è del 1728, mentre quello del Sanmartino è del 1750. Perché il Sanmartino potrebbe essersi ispirato al Cristo di Procida? Perché i procidani quel Cristo il Venerdì Santo lo portano in processione velato e sotto quel velo nero ricamato in oro, sembra che ci sia veramente una persona, come a dire, “viva, viva di carne”.
A differenza degli altri due, di marmo, il Cristo ligneo del Lantriceni, meno pesante, era stato pensato sin dall’origine per essere portato in processione”. Da artista capace quale è, Ylenia Pilato ci offre altri importanti rilievi sul Cristo di Procida ammirato nella chiesa parrocchiale di San Sebastiano nella sua Forio: “ Oggi il Cristo morto di Procida è conservato in una teca trasparente: nel tempo ha subìto vari deterioramenti a causa dei tarli e dei trasporti nelle processioni. L’alluce destro fu reincollato maldestramente con colle non professionali, Nel corso degli anni finalmente ha subìto due restauri: il primo nel 1990, quando fu portato all’Istituto di Belle Arti a Napoli per un trattamento antitarlo, il secondo nel 2018 quando i fori vennero stuccati e la superficie ridipinta con colori acrilici fedeli agli originali. Un quadratino, lasciano come testimonianza, ci fa vedere come in origine il basamento della statua non fosse nero e dorato, come noi lo vediamo ma fosse di color granito-bordeaux. Anche il guanciale, oggi rosso, in origine era turchino. Durante il restauro, poi, si è scoperto che la statua non è ricavata da un unico pezzo di legno, ma dall’assemblaggio di più pezzi, “incatenati” tra loro per mezzo di ferri ricurvi. A causa del trasporto per mezzo delle maniglie, il basamento negli anni si è inarcato e finalmente è stato appoggiato su una tavola per evitare ulteriori danneggiamenti.
Una leggenda metropolitana narra che il Cristo morto l’avesse costruito un carcerato, un ergastolano… ma sono tutte sciocchezze perché il carcere è stato istituito a Procida nel 1830, cento anni dopo che il Lantriceni l’avesse scolpito. Sembra però che quest’ultimo fosse un violento e che fosse stato in carcere perché aveva tirato un martello a un ragazzo di bottega che aveva sbagliato un bozzetto, da qui forse la fantasia popolare. Presso la Chiesa di San Sebastiano martire a Forio, lo sguardo si posa su un’altra statua. Qui è custodita la scultura ottocentesca della Madonna Addolorata. Di nero vestita, il volto trasfigurato dal dolore, ha il cuore trafitto da sette spade, che rappresentano i sette dolori di Maria. Nella comunità foriana in questi giorni che precedono la Pasqua, è fortemente sentita questa ricorrenza che ripercorre il dolore di Maria per la morte imminente del figlio. La figura della Madre vinta dal dolore per la scomparsa del Cristo è un tema molto caro ed è tra le feste liturgiche più partecipate. Il territorio di Forio, costellato di edicole votive con pannelli maiolicati, lancia segnali di fede che durano nel tempo. Lodevole è l’iniziativa di approfondire il tema delle immagini sacre, con particolare riferimento a quelle che rappresentano il dolore e la morte di Gesù”
Fotoricerca e elaborazione Di Giovan Giuseppe Lubrano
Collaborazione: Ylenia Pilato
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