LE OPINIONI

IL COMMENTO Tempi belli di una volta

Spesso, ripensando al passato si esce in esclamazioni come questa: “Quelli, si, che erano tempi!”. Come a dire che quelli di una volta erano tempi migliori di quelli di adesso. E spesso ne siamo convinti sul serio. Ma, amici miei ci stiamo sbagliando perché non è vero. Quello che ci fa apparire i tempi di una volta migliori è la nostra età di allora diversa rispetto a quella di oggi. Eravamo più giovani e tutto ci sembrava diverso e più bello. Io che, per motivi di età, ho quasi attraversato tutto un secolo, vi posso assicurare che non c’è paragone tra i tempi di adesso e quelli di una volta. Anche di soli cinquanta, sessanta anni fa. Basti pensare che fino agli anni cinquanta del secolo scorso a Procida non c’era l’acqua. La gente di oggi non sa assolutamente cosa significhi vivere senza acqua. Si raccoglieva l’acqua piovana dai tetti in cisterne sotto il pavimento della casa e doveva bastare per bere, per cucinare, per lavarsi.Quasi mai era sufficiente e si aspettavano le piogge provvidenziali. Oppure bisognava scendere alla Marina ove arrivava una nave cisterna carica di acqua e prenderne qualche secchio da portarsi a casa. Operazione non sempre facile ed agevole.

Questa mancanza d’acqua comportava la conseguente mancanza di igiene che a sua volta generava un vertiginoso incremento di malattie infettive. Difatti, quando cominciai a fare il medico a Procida (anno 1962), mi trovai di fronte ad un alto numero di casi di tifo, paratifo, febbre maltese, difterite che colpiva soprattutto i bambini. Nella prima metà del 900 una mazzata determinante alla situazione la diede la guerra. Tutto ciò che era carente e non funzionava già da prima, precipitò in senso vertiginoso con la guerra. Alla mancanza di igiene si aggiunse la “fame” della gente. Non c’era quasi nulla da mangiare ed ognuno si arrangiava come poteva. Noi alla Madonna della Libera, avevamo il giardino e potevamo sfamarci con la frutta, verdura, conigli, galline, ma chi non si trovava nelle nostre condizioni, vedi la gente di Sènt’ Cò, Corricella Terra murata ed altro, se la vedeva veramente nera! Era in quell’epoca molto diffusa la tubercolosi. Intere famiglie ne erano colpite. Venivano etichettate dalla gente come “famiglie di mala salute” da cui bisognava guardarsi specialmente per eventuali matrimoni o amicizie strette. E non è che sul continente la situazione fosse diversa.

A Napoli, da studente, mi fecero fare il mio apprendistato medico presso un Sanatorio femminile dove erano ricoverate certe bellissime ragazze, tutte tisiche, con le quali noi giovanottini incoscienti scherzavamo e ballavamo. Altre volte ci mandarono presso un ospedale celtico, S Maria della Pace,ove erano ricoverate tutte le donne di malaffare di Napoli e provincia affette da sifilide, blenorragia condilomi e Dio sa quant’altro. La corsia era la navata di una chiesa bellissima ed antica sulle cui pareti erano disposti decine di letti occupati da queste donne scarmigliate e vocianti. In fondo c’era un bellissimo altare barocco, tutt’intorno luci soffuse. All’epoca le nostre case erano sprovviste di bagni. I bisogni li facevamo in minuscoli locali, i cosiddetti “luoghi immondi”, situati in genere fuori su un terrazzino, con lunghe feritoie per l’aerazione. D’inverno bisognava andarci con il cappotto, non esisteva la carta igienica per pulirsi (io avevo quindici anni e non la conoscevo!), ma un pezzo di stoffa il “liopardo”, che veniva usato da tutta la famiglia ed ogni tanto veniva lavata. Le chiese erano affollatissime. Si tenevano funzioni e prediche lunghissime. I predicatori si agitavano, si strappavano la tonaca, rizzavano i capelli, strabuzzavano gli occhi. Tutto quanto di negativo accadeva, guerra, malattie, fame, miseria era colpa dei nostri peccati, dei miscredenti e dei “perfidi Giudei” che avevano messo in croce Gesù. La parola del prete era una verità inoppugnabile. Io sono cresciuto con la visione costante degli abissi infernali che si spalancavano davanti ai miei piedi.

Ma c’era qualcosa che non mi tornava: ero troppo giovane per aver commesso tutti quei peccati di cui mi accusava il prete. Una volta lo dissi a mia nonna: per tutta risposta ebbi uno schiaffo e la qualifica di “scostumato”.Nelle chiese si pregava per Mussolini, “l’uomo inviato dalla Provvidenza” e si malediva il “nuovo mostro che si aggirava per l’Europa”, vale a dire il Comunismo.La gente ascoltava con il naso all’aria ed in silenzio, non comprendendo granché: pochissimi sapevano leggere e scrivere. Eppure io, come Dio ha voluto, sono sopravvissuto alla guerra, alla fame, alle malattie, alla miseria, al ciclone dell’ignoranza ed eccomi arrivato ai giorni nostri. Spesso mi volto indietro e mi chiedo: era meglio un tempo o è meglio oggi? Poi rifletto e, senza indugio, mi rispondo: meglio oggi, anzi molto meglio!

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