LE OPINIONI

IL COMMENTO Un Referendum che non modernizza lo Stato

DI LUCIANO VENIA

Da decenni l’Italia discute a livello politico della necessità di modificare le regole fondamentali del funzionamento dello Stato al fine di adeguare l’impianto del nostro ordinamento alle esigenze di rapidità ed efficienza tipiche del mondo contemporaneo interconnesso e ad alta tecnologia.

La nostra Repubblica, all’atto dei lavori preparatori per la approvazione della nuova Carta Fondamentale nella Assemblea Costituente, ancora scossa dalla tragedia della guerra e timorosa per l’eventuale avvento di nuove forme di totalitarismo opto’ per una Costituzione dove la divisione dei poteri si realizzasse mediante una serie di organi costituzionali e/o aventi rilievo costituzionale quale sistema di pesi e contrappesi finalizzati a diluire l’esercizio del potere, evitarne l’accentramento ed anzi la concentrazione in capo ad un solo organo e ad un solo uomo.

Lo sviluppo economico italiano ha disvelato però una serie di criticità e di ritardi nella attività legislativa che ancora oggi si confermano nella frequente, e assai criticata in dottrina, adozione del decreto legge, che pure dovrebbe essere utilizzato solo in casi di necessità e di urgenza, per dare un impulso rapido e maggiormente efficace all’attività normativa – pur con l’alea della sua conversione in legge entro i sessanta giorni e con il rischio di provvedimenti poco meditati come troppo spesso è avvenuto anche intervenendo sui codici.

Tante commissioni bicamerali si sono cimentate sul tema delle riforme istituzionali da quella del liberale Bozzi a quella presieduta da Massimo D’Alema ma tanti progetti come quello di una Nuova Repubblica da Pacciardi fino ad Almirante si erano stagliati all’orizzonte senza concreti effetti.

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Bettino Craxi immaginò una Riforma che modernizzasse l’architettura dello Stato pur dopo avere dato una base giuridica certa al funzionamento del Governo regolando poteri ed attribuzioni ministeriali ma non riuscì ad attuarla. Da ultimo il Governo Renzi propose una Riforma che abbattesse il bicameralismo modificando quantitativamente e qualitativamente la composizione e il funzionamento del Parlamento, ma il referendum del 2016 bocciò quella proposta ritenendola troppo avventurosa; anche su alcuni temi specifici come decisioni che dovevano essere approvate da una sola camera come l’approvazione del bilancio o la dichiarazione di guerra e persino la fiducia all’esecutivo. In quella circostanza la Nuova Destra incarnata da Giorgia Meloni si schierò per la difesa dell’attuale assetto non tanto per mero conservatorismo quanto perchè mancava in quella proposta renziana una visione organica dello Stato. L’onda del populismo che ha dato una grossa forza parlamentare al Movimento 5 Stelle ha individuato nel numero di deputati e senatori e al loro costo economico uno dei problemi centrali del paese e il cd taglio dei parlamentari, riforma effimera degli assetti costituzionali non essendo stata approvata dalla maggioranza necessaria (ai sensi dell’articolo 138 della Costituzione tali riforme reclamano una doppia lettura con conseguente approvazione da parte di ciascun ramo del Parlamento ed una maggioranza qualificata altrimenti la proposta pur quando approvata ma con un numero di voti inferiore al quorum stabilito, viene sottoposta al giudizio del corpo elettorale). Ed infatti nella Gazzetta Ufficiale – Serie generale n. 23 del 29 gennaio – è stato pubblicato il D.P.R. 28 gennaio 2020 con il quale è stato indetto, per il giorno di domenica 29 marzo 2020 , il referendum popolare, ai sensi dell’articolo 138, secondo comma, della Costituzione, confermativo del testo della legge costituzionale concernente «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», approvato in seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 240 del 12 ottobre 2019.
Il testo del quesito referendario è il seguente:
«Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale – n. 240 del 12 ottobre 2019?». Le votazioni si svolgeranno domenica 29 marzo 2020, dalle ore 7 alle ore 23
Le operazioni di scrutinio avranno inizio subito dopo la chiusura della votazione e l’accertamento del numero dei votanti. La mia opinione è che la Costituzione non può essere modificata, tranne gli aspetti minori, a pezzi ma serva una Riforma dello Stato in grado di mantenere i valori fondamentali, i principi supremi dell’ordinamento ma adeguando il funzionamento dello Stato-Apparato alle esigenze della modernità ma valorizzando quelle grandiose ideazioni del genio giuridico italiano che aprono come nel TITOLO III – Rapporti etico-sociali (artt. 29-34) e nei Rapporti Economici (articoli 35-47) alla Partecipazione dei Lavoratori alla Gestione delle Imprese e agli utili delle aziende, al coordinamento a fini Sociali dell’economia, alla giusta retribuzione dei lavoratori e così via. Inoltre quando si disegnò il Parlamento Repubblicano la indicazione di 630 deputati e 315 senatori veniva anche dalla logica di un rapporto stretto tra elettore ed eletto. Da qui la necessità di un numero di parlamentari tale da potere disegnare dei collegi piccoli non lontano dai problemi e dalla vita dei cittadini. In questa chiave tagliando il numero dei parlamentari si avranno collegi molto più grandi e le isole avranno maggiore difficoltà, visto il numerod ei propri ciitadini elettori, a potere eleggere un proprio rappresentante. Inoltre la democrazia ha un costo e la retorica degli sprechi non può cancellare una fondamentale garanzia come quella del Parlamento. Il referendum del 29 marzo è dunque una risposta parziale e limitata alle esigenze più ampie e profonde della nostra Nazione. Tanto che ritengo fondamentale superare le lentezze della attività legislativa e le procedure di autonomia e decentramento dei territori mediante una Riforma Presidenziale dello Stato con la elezione diretta del Capo dello Stato per assegnarli maggiori poteri in direzione della coesione economica e sociale della Repubblica e potenziarne il ruolo centrale di rappresentante della Unità Nazionale, di Supremo Garante della Costituzione e di Capo delle forze armate nonché V. Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura ed un sistema elettorale maggioritario per dare stabilità ai governi con la possibilità di votare l’uomo nelle singole circoscrizioni potenziando il valore democratico della scelta elettorale e garantendo la formazione di coalizioni ed alleanze sulla base di un largo componimento di forze fuse in unità, i poli contrapposti e competitivi, in grado di dare immediatamente l’esito del voto e garantire stabilità di governo. Ecco perchè pur non avversando la volontà di ridurre i costi della politica e di rendere più snello il Parlamento, da giurista avanzo notevoli perplessità su questa scelta disorganica e frammentata. La Riforma dell’Ordinamento della Repubblica deve essere integrale ed organica e dopo un lungo lavoro di approfondimento e di studio con l’ausilio dei gradi giuristi e senza modificare il carattere Sociale dello Stato che è la grande, straordinaria, viva e dinamica conquista della nostra civiltà.

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